Quesito n. 1: Abrogazione del contratto di lavoro a tutele crescenti e della disciplina dei licenziamenti illegittimi

Quesito 1 - scheda verde

di Gabriele Pazzaglia e Marco Ottanelli

Il quesito vuole modificare la disciplina del licenziamento illegittimo per operai, impiegati o quadri assunti dal 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato.

Importante premessa: la vittoria del SÌ, abrogherà il decreto legislativo n. 23 del 2015 (il cosiddetto jobs act), e ripristinerà l’art. 18, ma non nella sua versione originaria (della legge n. 300 del 1970) bensì in quella risultante dalla riforma Monti-Fornero con legge 92 del 2012.

La principale conseguenza comunque sarebbe il ritorno del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

Analizziamo nel dettaglio gli aspetti più importanti della disciplina in vigore e cosa essa prevederebbe in caso di vittoria del SÌ1.

Casi di più grave illegittimità, a prescindere dalla dimensione dell’azienda:

Non vi sarà alcuna modifica, in caso di vittora del Sì, alla disciplina per il licenziamento:

– discriminatorio (per ragioni politiche, religiose, sindacali);

– in conseguenza di matrimonio, maternità o paternità;

– per motivo illecito determinante;

– intimato in forma orale;

– per altre nullità previste dalla legge.

Sia oggi, che in caso di vittoria del SÌ, il giudice reintegra il lavoratore e condanna il datore di lavoro a pagargli un’indennità dal giorno del licenziamento a quello del reintegro, detraendo dal totale quanto il lavoratore abbia guadagnato con altre occupazioni (art. 2 decreto legislativo n. 23 del 2015). L’unica diversità sarà il cambio del riferimento sul quale calcolare tale indennità che oggi è l’ultima retribuzione “per il calcolo del trattamento di fine rapporto” mentre tornerebbe ad essere “l’ultima retribuzione globale di fatto” (art. 18 legge n. 300 del 1970), concetto indeterminato che sarà quantificato dal giudice del lavoro.

Licenziamenti disciplinari e per ragioni organizzative delle aziende medio-grandi:

Grande differenza, invece, qualora il licenziamento avvenga nelle aziende, o in parti autonome di essere (come sedi separate) con più di 15 dipendenti2

– senza giustificato motivo soggettivo o giusta causa (ragioni disciplinari);

– senza giustificato motivo oggettivo (quello per ragioni economiche che portano alla soppressione del posto di lavoro)

Ricordiamo che il “giustificato motivo” soggettivo3, consiste in «un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro» e la “giusta causa”4, è un inadempimento del lavoratore di gravità tale che addirittura, «non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto», ma nessuna legge stabilisce con esattezza quali a quali comportamenti concreti si faccia riferimento.

In caso di vittoria del SÌ
Oggi, e in caso di vittoria del NO,
il giudice reintegrerà sempre il lavoratore illegittimamente licenziato e condannerà il datore di lavoro a pagargli una somma compresa tra 12 e 24 mensilità. Ciò anche nei casi di licenziamento ritenuto sproporzionato rispetto alla gravità del fatto.
il giudice reintegra il lavoratore licenziato solo se:
– il fatto contestato non è effettivamente avvenuto (art. 3, comma 2, d.lgs. 23 del 2015);
– il contratto collettivo nazionale prevede una sanzione minore del licenziamento (sent. corte cost. n. 129  del 2024);
– la soppressione del posto di lavoro è fittizia; in tal caso, sempre il giudice,
condannerà il datore di lavoro a pagare al lavoratore al massimo 12 mensilità detraendo sia quello che il lavoratore abbia guadagnato con altre occupazioni, sia quello che avrebbe potuto guadagnare cercando un altro lavoro con diligenza.
In tutti gli altri casi condanna il datore di lavoro a pagare al lavoratore una somma compresa tra 6 e 36 mensilità.
Si tratta dei casi in cui il giudice ritiene il licenziamento sproporzionato rispetto alla gravità del fatto (giustificato motivo soggettivo) o quando il posto di lavoro è stato effettivamente soppresso ma il lavoratore avrebbe potuto essere reimpiegato in altro modo dalla stessa azienda (giustificato motivo oggettivo)

Licenziamento intimato senza motivazione  o in violazione della procedura, ancora per aziende medio-grandi:

Sono i casi di illegittimità cosiddette “formali”: il referendum propone un importante cambiamento:

In caso di vittoria del SÌ
Oggi, e in caso di vittoria del NO,
il giudice reintegrerà il lavoratore e condannerà il datore di lavoro a pagare al lavoratore una somma compresa tra 12 e 24 mensilità;
vi è un ristoro solo economico: il giudice condanna il datore di lavoro a pagare al lavoratore una somma compresa tra 2 e 12 mensilità;

Imprese di piccole dimensioni

Significativa differenza, con la vittoria referendaria anche qualora il licenziamento avvenga nelle aziende (o in strutture autonome di esse) che hanno fino a 15 dipendenti senza giusta causa o giustificato motivo (sempre per gli assunti dal 7 marzo 2015):

In caso di vittoria del SÌ
Oggi, e in caso di vittoria del NO,
il giudice condanna il datore di lavoro risarcire il danno al lavoratore versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Aumentabile fino a 14 in caso di prolungata anzianità.
NB. Questa norma è soggetta al referendum n. 2 diretto a eliminare ogni limite massimo.
vi è solo un’indennità di massimo sei mensilità

 

Ciò detto, concludiamo con una valutazione “politica”: Il decreto che di cui si propone l’abrogazione è stato approvato in base alla legge delega n. 183 del 2014, proposto e approvato alla Camera con il voto del Partito democratico (trattandosi della legge più importante del programma di Renzi), dei centristi di Lupi e Alfano, di quelli di Calenda, e del Centro democratico di Tabacci. Non hanno partecipato al voto tutti gli altri partiti, Forza Italia, Fratelli d’Italia, il Movimento 5 stelle e Sel-sinistra italiana.
Dei 254 piddini presenti (53 erano assenti per svariati motivi), solo 4 votarono in dissenso dalle direttive renziane: due si astennero (Paolo Gandolfi e Giuseppe Guerini) e due votarono NO: Luca Pastorino e Giuseppe Civati. Tutti gli altri, anche queli delle varie correnti di minoranza, come dichiarò Bersani, votarono sì per disciplina di partito, che evidentemente è più importante dei diritti dei lavoratori.

Il quesito, il n. 1, su scheda verde, è abbastanza lungo perché comprende l’elencazione di tutte le modifiche che sono state apportate al decreto che si chiede di abrogare. In particolare, va segnalato che sono intervenute ben 4 sentenze della Corte costituzionale che ha annullato parti molto significative dell’originaria disciplina. Il Jobs Act tanto voluto da Renzi e PD era in gran parte incostituzionale!
In sintesi la Corte: a) ha eliminato l’automatismo del calcolo dell’indennità (due mensilità ogni anno di anzianità) in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo (sent. 194 del 2018); b) ha eliminato lo stesso automatismo con riferimento ai licenziamenti senza motivazione e senza contraddittorio (sent. 150 del 2020); c) ha esteso il reintegro a tutti i casi in cui sia violata una norma imperativa e non solo a quelli in cui è espressamente prevista la nullità (sent. 22 del 2014); d) ha previsto la reintegrazione quanto la soppressione del posto di lavoro si riveli fittizia (sent. n. 128 del 2024).

 

  1. per sintesi abbiamo dovuto tralasciare alcune disposizioni minori e per essere comprensibili abbiamo semplificato alcuni tecnicismi: non ce ne vogliano i nostri lettori più addentro alla materia []
  2. per la precisione sono le aziende che hanno più di quindici dipendenti nelle singole unità produttive o nell’ambito dello stesso comun, o più di cinque se si tratta di impresa agricola, o oltre a sessanta dipendenti nel complesso dell’azienda []
  3. art. 3 della legge n. 604 del 1966 []
  4. art. 2119 cod. civ. []