di Marco Ottanelli e Gabriele Pazzaglia
L’Italia ha rifiutato la ratifica della riforma del MES, il meccanismo europeo di stabilità, in un voto parlamentare che ha visto frantumarsi e mescolarsi partiti di maggioranza e opposizione in un’incoerente scacchiera e contraddittoria presa di posizione dei vari partiti. Questo è un esempio della debolezza politica generale del nostro Paese, che è il suo vero problema di governabilità.
La ratifica è l’ultimo dei passaggi ai quali è sottoposto un trattato internazionale: esso, cioè, è già stato firmato da tutti i governi, compreso il nostro, è il frutto di un lungo lavoro di discussioni, accordi, compromessi, concessioni, trattative, al termine delle quali ministri e capi di governo hanno detto “va bene”, hanno preso la stilografica e hanno firmato. Sta ai vari parlamenti nazionali (che nel frattempo potrebbero essere mutati in umori e composizioni) accettare definitivamente (ma ex post!) l’operato dei firmatari1. Solo quando tutti i parlamenti accettano il trattato, esso entra in vigore.
L’Italia, sul MES, ha fatto in Europa la sua parte di guastafeste – o di eroe solitario – prima nicchiando e rinviando, durante il Governo Draghi, poi, col Governo Meloni, rifiutandosi di far ciò che tutti gli altri 19 Paesi coinvolti (che sono solo quelli dell’Eurozona e non i restanti dell’Unione) hanno già fatto, cioè ratificare il trattato che lo riforma. Nel primo caso, per le gravi incompatibilità della vasta maggioranza dell’epoca, nel secondo perché si è tentata fino alla fine una trattativa condotta però dai più scettici e diffidenti dei nostri partiti.
Ovviamente, senza il SÌ dell’Italia, il MES non verrà abolito, semplicemente rimarrà attivo con le regole precedenti. Quello che doveva essere ratificato era appunto il “pacchetto” delle modifiche, delle nuove regole di questo strumento: gli altri Paesi hanno ritenuto che, in fin dei conti, la riforma fosse migliore della precedente versione, l’Italia ritiene invece che sia un peggioramento delle condizioni e costituisca, in particolare, un potenziale pericolo per il nostro futuro.
Ma come siamo arrivati a questo punto?
Cronaca stringata di un decennio.
Il Meccanismo Europeo di Stabilità – organismo permanente di intervento su richiesta di un Paese dell’area euro che si trovi in difficoltà – nasce ufficialmente il 2 febbraio 2012 e diventa operativo (dopo le varie ratifiche) l’8 ottobre di quell’anno. È stato creato in conseguenza della spaventosa crisi finanziaria detta “del debito sovrano” che mandò a gambe all’aria le economie occidentali.
Il Parlamento italiano ne votò la ratifica il 19 luglio 2012. Governava – sostenuto da ampia coalizione – Mario Monti. Alla Camera (allora composta da 630 deputati) il sì non fu propriamente entusiastico: gli assenti furono molti (e su 188, ben 91 del Popolo della Libertà; altri 26 deputati erano in missione); ci fu un drappellone di astenuti (anche in questo caso, una bella fetta del quale era costituto da esponenti del PdL) e l’intero gruppo della Lega votò NO. La Lega, si badi bene, era all’opposizione.
I 325 favorevoli furono i centristi di ogni estrazione, i piddini, la residua parte del Popolo della Libertà e la destra di Futuro e Libertà.
Cambiate le condizioni generali dell’economia e del Mondo stesso, fin dal 2018 i governi dell’Eurozona hanno valutato di apportare cambiamenti e riforme al MES, necessità ancora più sentita dopo l’epidemia di Covid-19.
Le tappe principali sono state:
14 dicembre 2018: tutti i Paesi dell’Unione danno mandato all’eurogruppo((L’Eurogruppo è un organo informale dell’UE, con funzioni consultive e di coordinamento, composto dai ministri delle finanze dei paesi la cui moneta è l’euro, che in tale sede discutono di questioni legate alle responsabilità comuni dei loro paesi riguardo all’euro.)), di predisporre una bozza di riforma e di integrazione del MES (Governo in carica: Conte I, maggioranza M5S-Lega);
13 giugno 2019: l’eurogruppo approva una bozza di riforma che introduce, per la prima volta, il fondo salva-banche, cioè quella parte di aiuti destinati non ai bilanci dello Stato, ma ad impedire che gli istituti di credito too big to fail (troppo grandi per fallire) trascinino le economie del continente in caso di loro collasso (Conte I, M5S-Lega);
4 dicembre 2019: i Ministri delle finanze dell’UE approvano le nuove regole che saranno sottoposte, il successivo 13 dicembre, ai capi di Stato e di Governo riuniti nel “vertice” europeo (Conte II, maggioranza M5S-PD-IV-LEU);
30 novembre 2020: i Ministri dell’eurogruppo trovano l’accordo definitivo per la riforma del MES e fissano la data della firma (Conte II, M5S-PD-IV-LEU);
26 gennaio 2021: a seguito della crisi aperta il 13 gennaio per il ritiro della delegazione renziana dall’Esecutivo, Giuseppe Conte rassegna le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica; il governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti;
27 gennaio del 2021: gli ambasciatori, su mandato dei governi nazionali, firmano il trattato, dando così avvio al relativo processo di ratifica (Conte II, dimissionario);
3 febbraio 2021: Mario Draghi riceve l’incarico di formare un nuovo Governo;
13 febbraio 2021: entra in carica il Governo Draghi (M5S, PD, Lega, FI, IV, centristi, Articolo 1) che riceve la fiducia il 18 febbraio;
Ad iniziare dal 28 giugno 2021: gli Stati firmatari ratificano il Trattato:
2021: Austria (28/06); Lettonia (22/07); Grecia (09/08); Malta (09/08); Slovenia (15/09); Lussemburgo (04/10); Spagna (04/11); Finlandia (29/11); Paesi Bassi (30/11); Lituania 802/12); Cipro (17/12); Irlanda (22/12),
2022: Belgio (06/01); Estonia (06/01); Portogallo (18/01); Francia (27/01); Germania (19/12);
2023: Croazia: (02/03)
22 ottobre 2022: entra in carica il governo Meloni.
Degli astenuti, dei favorevoli e dei contrari.
Dunque, ben quattro governi hanno affrontato il processo di elaborazione del Trattato, ma con forti contrasti interni; tra malumori, tatticismi, incoraggiamenti, speranze, timori, malpancismi e addirittura scissioni: al momento in cui il Movimento 5 stelle decise di supportare la riforma, nel dicembre 2020, quattro deputati europei lo hanno abbandonato. Così, la patata bollente è passata di mano in mano, per anni.
Fallito un primo tentativo di discussione della ratifica avanzato dal Ministro Franco (Governo Draghi), nel marzo 2022, in questa legislatura due proposte di legge (poi unificate) per la ratifica del Trattato, sono state proposte presentate, da PD e Italia Viva (quindi in “quota opposizione”).
L’iter ha avuto tre fasi, e da ognuna di esse emerge – oltre alla bassa qualità degli argomenti spesi dai vari partiti che, con rare eccezioni, hanno solo ripetuto vaghe opinioni sulla bontà o sul pericolo della riforma del MES (o del MES stesso), senza affrontare nel merito le varie questioni tecniche – la scarsa coesione delle aree in cui sono raggruppate le varie forze politiche, e la poca coerenza di queste ultime.
La prima fase è stata quella tra il marzo e il giugno 2023, nella commissione di merito, quella Esteri((le Commissioni, quando lavorano in sede referente, compiono un’attività istruttoria, cioè una prima discussione con la suddivisione delle norme in articoli. Possono essere coinvolte altre commissioni che danno un parere – positivo o negativo – su alcuni peculiari aspetti tecnici. Quanto deciso in Commissione non è vincolante per l’Assemblea, che può stravolgere il risultato, ma politicamente fornisce ai deputati una chiara indicazione.)): PD, IV e Azione hanno votato favorevolmente, Verdi-Sinistra e M5S si sono astenuti, mentre tutti i partiti di maggioranza, non hanno espresso posizione. Questi, in Assemblea, hanno proposto, e approvato, il rinvio dell’esame di quattro mesi.
La seconda è stata quella tra il 19 e 21 dicembre 2023, nella commissione Bilancio, cui era stato chiesto un parere sulle conseguenze economico-finanziarie del MES sui conti italiani: è stato approvato un parere contrario alla ratifica, con i voti dei soli partiti di maggioranza, tranne Forza Italia, che si è astenuta. Il parere, proposto dalla deputata di Fratelli d’Italia, Ylenja Lucaselli, reputa la riforma «carente di meccanismi idonei a garantire il coinvolgimento del Parlamento nel procedimento per la richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità»((Secondo il parere vi sarebbe il pericolo di «effetti indiretti della ratifica del Trattato» perché il MES potrebbe essere chiamato a finanziare il “fondo di risoluzione unico” così imponendo il versamento di ulteriore capitale nello stesso MES da parte dell’Italia. Questa eventualità, illustrata dal rappresentante del Governo, non risulta però in un parere, espresso dal Ministro dell’economia nel giugno 2023 sulle stesse questioni.)). A questa proposta di parere, appunto contrario, si sono opposti PD, IV, Azione e Verdi-Sinistra; il M5S non ha partecipato.
La terza fase, quella dell’Assemblea mostra in modo ancora più eclatante l’incompatibilità programmatica all’interno delle stesse aree ideologiche: destra, sinistra, centro, si sono divisi e confusi tra di loro, creando schieramenti diversi da quelli maggioranza-opposizione.
Marattin, di Italia Viva e Bonetti di Azione nei loro interventi, senza mai citare neanche una delle nuove regole in vigore, accusano la maggioranza di debolezza, di mettere a repentaglio l’economia del Paese e fanno esplicitamente appello allo spirito europeista di Forza Italia che ai loro occhi evidentemente esiste!
La parola passa a Bagnai, il pasdaran antieuro della Lega, che si lancia in un’invettiva contro il MES, colpevole di aver imposto alla Grecia condizioni severissime, provocando gravi sofferenze alla popolazione, e tutto ciò senza neanche raggiungere gli obiettivi del programma di salvataggio; rischio che secondo lui potrebbe correrebbe anche l’Italia, citando dati e circostanze verificabili… dimentica però che il salvataggio della Grecia, con i suoi brutali tagli allo stato sociale, è stato condotto dalla famigerata troika, (BCE, FMI e Commissione UE), sotto l’egida dei governi europei. Il MES è intervenuto dopo, solo durante la terza fase del salvataggio. E dimentica anche che, il voto contrario alla riforma, finisce per confermare il suo funzionamento con le regole attuali!
Orsini e Lupi, per Forza Italia e Noi moderati, annunciano l’astensione, motivandola con il difetto di controllo sul MES del Parlamento europeo, citando, come paragone, il fatto che, a quest’ultimo la Banca centrale europea, seppur indipendente, deve relazionare ogni tre mesi. La loro opinione non è completamente irragionevole, anche se si potrebbe obiettare che il MES, al contrario della BCE, non è indipendente, perché è “governato” dai ministri dell’economia i quali, al contrario, sono politicamente responsabili. Ma nessuno glielo segnala: c’è solo il deputato “grillino” (o contiano?) Donno, che ironizza e interrompe i due interventi, provocando la rabbia degli oratori.
Amendola, per il PD, e Della Vedova, per +Europa, rivendicano il loro contributo al MES, auspicano che diventi uno strumento più europeo, e meno in mano ai governi nazionali (in parziale convergenza con Forza Italia?) e accusano Giorgetti di aver fatto magra figura nell’Unione, dove aveva rassicurato per la ratifica.
Solo il secondo accenna ad alcune delle nuove regole, ma i loro interventi nel complesso altro non sono che una critica e rimprovero al Governo per le sue divisioni, incoerenze e per la sua pregiudiziale anti-europea.
L’intervento più interessante è quello di Conte: l’ex Presidente del Consiglio proclama di voler ristabilire la verità storica, in evidente polemica con l’accusa di aver firmato il Trattato quando egli era già dimissionario e contro la volontà del Parlamento, rivoltagli della Meloni la settimana precedente, quando lo ha accusato, sventolando al Senato il fax, con il quale Di Maio ha autorizzato l’ambasciatore competente a firmare il Trattato. Conte rivendica di essere stato contrario al MES, di aver contribuito però ad apportare le migliorie presenti nella riforma e di aver quindi firmato il nuovo trattato, ma di votare contro esso per coerenza, a causa della debolezza mostrata dal Governo nelle trattative per il nuovo Patto di stabilità e crescita che – dice sempre Conte – porterà ad una nuova stagione di austerità economica.
A nostro avviso, è tuttavia ben difficile riscontrare tale coerenza in quanto, la sostanza è che il M5S vota contro un trattato che aveva sottoscritto quando era al Governo e, così facendo, spacca il fronte dei partiti che avevano contribuito alla riforma. Tanto è vero che il gruppo si era astenuto in Commissione.
Come se non bastasse, un’altra componente delle opposizioni, la sinistra, si è astenuta, non essendo evidentemente d’accordo né col PD né coi 5 stelle. Il perché di questa scelta non è dato sapere visto che nessun esponente di quel gruppo ha preso la parola nel dibattito.
Ultimo intervento, quello di Filini di Fratelli d’Italia, che intende ripristinare (anche lui) la verità storica: e la sua verità è che il suo partito, a differenza dell’ondivago Cinque stelle, da sempre, da ancor prima di nascere ufficialmente, si è opposto al MES. Ricorda anche come Giorgia Meloni nel 2012 non partecipò al primo voto di ratifica, mentre Crosetto votò contro. Pare dimenticarsi però che altri parlamentari che ora fanno parte di Fratelli d’Italia, all’epoca votarono Sì((Votarono a favore Balbone, Butti, Cosenza, De Corato, Leo, Menia, Nastri, Roccella, Rampelli e Urso mentre si astennero Foti, Frassinetti e Malan, come risulta dai resoconti delle votazioni al Senato e alla Camera.)). Ribadisce poi che Conte avrebbe firmato il MES senza avere più una maggioranza, ma quando il suo governo era già in crisi.
Si passa alla votazione, con la quale Camera respinge la proposta con 184 voti contrari (FdI, Lega e M5S), 44 astenuti (FI, Noi moderati, Verdi-Sinistra) e 129 favorevoli (PD, IV, Azione).
L’impossibilità di una maggioranza coesa e le contraddizioni di governo.
Come appare palese nell’immagine, i partiti sono andati in ordine sparso al voto, dimostrando che il nostro Parlamento, espressione della sovranità popolare, non ha una maggioranza stabile, ma al contrario ne ha molte, tra loro sovrapposte ed intrecciate, e dalla mobilità, flessibilità e incoerenza tali da sfuggire ad ogni legge elettorale, coalizione sulla scheda, promesse da comizio e programma di governo. Al conteggio, abbiamo visto formarsi una di quelle tante ectoplasmatiche maggioranze che ha negato la ratifica del trattato, composta da quell’insieme che semplicisticamente è chiamato populista con Lega, 5stelle e FdI.
La coalizione di maggioranza che sostiene il governo Meloni si è divisa in due: Forza Italia si è astenuta ma affermando nel dibattito di essere sostanzialmente concorde con il MES e con gli elementi tecnici della riforma, con argomentazioni sovrapponibili a quelli utilizzati da PD-IV-Azione; la Lega e FDI al contrario hanno pesantemente criticato la stessa esistenza del MES((Segnaliamo che, nonostante Repubblica abbia titolato, tra virgolette, «Giorgetti: “Da ministro l’avrei approvato, ma non era aria”», in realtà la frase pronunciata è più sfumata, «Il ministro dell’Economia e delle finanze avrebbe interesse che il Mes fosse approvato per motivazioni di tipo economico-finanziarie. Ma per come si è sviluppato il dibattito negli ultimi giorni mi è sembrato evidente che non fosse aria per un’approvazione».)). Ancora peggiore il modo in cui le opposizioni hanno affrontato lo scrutinio. Attenzione: non è scritto da nessuna parte che tutte le opposizioni in un’assemblea elettiva debbano essere d’accordo su tutto. Ma nel caso in specie, l’Opposizione è interamente da una parte sola rispetto al governo, ossia a sinistra, ed oltretutto si prepara per le prossime amministrative, europee e politiche, a presentarsi come un’alleanza, un cartello, un’unione, in quella formula che si è chiamata Campo Largo e che nella sua ampiezza dovrebbe andare da Sinistra Italiana fino a Italia Viva, sotto il coordinamento della segreteria piddina.
Ebbene questa alleanza si è frantumata non in due ma in tre posizioni diverse, tra astenuti, favorevoli e contrari al Mes.
Mentre Giuseppe Conte inveiva contro Meloni ed i suoi, si preparava a votare assieme a loro NO a quella riforma che, quando era Presidente del Consiglio (prima con Salvini poi con Renzi ed il PD) aveva comunque concertato coi colleghi europei e poi firmato (prima o dopo la “data del fax di Di Maio poco importa).
Su questa base, come potrà mai Elly Schlein – coordinatrice del Campo Largo designata nientepopodimeno che da Prodi – presentare agli elettori italiani e ai partner europei una parvenza di affidabilità e di impegni credibili?
Conclusione: il mutevole mosaico ideologico
Da sempre sosteniamo che in Italia le coalizioni sono poco coese non per via delle leggi elettorali (come sfacciatamente sostengono caudillos del momento, partiti avidi di potere non meritato e giornali loro asserviti), ma per le profonde divisioni programmatiche trasversali all’interno delle coalizioni stesse, e talvolta persino all’interno degli stessi partiti che le compongono. Su ecologia, politica estera, pacifismo, politiche industriali, diritti civili, rapporti con la Chiesa, regionalismo, giustizia, immigrazione, Stato sociale e tutti i grandi temi della Politica, c’è più distanza (ideologica o di convenienza), ed il ventaglio di posizioni (di singolo o di correnti) è più esteso, in una coalizione, e a volte in un singolo partito italiano, che nell’intero arco costituzionale di qualsiasi parlamento occidentale.
Hai voglia a sfornare alchimie e trucchetti per distorcere o imbrigliare il voto popolare e creare forzosamente coalizioni: esse, data la diffusa irresponsabilità nel sistema dei partiti, sono sempre state mere chimere numeriche, pronte – quando ritenuto opportuno per motivi elettorali, tradendo patti e accordi solennemente scritti e sottoscritti – a sfaldarsi ogni volta che si deve decidere una delle mille questioni cruciali che bussano alle porte della Storia; o della semplice ordinaria amministrazione. In Italia, su tutti i temi e le idee, non vi è un gradiente di posizioni ordinato sulla linea retta sinistra-destra, ma un mosaico sempre in movimento (e spesso pieno di contraddizioni) in un vortice di tutti insieme a tutti e contro tutti, sia di qua che di là dell’immaginario confine tra maggioranza ed opposizione, anch’esso sempre mutevole, tra cambi di casacca e di alleanze. E no, che lo si sappia: il premierato non curerà questa piaga.
- Ci sono casi clamorosi di mancata ratifica di trattati: uno dei classici della storiografia è il voto negativo del Senato statunitense che rifiutò di ratificare il trattato di pace che pose fine alla Prima Guerra Mondiale, nonostante esso fosse stato firmato (ed in buona misura ideato) dal presidente Wilson). A seguito di ciò gli USA non entrarono nella Società delle Nazioni, che nacque quindi monca. [↩]