Quesito n. 5: Dimezzamento da 10 a 5 anni di residenza dello straniero extracomunitario per ottenere la cittadinanza

quesito 5 referendum 8-9 giugno 2025 - cittadinanza

di Gabriele Pazzaglia

Come si ottiene la cittadinanza per residenza oggi
In caso di vittoria del Sì
allo straniero che proviene da fuori dell’Unione europea occorrono almeno dieci anni di residenza legale nel territorio della Repubblica
allo straniero che proviene da fuori dell’Unione europea occorreranno almeno cinque anni di residenza legale nel territorio della Repubblica

Restando invece immutati i restanti requisiti per presentare la domanda, cioè il reddito minimo e la conoscenza dell’Italiano (requisiti normalmente richiesti da ogni Stato).

La soglia di reddito non è astronomica perché allo straniero basta che le sue entrate siano superiori a 8.300 € all’anno, che diventano 11.300 € se coniugato/a, cui vanno aggiunti altri 500 € circa per ogni figlio a carico. Queste soglie devono essere superate almeno per i tre anni precedenti alla domanda e per tutta la durata del procedimento di valutazione, che è oggi di 24 mesi, prorogabili di altri 121.

Occorre inoltre saper parlare l’Italiano, ma è richiesta una conoscenza media, cioè il livello che secondo la certificazione internazionale è B1, in una a scala che va da A1, il minimo, A2, B1 – appunto il livello richiesto – B2, C1 e C2, che è madrelingua.

Ma non è tutto: secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato chi chiede la cittadinanza è tenuto a dimostrare la sua «capacità di stabile integrazione nella collettività nazionale» e l’Amministrazione potrà tenere in considerazione «tutti quegli aspetti che farebbero dello straniero un buon cittadino, quali la perfetta integrazione nel tessuto sociale italiano, l’assenza di precedenti penali, considerazioni di carattere economico e patrimoniale per cui si possa presumere che egli sia in grado di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale richiesti a tutti i cittadini»2.

Quindi, posto che la “perfetta integrazione” e il non avere problemi con la giustizia è il minimo che una Nazione deve pretendere da chi vuole diventarne cittadino, e che la conoscenza dell’italiano e il reddito sono requisiti del tutto abbordabili, il principale ostacolo all’ottenimento della cittadinanza oggi è rappresentato dai 10 anni di residenza regolare.

Ma 10 anni, sono giusti, troppi o pochi?

Dipende dalla situazione in cui la regola va calata, situazione, quella italiana, che dobbiamo quindi raccontare senza pregiudizi o illusioni, ma guardando alla realtà, che può essere descritta solo attraverso i crudi numeri, la statistica, che ci faccia capire il fenomeno che dobbiamo regolare. Dati che abbiamo tratto soprattutto da questo rapporto del Cnel che, a dispetto di qualcuno che voleva abolirlo, quando vuole fa studi di altissimo livello.

In Italia, al 1° gennaio 2024, vi erano 5.307.598 stranieri residenti, cioè il 9% della popolazione complessiva, che era, ed è, di circa 59 milioni. Gli immigrati extra-europei rappresentano oltre il 70% dei cittadini non italiani e sono gli unici ad essere interessati alla riforma dato che per gli europei oggi già bastano 4 anni di residenza e per i rifugiati politici 5 anni (art. 9 e 16 della legge n. 91 del 1992); quindi anche se qualcuno può essere naturalmente portato ad accostare il discorso sull’integrazione con l’immagine degli sbarchi a Lampedusa, quelle persone non saranno toccate da questa legge: esse, infatti, chiedono sistematicamente l’asilo politico, per cui chi lo ottiene, già oggi, può chiedere di diventare cittadino in 5 anni. Gli altri diventano immigrati irregolari (clandestini, come si diceva un tempo), e non avranno la cittadinanza, salvo sanatorie varie che gli permettano di regolarizzare la loro presenza, quale che sia l’esito del referendum.

Un altro dato è importante: i residenti-cittadini (gli italiani) che nel 1990 erano più di 56 milioni, ora sono circa 53 milioni e mezzo. Mentre gli stranieri, che sempre nel 1990 non erano nemmeno mezzo milione, poi aumentati ad appena 1 milione e mezzo nel 2000, negli ultimi due decenni hanno raggiunto la cifra ragguardevole dei 5 e passa milioni di cui abbiamo detto. Non poco.

In questo grafico i dati completi: sulla destra la scala degli stranieri, espressa in milioni; e sulla sinistra quella degli italiani, in decine di milioni:

Popolazione residente in Italia per cittadinanza 1981-2024
Popolazione residente in Italia per cittadinanza 1981-2024

Quanti acquisiscono la cittadinanza, oggi?

Dicevamo, 10 anni sono troppi o troppo pochi? come mostra il prossimo grafico, dopo il picco di acquisizioni nel periodo 2015-2016, con circa 80/85 mila naturalizzazioni l’anno – picco dovuto ad una sanatoria del 2003 inserita nella legge Bossi-Fini che ha permesso l’iscrizione tra gli stranieri legalmente residenti di quanti erano già presenti irregolarmente sul territorio – vi è stata una diminuzione fisiologica tra il 2017 e il 2021, che corrisponde allo smaltimento di quella sorta di arretrato. Attualmente invece siamo di nuovo ai valori massimi dato che nel 2022 e 2023, ultimi due anni per cui vi sono i dati, veleggiamo di nuovo attorno alle 80/85 mila concessioni all’anno ai residenti (riga verde del grafico), cui vanno aggiunti i loro minorenni conviventi (riga nera tratteggiata), che a cascata ottengono automaticamente la cittadinanza insieme al genitore.

La somma dei maggiorenni e dei loro figli ha portato il numero delle naturalizzazioni per residenza a circa 150 mila all’anno, nel 2022 e 2023. E parliamo dei soli stranieri extra Unione europea.

Questi valori dovrebbero leggermente diminuire nei prossimi anni, per la diminuzione di immigrazione regolare che vi fu negli anni 2013-2016. Immigrazione vi fu, sì, ma soprattutto di richiedenti asilo che, come detto, non sono interessati da questa riforma, così come coloro che non hanno ottenuto lo status e sono ad oggi irregolari.

Valori che poi dovrebbero riaumentare attorno al 2030, così come è aumentata l’immigrazione dal 2016, e subito dopo questo giro di boa diminuire nuovamente perché in quel momento si “sconterà” la chiusura delle frontiere dell’era covid, per poi tornare più o meno sui valori attuali.

Oltre a queste naturalizzazioni per residenza, dobbiamo tener conto di quelle ottenute tramite ius sanguinis cioè la richiesta di discendenti di italiani emigrati all’estero – soprattutto argentini e brasiliani – che, come si vede dal grafico (riga blu), sono di recente molto aumentate. Così tanto che nelle settimane passate il governo ha ristetto in modo deciso i criteri per questa categoria.

Vi è poi la contenuta, ma costante, crescita dell’acquisizione della cittadinanza per “elezione” (riga nera continua), che è la scelta degli stranieri nati in Italia e che a 18 anni possono ottenerla senza altri requisiti (numeri contenuti proprio perché molti nati in Italia la ottengono prima della maggiore età a cascata grazie al genitore).

Sommando anche l’acquisizione per matrimonio (riga rossa), si arriva ai giorni nostri ai picchi più elevati di sempre, superando le 194 mila concessioni nel 2022 le 196 mila nel 2023, aii soli stranieri – ricordiamolo – extra Unione europea.

Come funziona all’estero?

Compariamo Germania e Francia, due stati europei che ci assomigliano per grandezza, capacità economica e composizione sociale avendo, la prima, circa 6 milioni di stranieri sul proprio territorio (su 83 milioni di residenti) e, la seconda, circa 5,5 milioni (su 68 milioni).

La Germania, recentemente, nel 2024, ha abbassato da 8 a 5 gli anni di permanenza sul territorio necessari per ottenere la cittadinanza ma ha contestualmente, introdotto il divieto di concessione ai poligami, a chi non rispetta l’uguaglianza tra uomini e donne e a chi compie atti antisemiti o razzisti. Inoltre, richiede una dichiarazione di “impegno nei confronti dell’ordinamento democratico e libero della Legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania”. Interessante è la motivazione ufficiale dell’allora Ministra degli interni, socialdemocratica: “In questo modo rafforziamo la Germania come piazza economica. Perché nella competizione globale per le menti migliori, dobbiamo offrire ai lavoratori qualificati la prospettiva di diventare parte integrante e a pieno titolo della nostra società nel prossimo futuro”. Non sembra proprio l’ingenua volontà di attrarre diseredati e sbandati da far campare con soldi pubblici, ma è un tassello della strategia diretta ad attrarre un certo tipo di immigrazione, qualificata e quindi qualificante3.

In questo modo la Germania si è sostanzialmente allineata all’esperienza francese che già prevedeva 5 anni di residenza per l’ottenimento della cittadinanza ma – attenzione – dal 2011 i cugini d’oltralpe pretendono che il nuovo cittadino dimostri «la sua assimilazione alla comunità francese», la conoscenza «della lingua, della storia e della cultura» e «dei diritti e doveri conferiti dalla nazionalità», oltre all’espressa «adesione ai principi e valori essenziali della Repubblica», tramite la «sottoscrizione della carta dei diritti e doveri del cittadino francese»4.

Germania e Francia si sono dirette verso un modello chiaramente assimilazionista, evidentemente dettato dal timore che molti immigrati, portandosi il bagaglio culturale fatto anche di dis-valori, maturati in contesti per noi arretratissimi, facciano fare passi indietro alla società sul fronte dei diritti e delle libertà individuali.

E se allarghiamo lo sguardo a livello europeo vediamo che l’Italia non è affatto restrittiva nella concessione della cittadinanza. Anzi, in rapporto ai residenti siamo il quinto Paese su 27, nell’Unione, per naturalizzazioni, ben più generosi di Francia e Germania che abbiamo citato prima.

I dati del prossimo grafico, tratto da un rapporto Eurostat, comprendono tutte le naturalizzazioni anche di cittadini intra-UE e tutte le tipologie di concessione (tranne quelle in favore di residenti all’estero per discendenza), perché la valutazione su chi entra nella comunità nazionale non può che essere fatta complessivamente5.

Acquisizione di cittadinanza nel 2023 per 1000 residenti

Conclusioni

Bisogna ammettere che il dimezzamento del tempo di residenza arriverebbe in un momento in cui siamo già ai livelli massimi di concessione di cittadinanza.

Ed essere immigrati in Italia non è una tragedia perché anche ad essi sono riconosciuti molti diritti. Esclusi quelli politici (dato che il voto è l’essenza dell’essere cittadino) vi è oramai una sostanziale equiparazione nel godimento dei diritti civili (quali la libertà di associazione, di parola, di sciopero, pari trattamento sul luogo di lavoro, proprietà privata etc…)6.

Anche il diritto ad alcune prestazioni sociali è pienamente equiparato, come l’istruzione o l’alloggio popolare (ambito, quest’ultimo in cui semmai il pericolo è qualche straniero abbastanza scaltro nasconda proprietà e averi che ha all’estero, e che la nostra Amministrazione non può trovare, così passando davanti a cittadini e altri immigrati realmente bisognosi)7. Altre prestazioni vedono ancora differenze, come l’iscrizione al servizio sanitario – che necessita di uno speciale contributo – la cui ragionevolezza potrebbe essere valutata caso per caso, magari stabilendo la loro progressiva eliminazione dopo alcuni anni di residenza legale.

Dall’altra parte è ovvio che una diminuzione del tempo di residenza necessario allevierebbe la vita a tanti immigrati per bene che ogni rinnovo del permesso di soggiorno vengono risucchiati nel gorgo kafkiano della pubblica amministrazione italiana, tra intollerabili ritardi, diffusa disorganizzazione, code estenuanti e difetti di comunicazione. Ed anzi suggellerebbe con tutti i crismi l’ingresso nella comunità nazionale, per chi è già integrato.

Questa giungla burocratica però potrebbe, e dovrebbe, essere eliminata a prescindere, sia perché ingiusto piccolo-grande tormento inflitto proprio agli immigrati migliori, quelli che vogliono rispettare le regole, sia perché scoraggia dall’avere a che fare con il nostro Paese tante persone che ad esso potrebbero dare un utile apporto, preferendo invece altri lidi.

Infine, bisogna ammettere che tanti stranieri si integrano egregiamente, e che già prima dei dieci anni si meriterebbero di diventare cittadini. Bisogna però vigilare – a prescindere che siano richiesti 5 o 10 anni di residenza – che la cittadinanza non sia concessa a persone estranee o, peggio, ostili ai nostri valori e diritti, così importanti ma anche così bisognosi della convinzione dei cittadini per essere realizzati. Riforma questa che dovrebbe passare per la revisione e il coordinamento con la complessiva legislazione sull’immigrazione.

Insomma, tutto quello che abbiamo detto serve a dare un quadro per valutare le conseguenze del quesito che in sé è molto chiaro: in caso di vittoria del SÌ, il requisito della residenza, fissato oggi in 10 anni, sarebbe dimezzato, senza modificare le altre condizioni.

 

  1. per le cifre precise consigliamo questo sito della Prefettura di Reggio nell’Emilia che indica in modo chiaro gli importi indicati nell’art. 3 del decreto-legge n. 382 del 1989, che sono le soglie previste per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, come previsto da questa circolare del ministero dell’Interno []
  2. la giurisprudenza è pacifica nel considerare la concessione della cittadinanza italiana un «atto squisitamente discrezionale di “alta amministrazione”» in quanto «esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini». Si veda l’ultima sentenza del Consiglio di Stato tra le tante, la n. 5516 del 2024 []
  3. si tratta del § 10 della legge sulla cittadinanza in vigore; per la citazione della Ministra Nancy Faeser e la sintesi della riforma, ovviamente in tedesco, questo è l’indirizzo []
  4. articolo 21-24 del Codice civile francese []
  5. qui il link allo studio, in inglese []
  6. come previsto dall’art. 2 del decreto legislativo n. 286 del 1998 che prevede che “lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il presente testo unico dispongano diversamente []
  7. art. 40, comma 6, decreto legislativo n. 286 del 1998 []