di Marco Ottanelli
Un’importante premessa: il quesito referendario è inutilmente complesso e pesantemente articolato, con la citazione di tutta quella serie di leggi e decreti di modifica – effettuate nel corso dei decenni – della norma in oggetto. Ciò può indurre in confusione ed in più o meno dolose imprecisioni: ci siamo imbattuti in siti web che indicano come la legge “brutta e cattiva” da abrogare sia una modifica apportata dal governo Draghi o addirittura dal governo Meloni. Niente di tutto ciò.
Al di là delle doverose ma alquanto burocratiche circonvoluzioni del quesito, la norma sottoposta al referendum è soltanto il comma 4 (anzi, solo alcune parole dello stesso) dell’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008 che attua una legge del 2007 in materia di sicurezza sul lavoro.
Leggi volute e votate e firmate dal Presidente del Consiglio Romano Prodi (Ulivo-PD), dal ministro del lavoro Cesare Damiano (Rif. Comunista) e dalla ministra della salute, Livia Turco (DS-PD).
Cosa dice la norma (in grassetto la parte da abrogare):
L’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
Quindi si parla dei soli danni non coperti dall’INAIL o dall’omologo istituto per il settore marittimo. Per tali danni, oggi, la responsabilità del committente (l’imprenditore che affida i lavori) ruota attorno al concetto di “rischi specifici”. Cosa sono?
La legge non lo dice esplicitamente e sarà quindi il giudice, caso per caso, a valutare se un’operazione rischiosa attenga soltanto all’attività dell’appaltatore o subappaltatore che, muovendosi in un ambito di completa autonomia, sarà l’unico a rispondere del danno subito dal suo lavoratore, oppure se l’attività concretamente svolta dal lavoratore infortunato interferisse con l’ambito organizzativo del committente, che sarà così parimenti responsabile (tecnicamente si parla di “responsabilità solidale”). 1.
Facciamo un esempio: un imprenditore intende costruire un condominio; ne affida in appalto la costruzione ad una ditta edile che a sua volta subappalta il movimento terra, con ruspe e camion ad un’altra ditta. Nel caso un operaio di quest’ultima si infortuni mentre sta scavando una fondamenta o faccia un incidente trasportando la terra di risulta, il responsabile tenuto ad indennizzarlo sarà soltanto la sua ditta. Né il committente (quello che vuole il condominio), né l’impresa edile (che ha subappaltato parte dei lavori) risponderanno economicamente dell’accaduto. Così è dal 2008.
Se dovesse vincere il SÌ, cosa cambierebbe? Come si intuisce facilmente, verrebbero meno quelle esclusioni (“le disposizioni non si applicano”) di responsabilità, cosicché il committente sarebbe chiamato a rispondere e a partecipare al risarcimento del danno anche in caso di infortunio conseguente a un rischio specifico dell’attività del appaltatore o subappaltatore. Semplificando, possiamo dire che il committente sarà co-responsabile di tutto quanto avviene nei cantieri.
Le conseguenze per i lavoratori sarebbero positive in due sensi: in quello della prevenzione, dato che il committente (cioè quello che paga l’opera) sarebbe in un certo senso obbligato, o comunque avrebbe forte interesse, a controllare tutta la filiera di sicurezza e l’adeguatezza delle ditte alle quali affida l’appalto, ed in quello della solvibilità in caso di richiesta di risarcimento, visto che spesso le piccole realtà subappaltatrici non sono sufficientemente solide economicamente. Impossibile poi trascurare il messaggio politico e sociale di una vittoria del SI: “L’imprenditore che affida il lavoro ad un’altra ditta non può in alcun caso trascurare la sicurezza sul cantiere anche perché è lui che ne trae il beneficio finale”.
Una cosa è certa: il dramma degli incidenti sul lavoro, incidenti purtroppo spesso mortali, in Italia segna numeri altissimi, ed ogni misura volta a limitarli non può essere che auspicabile.
Chi tifa per il NO (o per l’astensione) giudica troppo oneroso e rischioso per i committenti il dover rispondere di inadempienze e imprudenze altrui: per tornare al nostro esempio, perché un committente dovrebbe essere responsabile se una ditta di movimento terra non ha fatto manutenzione alla ruspa o se il conducente di un camion investe un operaio? Inoltre, perché mai e come potrebbe un committente controllare preventivamente e costantemente tutte le ditte che concorrono al subappalto? Non è questo forse compito dell’ispettorato del lavoro o di altri enti pubblici? Ed il rischio non è che, vinto il SÌ, tutto si risolva in una sterile serie di autocertificazioni, ovvero un’ulteriore montagna di scartoffie che nessuno mai verificherà?
- da ultimo, Corte di cassazione n.13514 del 2025 [↩]