La parabola dell'obbligo vaccinale: le scelte politiche e le leggi tra scienza e suggestione.

di Marco Ottanelli

“La politica (questa politica, tutta, tutti gli schieramenti) fa schifo. 
Ai politici- e ai loro portaborse- di vaccini, bambini e salute
non gliene importa nulla, importano la poltrona, il potere, i soldi.
Non abboccate alle parole dei politici (ripeto: di qualsiasi schieramento siano),
se avete dubbi sulla salute chiedete al vostro medico di fiducia.
Io continuerò senza farmi condizionare, come ho fatto sempre

e senza diventare portaborse di nessuno come, nella vita, ho fatto sempre.”

Dott. Salvo di Grazia, meglio conosciuto come Medbunker, 10 agosto 2018

Agosto 2018: circola sul web – ed è ampiamente pubblicizzata dai giornali come Repubblica – una petizione di «mamme» (scriviamo mamme tra virgolette perché non capiamo come mai i padri non figurino) di bambini immunosoppressi. Queste mamme chiedono agli italiani di sostenere la loro richiesta, che è quella di bloccare le direttive della ministra Grillo in fatto di iscrizione a scuola/vaccinazioni, direttive che sono effettivamente più, come dire, lassiste rispetto al decreto della ex ministra Lorenzin, che prevedeva regole precise per poter ammettere l’iscrizione.
Insomma, le mamme difendono il decreto Lorenzin. 
E raccolgono una grande solidarietà, dato che le firme su internet sono centinaia di migliaia.

Capiamo le mamme (ma…i babbi?) e appoggiamo la loro lotta e richiesta: la possibilità che nella classe dei loro figli ci sia un compagnuccio non vaccinato, e quindi potenzialmente portatore di virus, mette i bambini immunodepressi in grave pericolo.

Ma le mamme in questione, come si sono comportate fino ad un anno fa, fino dunque alla emanazione del decreto Lorenzin? Fino ad allora, tenevano i figli a casa, o li mandavano a lezione solo dopo aver accertato che non vi fossero non vaccinati nell’intera scuola? Cosa hanno fatto prima dell’anno scolastico 2017/2018? Già, perché la riforma che le mamme difendono, e che salva la vita dei loro figli, è un atto del luglio 2017.

Lo sappiamo che, fino ad un anno fa, non vi era alcuna regola, alcun limite, alcuna forma di esclusione dei non vaccinati nelle scuole? Come siamo arrivati a questo momento in cui lo scontro politico, e non solo scientifico, tra no vax e pro vax è giunto al parossismo?

Non è questo (l’ennesimo) articolo che afferma l’opportunità dei vaccini, già ampiamente dimostrata. Parliamo invece del clima politico e culturale che ha accompagnato le alterne stagioni di imposizione e abolizione dell’obbligo vaccinale con attenzione.

Le prime leggi italiane sulle vaccinazioni

Partiamo dall’inizio. Trattiamo separatamente la vicenda del vaccino antivaioloso, definitivamente eliminato nel 1981((Perché separatamente ? Perché il vaiolo è una malattia unicamente umana, si trasmette solo da uomo a uomo, e si annida solo nella nostra specie, non si trasmette per mezzo di animali o insetti. È vero che l’uomo può essere infettato anche da virus simili (il vaiolo delle scimmie o quello, il bovino, che ha dato il nome ai vaccini ), ma si muore solo del «nostro», ed è contro di esso che ci si vaccinava. Questa speciale condizione dell’agente patogeno e la massiccia campagna di vaccinazione intrapresa in tutto il mondo fino dall’inizio del XIX secolo, (la cui obbligatorietà era stata fissata prima per i richiamati alla leva, nel 1863, e poi estesa a tutti i nati dalla legge Crispi-Paliani nel 1888) hanno portato al debellamento della malattia. In conseguenza di ciò, la obbligatorietà del vaccino antivaioloso venne sospesa nel 1977, e dal 1981 esso è scomparso del tutto, assieme appunto alla malattia.)).

In Italia, dopo le prime leggi regnicole, si giunse a ridefinire gli obblighi vaccinali con una serie di norme repubblicane. Le vaccinazioni obbligatorie per i bambini erano, oltre ad interventi limitati contro la tubercolosi, quattro antidifterica (Legge del 6 giugno 1939 n. 891 – Legge del 27 aprile 1981 n. 166); antipoliomielitica (Legge del 4 febbraio 1966 n. 51); antitetanica (Legge del 20 marzo 1968 n. 419); antiepatitevirale B (Legge del 27 maggio 1991 n. 165). Come si vede, una progressione temporale piuttosto prudente che sommava obbligo su obbligo, in linea con le esigenze e le tendenze del tempo. Le vaccinazioni contro pertosse, morbillo, parotite, rosolia e infezioni da Haemophilus Influenza b (Hib), erano fortemente raccomandate dalla legge, ma non imposte. Ad esse si sono aggiunte nel tempo altre raccomandazioni, in seguito a moderne scoperte scientifiche e alla reperibilità a costi contenuti dei nuovi ritrovati (il vaccino contro la varicella, ad esempio, è disponibile solo dal 1995).

Nella pratica di ogni giorno, la stragrande maggioranza dei genitori provvedeva ad una vaccinazione in senso esteso dei figli, tanto è vero che la differenza di copertura tra vaccini obbligatori e volontari è stata sempre molto bassa lungo tutti gli anni ’60-’90.

Ma vi era anche un’altra similitudine: coloro che non ottemperavano all’obbligo di vaccinazione dei figli, non ricevevano mai alcuna sanzione.

L’omissione dell’obbligo vaccinale era un reato, è vero, ma veniva punito solo con una pena pecuniaria, fissata in lire 100.000 (che, negli anni ’60, equivalevano a poco più di 1000€ di oggi, ma la cifra non è stata aggiornata all’inflazione, per decenni), però di processi se ne son visti ben pochi.

Anche perché il sistema aveva dei precisi momenti di controllo, ovvero quelli della iscrizione a scuola: i bambini, al momento della iscrizione ad un qualsiasi anno scolastico, dovevano essere in regola con le vaccinazioni ed i richiami.

Fu il fiorentino Luigi Mariotti, ministro della Sanità del PSI, progressista e padre del Sistema Sanitario Nazionale pubblico, a puntualizzare e ordinare le prescrizioni relative alla sanità scolastica nel DPR 1518 del 22 dicembre 1967. La norma istituiva, e gli dava ampi poteri, la figura del medico scolastico, figura suggestiva e un po’ temuta da tutti gli scolari degli anni ’60 e ’70, la cui funzione era severa e costante, e non consentiva errori((Bastava essere sospettati di avere una malattia infettiva, o fare una assenza superiore ai cinque giorni, per essere immediatamente rispediti a casa, e guai a ripresentarsi senza un certificato di avvenuta guarigione e di non-infettività. L’obbligo di produrre tale certificato è venuto meno nel 2005.)): lo scolaro sprovvisto degli appositi certificati, era indirizzato immediatamente presso il centro profilattico più vicino. E se i genitori non provvedevano? A quel punto, scattava la sanzione scolastica. Il DPR , nel suo articolo 47 (che poi, cinquanta anni dopo, diventerà il fulcro della battaglia tra Stato e no vax), recitava esplicitamente:

I direttori delle scuole e i capi degli istituti di istruzione pubblica o privata non possono ammettere alla scuola o agli esami gli alunni che non comprovino, con la presentazione di certificato rilasciato ai sensi di legge, di essere stati sottoposti alle vaccinazioni e rivaccinazioni obbligatorie

Insomma, era vietato per legge iscrivere alle scuole di ogni ordine e grado un bambino che non avesse seguito pedissequamente il calendario vaccinale. Direttori e Presidi erano direttamente chiamati ad impedire che un non-vaccinato potesse seguire le lezioni.
Le due azioni sanzionatorie combinate (reato, invero a pena lievissima, per i genitori inadempienti, ed impossibilità di iscrizione a scuola) contribuirono ad una diffusione di massa delle vaccinazioni, seppur con differenze territoriali e sociali, relative anche all’evasione scolastica.

I decenni successivi passano senza novità sostanziali, ma sottotraccia comincia a sedimentare un senso di sicurezza e di passività, diremmo di incredulità, nei confronti delle malattie infettive, infantili ma non solo, che crea nella società una (falsante) illusione di invulnerabilità. Così come la fame e la miseria, agli italiani e agli occidentali le epidemie appaiono fantasmi confusi nelle nebbie del passato, anche se erano stati flagelli devastanti solo la generazione precedente.
L’attenzione comincia a calare, le maglie si allargano. La paura diminuisce.
Una legge, la legge 689 del 1981, trasforma tutti i reati sanzionati con sole pene pecuniarie in illeciti amministrativi. Ebbene, tra queste depenalizzazioni, c’è anche quella della omissione di obbligo vaccinale. Chi non vaccina i figli, dunque, non sarà più processato, ma dovrà solo pagare una multa portata a cinquecentomila lire dalla stessa legge. Tutto si risolve in una multa, come dire una cosa piccina, una leggerezza. Nonostante la già ricordata introduzione della nuova vaccinazione obbligatoria, quella del 1991 contro l’epatite B, i decenni ’80 e ’90 sono percorsi da ondate di illusioni (l’edonismo reganiano, la Milano da bere), di irrazionale irriverenza antimodernista (la New Age, la naturopatia) e di paure e delusioni (l’epidemia di AIDS, che pone fine al mito della intangibilità della gioventù contemporanea).

La fiducia nella medicina tradizionale crolla, i medici e gli scienziati sono visti con sospetto non più dalle masse superstiziose ed ignoranti, ma dalle élites ricche e moderne; sopratutto sono visti con meno rispetto. L’AIDS diventa un nodo centrale: è misterioso, magico e tabù. Viene pubblicamente indicato come una punizione divina o come una sindrome dei pervertiti. Ci voglio anni prima che il professore statunitense Gallo e i professori francesi Montagner e Barré-Sinoussi scoprano che la malattia è provocata da un virus, l’HIV; e immediatamente trovano – anche a causa della accesa e a volte poco dignitosa rivalità tra di loro – un fronte scettico di formidabile aggressività, che parla apertamente di truffa delle case farmaceutiche. Il pubblico chiede l’immediata creazione di un vaccino, ma la ricerca ha tempi e dinamiche che non riescono a soddisfare questa disperata e quasi esistenziale necessità. Il vaccino anti-aids non si trova, e la fiducia nei vaccini esistenti, parallelamente, crolla: se la scienza ha fallito ora, perché non avrebbe dovuto farlo un secolo prima?
Ma cresce anche contestualmente il desiderio di dimenticare il dolore, la sofferenza, la morte infantile. Il benessere aumenta, i bambini sono sanissimi, bellissimi e sportivissimi: perché sottoporli al controllo di uno Stato crudele che vuole inoculare nei loro sanissimi e bellissimi corpi dei virus?
Non c’è paese europeo che non veda intere schiere di intellettuali manifestare disagio per l’obbligatorietà vaccinale. Il Regno Unito è il centro di questo movimento.

In Italia, la ministra Garavaglia (allora DC, oggi PD) firma una legge che, prevedendo i relativi risarcimenti, riconosce i «danni da vaccino» . I no vax non dimenticheranno mai quella che chiamano, oggi, una ammissione, una confessione da parte dello Stato. Sui loro siti la legge Garavaglia è citatissima.
E sempre la ministra Garavaglia, con uno degli ultimi atti del governo Ciampi nel gennaio 1994, dispone, in un decreto legge, che l’esecuzione delle vaccinazioni obbligatorie su minori non può essere coercitivamente imposta con l’intervento della forza pubblica, e che sia possibile esentare il proprio figlio da una delle vaccinazioni, appunto obbligatorie, con un semplice certificato del medico curante.

Nonostante il decreto poi decada, non venendo convertito in legge a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, suscita l’allarme della comunità scientifica perché, per la prima volta, rende sostanzialmente facoltative tutte le vaccinazioni, e lascia i genitori liberi di scegliere, seppur con supporto di un certificato del proprio medico. È una frattura culturale importante col passato, e, nei due mesi in cui il decreto rimane in vigore, si crea una sorta di limbo idelogico-giuridico che esclude del tutto il concetto di punibilità dell’omissione.

Durante gli anni ’90 poi le competenze sanitarie passano sempre più dallo Stato alle Regioni, che organizzano i loro piani di vaccinazioni. A metà decennio, in una Conferenza Nazionale sul tema, si fa un bilancio provvisorio e si evidenziano le prime difficoltà:

l’obiettivo dell’OMS che prevedeva la totale eradicazione delle malattie infettive dall’Europa entro il 2000, pare irraggiungibile: anzi, già nel 1995 «i tassi di copertura italiani per Diferite-Tetano-Pertosse e morbillo sono circa del 50%: i più bassi di tutta l’Europa». Inoltre «indagini condotte dall’Istituto Superiore di Sanità hanno confermato che la copertura vaccinale della popolazione pediatrica italiana è ancora insufficiente sia per il morbillo-rosolia-parotite (51%) che per la pertosse (62%), e che gli intervalli dei tassi di copertura sono molto ampi tra e intra le singole Regioni. Il ritardo vaccinale e del completamento dei cicli sono endemici nelle Regioni meridionali, sebbene un’ampia variabilità territoriale sia stata riscontrata anche al Nord. I casi di rifiuto alle vaccinazioni obbligatorie sono segnalati in tutte le Regioni, in particolare per la vaccinazione anti-epatite B».

Un vero e proprio disastro, che le mamme dell’appello citato all’inizio di questo articolo non avevano evidentemente colto, per vent’anni. Già, le mamme… gli atti del convegno continuano: «L’ignoranza circa l’efficacia, il tipo, le scadenze di impiego e le norme legislative dei vaccini da parte delle famiglie è stata documentata nel corso di alcune recenti ricerche epidemiologiche. In particolare: oltre un terzo di 3542 mamme che conducevano il proprio figlio al Servizio per la prima vaccinazione DT ignorava completamente l’esistenza del vaccino anti-pertosse che nella stessa seduta il bambino avrebbe potuto ricevere»((Inoltre si documentava come alle solite carenze a livello centrale statale (Mancanza di obiettivi nazionali di copertura vaccinale e di conseguenti strategie di politica vaccinale per le vaccinazioni raccomandate) si sommassero le inefficienze e carenze regionali (Disomogeneità nei calendari vaccinali. Assenza di centri di raccolta, valutazione e programmazione di tutte le vaccinazioni fatte ai singoli. Assenza di un sistema di chiamata attiva e scarsa attenzione alla certificazione dell’avvenuta vaccinazione…))).

Insomma, ritardi, ignoranza, rifiuti, il tasso di vaccinazione più basso d’Europa… e siamo nel 1996. Nessuna protesta, nessuna paura, nessun allarme per la deriva antiscientifica; e nessun provvedimento viene preso.

Anzi, da lì a poco, due vicende sconvolgeranno ancor di più il rapporto Stato-Scienza-Opinione Pubblica.

Si apre il vaso di pandora negli anni ’90: tutti contro Big Pharma

Nel 1998 esce, sulla prestigiosa rivista The Lancet un clamoroso studio del medico britannico Andrew Jeremy Wakefield che mette in diretta relazione l’insorgere dell’autismo nei bambini con il vaccino trivalente (morbillo-rosolia-parotite).

L’effetto è immediato e di enormi proporzioni: in Gran Bretagna prima, ed in mezzo mondo poi, le immunizzazioni crollano. Milioni di genitori rifiutano di sottoporre i loro figli al rischio, e comincia la campagna contro «Big Pharma», cioè contro le case farmaceutiche che volontariamente farebbero ammalare i bambini, tramite il vaccino, per poi speculare sulle cure.
Verifiche scientifiche mettono subito in dubbio la ricerca, ma è necessario attendere una inchiesta giornalista a cura di Brian Deer del 2004 per svelare la terribile truffa: Wakefield si è letteralmente inventato tutto, per soddisfare un gruppo di antivaccinisti che lo ha lautamente pagato per scrivere il falso. Wakefield aveva inoltre programmato un sistema per lucrare sullo scandalo, ed aveva oltretutto condotto i suoi «studi» con leggerezza, brutalità ed un certo sadismo((Gli investigatori scoprirono numerosissime irregolarità, tra cui l’aver sottoposto senza necessità bambini autistici a punture lombari e altre procedure mediche invasive non necessarie, quali delle colonscopie e l’aver agito senza la necessaria approvazione etica da parte di un comitato di controllo istituzionale. Il 28 gennaio 2010 un tribunale di 5 membri designati del GMC trovò provate le accuse, tra cui quattro episodi di disonestà e 12 episodi di abuso su bambini mentalmente disagiati)). Servirono 6 anni dunque, affinché la verità venisse a galla. E fu principalmente merito di un giornalista.

Nel 2010 Lancet pubblicò un articolo di scuse, e Wakefield fu radiato dall’ordine dei medici.
Ma il danno era fatto: la leggenda metropolitana vaccino=autismo continuò (e continua tuttora) a circolare, nonostante decine e decine di studi ne provino la assoluta falsità. È questo uno degli argomenti principi dei no vax, e ha, per due decenni, condizionato il dibattito. In Italia, lo diciamo con rammarico, tale assurda teoria ha trovato spesso, troppo spesso, echi e riscontri mediatici, veicolati anche dalla televisione pubblica tramite la influente trasmissione
 Report, che mandò in onda una puntata piuttosto famosa che narrava di infermità e addirittura morti a causa del trivalente. Questo agitarsi ebbe anche una sponda giudiziaria, persino in tempi recenti, avendo alcuni giudici emesso sentenze che riconoscevano l’autismo come danno da vaccino, e ordinando risarcimenti in base alla citata legge del 1992.

Siamo dovuti arrivare al 2017 e al 2018 perché la Cassazione mettesse fine a tali antiscientifici pronunciamenti.

L’altro caso clamoroso, non direttamente riferibile ai vaccini, ma con effetti psicologici e legislativi che poi li comprenderanno, scoppiò in Italia. Era il caso Di Bella. In brevissimo, i fatti: il dott. Luigi Di Bella da anni e anni curava il cancro con un suo «metodo», basato in gran parte sulla somatostatina. Quando, nel 1996, questa non è più a carico del SSN, e deve essere pagata dai pazienti, comincia una crescente campagna stampa, fortemente sostenuta da Alleanza Nazionale, da alcuni ambienti cattolici, dal TG4 di Emilio Fede, il verde Luigi Manconi e l’allora semplice comico Beppe Grillo. Fu comunque il famoso pretore di Maglie, in Puglia, Carlo Madaro, nel 1997, a scatenare l’opinione pubblica, quando ordinò in un provvedimento d’urgenza all’ASL locale di fornire gratuitamente i farmaci della cura Di Bella ad un bambino affetto da tumore al cervello. Madaro firmerà nei mesi successivi altri sedici provvedimenti simili((Oggi Carlo Madaro non è più magistrato, ma avvocato. Ha rappresentato in tribunale alcune famiglie contrarie all’obbligo vaccinale e si è espresso per la «libertà di scelta» dei genitori in questo campo)).

Le Regioni Puglia (a guida Di Staso, Forza Italia) e Lombardia (a guida Formigoni, CDU), deliberano la gratuità della cura Di Bella. L’Italia impazzisce in un turbinio di trasmissioni televisive (Mentana, Santoro, Costanzo e molti altri invitano spesso l’anziano professore in studio) e di articoli di giornale((In poco meno di un anno, dal 16 dicembre 1997 al 25 novembre 1998, cinque soli quotidiani italiani censiti da wired.com – Corriere della sera, Il Giornale, La Stampa, la Repubblica e Il Secolo d’Italia- dedicarono complessivamente 305 articoli al caso Di Bella; ad essi sono da aggiungere quelli pubblicati da tutti gli altri organi di stampa quotidiani e settimanali.)). Si sviluppa un sentimento di ostilità e persino di odio verso la medicina ufficiale, che tortura i pazienti con la chemioterapia e contro l’industria farmaceutica che trae enormi profitti dalla sofferenza dei malati di cancro. Per tutto il 1998 la ministra della Sanità, Rosy Bindi, del PPI, è sottoposta ad attacchi politici, parlamentari, giornalistici e anche personali, ed è costretta ad accettare una sperimentazione ufficiale del trattamento, anche a seguito di una sentenza della Corte costituzionale.(Per un riassunto dei fatti, i cui strascichi peraltro non si sono ancora esauriti, consigliamo questa cronologia.) I risultati saranno impietosi, il metodo non funziona, anzi, in molti casi peggiora la situazione dei pazienti. La sperimentazione termina con una scia di morti, ma anche di polemiche violentissime.

Forse questo, forse un pensiero corrente in tutta Europa, forse le sempre maggiori deleghe alle Regioni nei Piani Sanitari degli anni ’90, che poi sfoceranno nella riforma iper-regionalista del Titolo V della Costituzione…. comunque fu, la Ministra Bindi, in concerto col ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer (DS) e col Presidente del Consiglio Massimo D’Alema (DS), emana quello che, nella nostra narrazione, è forse il passaggio chiave: il DPR 26 gennaio 1999, n. 335, che modifica, anzi, inverte completamente le regole. L’art. 47 del regolamento del 1967 proibiva a direttori e presidi di accettare bambini non vaccinati. Il DPR 335 della Bindi riscriveva proprio quell’articolo, e, pur non rimuovendo l’obbligo per le quattro vaccinazioni previste, imponeva ai dirigenti scolastici di ammettere gli studenti non vaccinati:

Nel caso di mancata presentazione della certificazione o della dichiarazione di cui al comma 1, il direttore della scuola o il capo dell’istituto comunica il fatto entro cinque giorni, per gli opportuni e tempestivi interventi, all’azienda unita’ sanitaria locale di appartenenza dell’alunno ed al Ministero della sanità’. La mancata certificazione non comporta il rifiuto di ammissione dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami.

Dopo la depenalizzazione del 1981, dopo la sostanziale sparizione delle sanzioni, arriviamo, nel 1999, alla cancellazione dell’ultima barriera, dell’ultimo limite, all’abbattimento dell’ultimo ostacolo pratico: la impossibilità di frequentare la scuola viene meno.

È una sorta di rottura della diga. Le preoccupazioni espresse durante il dibattito pubblico sull’approvazione del DPR non vengono ascoltate((Si legga in proposito http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnSalute/1998/09/30/Sanita/VACCINAZIONI-BINDI-NON-ABOLITO-OBBLIGO-MA-PROCEDURA-DIVERSA_134300.php)). La copertura vaccinale diminuisce anno dopo anno (scolastico), ma nessuno si allarma, nessuno si scandalizza, le mamme continuano a mandare i bambini immunodepressi in classe. Il morbillo comincia a diffondersi a livelli mai visti prima: se in epoca prevaccinale, nel 1988, si erano avuti 160 casi ogni 100.000 abitanti e se nel 2001 erano scesi a 1,5 gli effetti della deregulation si fanno sentire l’anno dopo, il 2002, quando c’è una vera e propria epidemia con ben 32 casi ogni 100.000 abitanti, con la punta raggiunta in Campania, dove si arrivò a ben 204 malati di morbillo ogni 100.000 abitanti.

Anni 2000: Le Regioni aboliscono l’obbligatorietà e legittimano “l’ideologia” no vax.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione, riforma approvata dal centrosinistra, le Regioni diventano padrone della sanità. I politologi ed i costituzionalisti parlano, da quel momento, non più di una sanità italiana, ma di 21 sanità regionali distinte ed indipendenti, una per regione (+ provincia di Bolzano). E nella loro autonomia, molte Regioni rendono i vaccini una scelta, basata sui principi della volontarietà e della obiezione di coscienza (sic!); l’obbligo, pur sussistendo nella legge italiana, non esiste più in mezzo Paese.

A titolo di esempio, la Regione Piemonte (presidente Mercedes Bresso, PD) fin dal 2006 elimina di fatto l’obbligatorietà. È interessante vedere le motivazioni che vengono portate a supporto della decisione in un lungo documento programmatico«il rifiuto delle vaccinazioni non è di per sé necessariamente indice di incuria, negligenza o trascuratezza nei confronti del minore, potendo invece derivare da una posizione di tipo ideologico assunta da persone che manifestano una visione alternativa della prevenzione e più in generale un rifiuto della medicina convenzionale(…). la vaccinazione è un trattamento preventivo proposto a persone sane e in tale ambito non si configura lo stato di necessità, unica situazione in cui non è richiesto il consenso del paziente o del rappresentante legale (…). È invece fortemente raccomandabile in caso di rifiuto di una o più vaccinazioni la sottoscrizione da parte del candidato o del genitore/tutore di una dichiarazione di rifiuto informato(…). Si ritiene possibile iniziare un percorso di sospensione dell’obbligo vaccinale, limitato inizialmente ad una sospensione delle sanzioni amministrative nei casi di rifiuto delle vaccinazioni obbligatorie. A tal fine, è sospesa a tempo indeterminato l’applicazione della sanzione amministrativa prevista da… (segue l’elenco di tutte le leggi statati sui vaccini)»

In poche parole la giunta di sinistra piemontese blocca ogni sanzione, anche bypassando le norme nazionali, evitando persino di segnalare chi non adempia agli obblighi.

Il Veneto (presidente Gianfranco Galan, Forza Italia), emana una legge, la 7 del 23 marzo 2007, che con nettezza dice al suo articolo 1 Per tutti i nuovi nati a far data dal 1° gennaio 2008 è sospeso nella Regione del Veneto l’obbligo vaccinale.

Una legge che si auto-giustifica con le seguenti affermazioni: «le vaccinazioni obbligatorie vengono spesso percepite come pratica “burocratica”, slegata dal problema di salute che la sottende; verso la coercizione vaccinale sono sorti nel tempo movimenti di opposizione, su base ideologica; la legislazione europea è scarsamente orientata verso l’imposizione vaccinale (…) L’abolizione dell’obbligo vaccinale in favore dell’offerta attiva appare pertanto praticabile in quelle Regioni che abbiano dimostrato un consolidamento e un rilancio della profilassi vaccinale specificamente documentati dall’ottenimento di coperture eccellenti per le vaccinazioni raccomandate.

La Regione del Veneto ha conseguito questi fondamentali requisiti che costituiscono una solida base per l’abbandono della coercizione vaccinale»

la Provincia di Trento, nel 2012, dopo due anni dalla approvazione della legge provinciale sanitaria, che all’art. 49 parla di misure volte al graduale superamento delle vaccinazioni obbligatorie in età pediatrica, decide che «viene sospesa l’applicazione delle sanzioni pecuniarie nei confronti dei genitori e di coloro che hanno la patria potestà sui minori che rifiutano di sottoporre a vaccinazione gli stessi per un insuperabile convincimento personale ed è abolito il certificato vaccinale per l’iscrizione scolastica». Il presidente era Dellai, del centrosinistra cattolico.

La Lombardia di Formigoni era stata forse la capostipite, con la deliberazione della giunta regionale 8/1587 del 2005. prevedendo, «per la renitenza alle vaccinazioni obbligatorie, l’eliminazione delle sanzioni e la segnalazione al Tribunale dei minori solo ove sussistano condizioni di trascuratezza» .

Anche le regioni «rosse», a forte maggioranza piddina, come Emilia Romagna e Toscana si schierano a favore della liberà di scelta e della obiezione di coscienza. In poche parole, chi non desidera vaccinare i figli, da Piacenza a Rimini e da Carrara a Grosseto, non ha alcuna conseguenza, ma, al contrario, ha comprensione, strutture preposte e modulistica a disposizione.

La Giunta emiliana guidata da Vasco Errani delibera un interessante documento con il quale limita la segnalazione alla Procura della Repubblica, solo ai caso di «evidenti e sicuri segni di incuria, trascuratezza e abbandono del minore» (punto 5.12) valutando «le sanzioni… uno strumento obsoleto e inadeguato» al quale devono essere preferiti «dialogo e la promozione della consapevolezza». Praticamente quello che oggi sostiene il M5S

Per quanto riguarda la Toscana, la delibera di giunta ai tempi del presidente Claudio Martini (allora DS, oggi PD) è proposta dall’assessore Enrico Rossi (DS), che poi diventerà a sua volta presidente (col PD, per poi entrare in LeU). Tale delibera accoglie e rende esecutivo quanto previsto in documenti elaborati nel 2005 (e confermati poi negli anni successivi, come in questa relazione del 2014) e che esplicitamente citavano la possibilità per i non vaccinati di iscriversi ad asili e scuole, e riconoscevano la pericolosità delle vaccinazioni obbligatorie, e quindi il relativo diritto di opporvisi. Il modulo di «dissenso alla vaccinazione», da riempire e consegnare alla ASL, era ancora scaricabile ed utilizzabile sul sito della regione più piddina d’Italia nel 2017.

In definitiva le Regioni ed i partiti che le amministrano, coi loro alleati di ogni colore e di ogni collocazione, riconoscono il diritto dei genitori di scegliere se vaccinare o no i loro figli indipendentemente dalla conclamata realtà scientifica; riconoscono una obiezione di coscienza al vaccino, anche ai quattro che la legge nazionale ancora reputava obbligatori; anzi, le norme regionali chiamano questi ultimi con un nome diverso, non obbligatori ma prioritari, oppure, come ad esempio fa la regione Toscana, raccomandabili, una differenza lessicale che è anche culturale e politica; riconoscono il diritto dei non vaccinanti di non essere  sanzionati  segnalati, e autorizzano l’iscrizione a scuole ed asili dei bambini non vaccinati, senza considerare minimamente la presenza di compagni immunosoppressi/depressi.

Tutto questo per quasi 20 anni.

Le suggestioni novax, ormai liquidate dalla scienza ufficiale, avevano trovato, sostegno e legittimazione da parte dell’intero arco costituzionale, senza nessuna opposizione.

L’obbligo vaccinale, è storicamente incontrovertibile, in Italia è stato abolito, giuridicamente e/o di fatto, dai partiti e le amministrazioni centrali e periferiche che hanno governato per i passati venti anni.

Le sanzioni previste per chi non vaccinava sono evaporate in un fumus di lassismo e di permissivismo, di comprensione per le convinzioni, che oggi si denunciano con forza come antiscientifiche e pericolose, ma che erano definite e apprezzate come “ideologiche” da quegli stessi partiti e da quelle stesse istituzioni, spesso dalle medesime persone, che oggi si stracciano le vesti e gridano al pericolo di un ritorno al medioevo.

Gli ostacoli alla iscrizione alle scuole sono stati rimossi, cancellati e talvolta ridicolizzati da governi, regioni e comuni (per quanto riguarda gli asili), diretti e amministrati dagli stessi partiti e spesso dalle medesime persone, che oggi si affannano a rendere inflessibili e severissime le regole per l’accesso in aula.

Nessuno di quei partiti, nessuna di quelle amministrazioni, nessuna di quelle persone ha ammesso l’errore, ha giustificato il voltafaccia, ha chiesto scusa per le conseguenze di 20 anni di totale deregulation, 20 anni nei quali i virus e le malattie infantili e non solo hanno potuto circolare quasi liberamente.

Nel frattempo, oltre alle malattie infettive, covavano in Italia patologie sociali.

Il decreto Lorenzin. I vaccini tornano obbligatori.

La genesi: Stamina

Impossibile prescindere dal caso Stamina per comprendere il clima politico e culturale nel quale è maturato poi il decreto. Davide Vanoni, che non è un medico ma è laureato in scienza della comunicazione, arriva agli onori della cronaca dopo che un articolo del Corriere nel maggio del 2009((a firma di Adriana Bazzi intitolato «Le cellule clandestine. Dottore dove posso guarire con le staminali? (8 maggio 2009))) ne ha rese note le presunte cure miracolose: il pm Raffaele Guarinello indaga sulle pratiche e sui metodi (costosissimi) del Vanoni e dei suoi associati, e chiede l’incriminazione per 12 persone. Ma ancora una volta una trasmissione TV diffonde tra gli italiani illusione e confusione. Si tratta de Le Iene, che prende le difese, diciamo così, della Fondazione Stamina e mostra immagini di bambini gravemente malati che, inspiegabilmente, guariscono! Le loro numerose trasmissioni sulla terapia (almeno una ventina di servizi) aprono un fronte movimentista, una nuova ondata di isteria collettiva investe il Paese. Si creano veri e propri comitati pro-Stamina e pro-Vanoni. Mentre la comunità scientifica di tutto il mondo esprime seri dubbi o esplicitamente boccia il protocollo((Condannano, criticano, bocciano o mettono in dubbio «Stamina» tra gli altri: l’Accademia dei Lincei, la rivista Nature, l’Agenzia Europea per i Medicinali, la rivista dell’Organizzazione Europea della Biologia Molecolare, l’Associazione Famiglie Atrofia Muscolare e Spinale, il premio Nobel per la medicina e presidente della Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali, prof. Shinya Yamanaca, ed il premio Nobel per la medicina Randy Schekman e l’attuale senatrice a vita, la biologa Elena Cattaneo, Ma rimasero inascoltati.)), la politica insegue i peggiori istinti populisti. A Roma, a Firenze, a Milano ed in altre città si svolgono cortei e manifestazioni per la «libertà di cura» ai quali partecipano in prima persona esponenti delle istituzioni di tutti i partiti. Tutti.

Molti tribunali italiani, così come fu per la cura Di Bella, impongono alle ASL di curare con il metodo Stamina.

Sotto la pressione popolare, e all’insegna della più netta ascientificità, anti-scientificità (quella per la quale la Scienza ufficiale è cattiva, condanna alla sofferenza, impedisce di salvare chi non le si piega), il 23 maggio 2013 il neoeletto Parlamento italiano approva la sperimentazione ufficiale del metodo Stamina nelle strutture pubbliche, e stanzia 3 milioni di euro come prime spese. Votano  al provvedimento, tra lo stupore della comunità medica internazionale, 504 deputati (4 astenuti, 1 no) e 259 senatori (6 astenuti e 2 no). Dunque è su tutti i deputati e tutti i senatori di tutti i partiti della passata legislatura, che ricade la responsabilità di questa scelta, responsabilità che solo in pochissimi non hanno voluto assumersi. La straziante vicenda della piccola Sofia, bambina di Padova affetta da leucodistrofia (ma poi accolta e «adottata» con la sua famiglia a Firenze, città all’epoca al centro del dibattito politico-istituzionale), il susseguirsi di trasmissioni TV su ogni canale e i tanti testimonial famosi erano, per la politica, un pasto troppo ghiotto, per evitare di buttarcisi con imprudente voracità. È interessante notare che molti politici e giornali che hanno accusato Giuseppe Conte, attuale Presidente del Consiglio, per essere stato alcuni mesi, da avvocato, legale della famiglia della piccola Sofia, fossero all’epoca in prima linea per il diritto alle cure alternative, compresa Stamina, da usarsi in quel tragico caso (Sofia è purtroppo morta nel 2017), e firmassero l’atto costitutivo di una fondazione dedicata a questo scopo. Tutta la politica, salvo poche eccezioni, era pro-stamina, ma soprattutto a caccia di voti e di consenso((A scanso di equivoci, Approfondendo.it e la sua redazione da subito si espressero in modo fortemente critico e scettico nei confronti del metodo Stamina. Pubblicammo anche un breve articolo, che ci costò anche molte cancellazioni dalla nostra mailing list, nel quale, a sua volta, veniva citato un pezzo di Medbunker che smontava le teorie di Vanoni https://www.approfondendo.it/redazione/dario_derosa_stamina=15aprile2013.htm)).

La sperimentazione inizia, e volge rapidamente verso la fine impietosa. Non ci addentreremo nella vicenda, ma ricordiamo solo i passaggi essenziali: gli istituti che devono seguire la sperimentazione chiedono a Vanoni ed ai suoi collaboratori il protocollo, per studiarlo ed applicarlo, ma esso non viene consegnato, se non il 5 agosto, dopo rinvii, insistenze, pressioni e promesse di segretezza. Il nuovo ministro della sanità, Beatrice Lorenzin, appare da subito tra i più scettici, e la commissione di controllo da lei nominata, fin dalle prime verifiche, l’11 settembre 2013, chiede che neanche si proceda con la sperimentazione, che nessuno venga sottoposto alle previste infusioni e che il medicinale non solo è inutile, ma persino dannoso, oltre che truffaldino, in quanto non contiene cellule staminali. Un disastro.

La Lorenzin blocca le procedure, Vanoni fa ricorso al Tar del Lazio, che gli dà pure ragione, e, tra una accusa e l’altra, la storia di Stamina finisce con una condanna di Vanoni e dei suoi soci, e con un suo successivo nuovo arresto. Ma la sua vicenda giudiziaria adesso ci interessa poco: quel che conta, nella nostra narrazione, è l’avvelenamento del dibattito che comportò: da una parte, i fautori della libertà di cura, della libertà di scelta, dei paladini delle cure alternative in opposizione alla medicina ufficiale, vista come burocratica, avida, insensibile e interessata solo al profitto, dall’altra, le industrie farmaceutiche, le ASL e lo Stato, accusato di voler imporre in modo coercitivo solo alcuni metodi, alcune scelte e, eccoci al punto, i vaccini.

Sacralità del corpo (non lo violerete con sostanze malefiche) e antiscientificità (la Scienza è bugiarda, dannosa e cattiva)

La sfiducia nei vaccini nasce coi vaccini stessi. Siamo abituati a pensare che il movimento no-vax sia nato, o sia prosperato, solo negli ultimi anni, e magari a causa o in parallelo con certi partiti politici di nuova fondazione. In realtà, come abbiamo visto, esso è stato conosciuto e riconosciuto dalla politica e dalle istituzioni fin dagli anni ‘90 ed ai genitori no-vax sono state fornite solidarietà, comprensione, e tutte le forme legali e amministrative per evitare le normative su obblighi e sanzioni. In quella sorta di benevola tolleranza e di visione dello Stato come oppressore appartenenti alla filosofia delle sinistre, e in quella sorta di particolarismo e di avversione allo Stato come potere centralista ostile, appartenenti alla filosofia delle destre, i no-vax hanno prosperato. Non solo in Italia, sia ben chiaro: secondo uno studio del 2016 pubblicato da vaccineconfidence.com, l’Italia è, col suo 21% di diffidenti, tra le prime dieci nazioni al mondo a non credere alla sicurezza dei vaccini, ma ben lungi dalla Francia, dove la percentuale raggiunge il 41.

Non conosciamo esattamente la situazione all’estero, ma nel nostro Paese l’antivaccinismo trova sponde politiche e giornalistiche importanti. Nella passata legislatura, l’arrivo in parlamento del M5S e, in esso, di molti antivaccinisti, che si aggiungono a quelli già presenti a destra e a sinistra, fonde lo scontro medico-scientifico con quello meramente politico.
Lo affermiamo chiaro e tondo: a nostro avviso, se non ci fosse stata la competizione feroce tra PD e M5S, dopo 20 anni di lassismo, nessuno avrebbe pensato ad un provvedimento tanto serio quanto necessario come il Decreto Lorenzin. È vero che la situazione stava degenerando, ma essa non era poi così più drammatica di prima. Le coperture vaccinali erano (alcune) in calo, ma non stavano precipitando. È vero, è nettamente vero, che erano scese in molti casi sotto la cosiddetta soglia di sicurezza di immunità di gregge (in particolare, per tutte le vaccinazioni, in Alto Adige!) ma il fenomeno era in atto da tempo.

Il calo di oggi è causato dalla situazione legislativa degli anni precedenti, così come epidemie scolastiche sono dovute a scelte effettuate almeno sei anni fa, quando il bambino è nato. Ogni allarme parte in un dato e preciso momento, questo è chiaro, ma lo scontro al calor bianco tra opposte fazioni ha (fortunatamente?) dato visibilità ad una situazione che avrebbe dovuto essere palese da molto prima. Chissà, forse è proprio vero che la dialettica sia il motore del progresso, o almeno costringa gli stessi attori che hanno provocato il buco a metterci una toppa. Ed i loro antagonisti ad opporsi in modo così poco scientifico e spesso fanatico, da indurre a non perdere più un solo minuto di tempo. Una dialettica dove il rispetto e la dignità sono venuti spesso meno, e dove la logica ed i dati medici sono stati spesso oggetto di derisione e di accuse folli.

Il fronte antivaccinista, o minimizzatore («di morbillo non è mai morto nessuno») si è ri-composto attorno a vecchi guru del complottismo e della «controinformazione», i soliti blogger ed i soliti pseudoesperti, che godono di fin troppa visibilità per elencarli in questo articolo, coadiuvati stavolta da organi di stampa ritenuti autorevoli (il Fatto Quotidiano), mentre il neonato fronte vaccinista ha visto come suo più attivo portavoce il medico Burioni, al quale fu offerta anche una candidatura da uno dei partiti che a suo tempo aveva tolto obblighi vaccinali e scolastici.

Sul fronte parlamentare, si apre un dibattito che vede, agli opposti, M5S e PD, e, nel mezzo, con varie sfumature, tutti gli altri.

Ma forse dovremmo dire che lo scontro è M5S-Renzi, più che PD.

Perché la approvazione del decreto Lorenzin che aumenta da 4 a 10 le vaccinazioni obbligatorie e che prevede l’autocertificazione come atto necessario all’iscrizione a scuola dei bambini ha avuto la sua genesi durante il governo Renzi, anche se è stato approvato col governo Gentiloni, e Renzi si è fatto interprete della necessità di reintrodurre l’obbligatorietà, scontrandosi con una buona parte della sinistra (in particolare Sel e Articolo 1 Mdp, o quel che sono diventati) e anche con esponenti del suo stesso partito (Emiliano, ad esempio).

Quando, nel maggio 2017, la ministra Lorenzin presenterà il suo decreto, la ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, si schiera contro la scelta di rendere obbligatori i vaccini per iscriversi a scuola, forse sentendo la norma come intrusiva nelle sue competenze, e richiama la collega sul diritto all’istruzione, che deve essere prioritario. In questa sottile linea di frattura si inseriscono, o tentano di inserirsi, tutti i contrari al decreto, dai più possibilisti ai più estremisti. Improvvisamente lo scenario dello scontro non è più tanto quello della pericolosità delle immunizzazioni, quanto quello della libertà di frequenza delle scuole ed asili.

Mentre in parlamento M5S e Lega scatenano una opposizione durissima, nelle piazze e sui mezzi di informazione la protesta dei no vax dilaga con una crescente virulenza e aggressività. Non riportiamo per decenza quanto viene rovesciato su Beatrice Lorenzin e sui favorevoli ai vaccini. I social impazziscono, i più famosi polemisti vomitano oscenità e gridano al pericolo di una strage di innocenti, si organizzano cortei e sit in.

In prima battuta, il decreto approvato alla Camera dei Deputati è draconiano: le vaccinazioni obbligatorie salgono da quattro a dodici, i genitori che non ottemperano possono essere multati con una sanzione fino a 7500€, e in caso di rifiuto ulteriore, possono essere privati della responsabilità genitoriale.
Lo scontro è al calor bianco in tutto il Paese. Mentre la Regione Emilia Romagna, Friuli e Toscana provano ad anticipare i tempi della legge e tornano sulle loro stesse decisioni, ripristinando l’obbligatorietà vaccinale per la frequenza di scuole e asili, ma con distinguo e diverse tempistiche, mentre la Puglia ed altre regioni guardano con sospetto alla «coercizione», la Regione Veneto (Presieduta da Zaia, Lega Nord) fa addirittura ricorso alla Corte costituzionale, ricorso che viene però respinto. Anche la ministra Fedeli ritira le sue obiezioni.
Forte di questa ultima legittimazione, il governo Gentiloni va avanti. Però evidentemente qualcosa cambia: quando il provvedimento passa al Senato, oltre alla solita pioggia di emendamenti delle opposizioni, ne vengono presentati molti anche dalla maggioranza. Così, mentre si invoca la scienza, passano riconoscimenti di pratiche, come l’omeopatia e la osteopatia, assai dubbi dal punto di vista del rigore scientifico (e sono riconoscimenti voluti dal PD). Ed il decreto si ammorbidisce di molto: con l’attiva mediazione, ed anzi, le proposte presentate in Commissione ed in aula dal Partito Democratico stesso, i vaccini obbligatori scendono a 10 da 12 che erano; la sanzione pecuniaria scende al massimo a 500€, e sparisce del tutto la segnalazione alle autorità per la privazione della responsabilità genitoriale. Anche le incombenze scolastiche diventano più flessibili ed i tempi più ampi (l’anno scolastico nel quale tutto entrerà a regime è quello 2019-20)

Qualcuno sostiene la piena ragionevolezza di questo ammorbidimento, qualcuno fa più riferimento ai sondaggi che vedono gli avversari del PD in crescita esponenziale. Bagno di realtà o strategia elettorale che sia, il decreto viene convertito in legge il 31 luglio 2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 agosto. Appena poco più di un anno fa.


L’obbligo esiste da solo un anno.

È quindi solo un anno che la copertura vaccinale contro le classiche malattie infettive e contro anche morbillo e varicella è diventata obbligatoria, così come obbligatorio è presentare la documentazione per l’iscrizione scolastica. Pochi mesi, che però nella percezione comune sono una lunga fase storica, a fronte dell’oblio nel quale sono caduti i quasi vent’anni di assoluta, come è stato detto, libertà di scelta e di obiezione di coscienza. Così come politicamente è stata usata per attaccare il governo precedente, la vaccinazione oggi appare essere ancora uno strumento di lotta politica, giocata sul fronte mediatico più che di sanità e prevenzione.

Criminalizzare o anche solo ridicolizzare la prevenzione è stupido e imprudente; non meglio è però creare panico o allarmismo, quando per tutti gli anni passati il problema non era mai voluto emergere. Che si scateni ora il panico per un anno di autocertificazioni in più è poco comprensibile, quando per vent’anni si è plaudito alla fine della vaccinazione obbligatoria. Oltretutto, i bambini senza certificazione, non vengono amessi nelle scuole. I casi segnalati sono decine. Alla irrazionalità di una parte, rischia di seguire un panico di senso opposto.

Ecco perché abbiamo voluto ricostruire storicamente i fatti e le normative, al fine di riconoscere le responsabilità secondo il loro giusto peso.

Cosa farà la nuova ministra Grillo? Cosa farà il nuovo governo? Tra rinvii, conferme, smentite, annunci, slittamenti, per ora rimangono in vigore le norme del 2017, con qualche [auto]certificazione in più. Intanto assistiamo ad un ammorbidimento anche dei politici anti-vaccini, che, dalla volontà di cancellare la legge Lorenzin e dalle accuse di attentato alla libertà, sono passati ad atteggiamenti un po’ più pacati, come la vicepresidente del Senato Taverna. Cosa hanno fatto negli ultimi vent’anni, e cosa faranno ora le mamme (… ma i babbi?), quelle pro e quelle contro?

Tutto ciò attiene al futuro, al divenire, e magari ne parleremo in seguito, a nuova eventuale legge approvata. Ma non è materia per questo articolo, che è un sunto di una storia, la Storia del come l’Italia ha vissuto, scientificamente e/o ideologicamente, e percettivamente, quella straordinaria opportunità di prevenire le malattie tra le suggestioni mistiche e le paure arcaiche.