L'Italicum è una legge bruttissima. Il fallimento filosofico di una norma tecnicamente pessima.

di Marco Ottanelli

Alla Camera dei Deputati, dopo essersi consumato l’ennesimo dramma interno al PD e l’ennesimo strappo istituzionale, con la votazione della fiducia sulla legge elettorale, l’Italicum è diventata norma ufficiale della Repubblica.

Entrerà in vigore solo a luglio del 2016, per dar tempo al processo di riforma costituzionale che abrogherà il Senato elettivo. Se per disgrazia (…o per fortuna…) le Camere dovessero essere sciolte prima di quella data, salterebbe tutto. Ma questo sarebbe un altro articolo.

Una legge approvata, anche a larga maggioranza, anche con gli hurrà dei fans, non è detto che sia una legge buona, che sia una legge bella. L’Italicum è una legge bruttissima, pessima. Sotto molteplici punti di vista, non ultimo quello puramente tecnico: coloro che l’hanno scritta e voluta hanno fatto un lavoro dozzinale pieno di errori, vera causa del tanto lamentato ritardo nella sua approvazione, nonostante il Presidente Renzi lo attribuisse ai gufi ed altri animali: ogni volta che si leggeva in aula o in commissione un comma, saltavano fuori incongruenze, contraddizioni, calcoli sbagliati, grossolane castronerie, alle quali si cercava di ovviare in una serie di emendamenti e sub-emendamenti che rasentavano la pura follia verbale. Chi ha seguito le dirette audio parlamentari, sa.

Proprio qua si trova il primo fallimento di quella filosofia e di quella politica, condivisibile o meno, del renzismo: il fare, fare subito, senza impedimenti, sfornare “una riforma al mese” che “ce lo chiede la gente”, che è tutt’uno con “Monti e Letta perdevano tempo e rimandavano, noi concludiamo”; fallimento politico perché, neanche al chiuso del Nazareno, Renzi è riuscito a buttar giù un testo appena decente, e lo ha imposto nonostante i mille problemi funzionali (se non costituzionali) che provocherà, alla faccia del ghe pensi mi (…opsss); fallimento filosofico perché la sua forsennata voglia di giovanilismo, di risolutezza, di scatto, con tanto di affidamento di una materia tanto delicata quanto le riforme alla modesta Elena Maria Boschi, che s’è fatta la carriera nelle municipalizzate fiorentine, ha prodotto un ircocervo che niente ha a che vedere con quel limpido e scattante mondo color pastello a metà tra l’olio cuore e il mulino bianco che i renziani hanno fatto sognare durante e dopo le primarie.

E poi… questo testo che viene discusso, approvato e sottoposto alla fiducia, che testo è? Non è il testo originale del Nazareno, e neanche solo il testo corretto e ricorretto in seguito: è il risultato della unificazione di più e più proposte similari presentate – separatamente – da un gran numero di deputati di tutte le forze politiche.
Le proposte sono le numero 3- 35- 182- 358- 551- 632- 718- 746- 747- 749- 876- 894- 932- 998- 1025- 1026- 1116- 1143- 1401- 1452- 1453- 1511- 1514- 1657- 1704- 1794- 1914- 1946- 1947- 1977- 2038-bis-C presentate, tra firmatari e cofirmatari, da circa 400 parlamentari. Inoltre il Testo Unificato comprende persino una proposta di Legge Popolare.

Anche se ovviamente le Commissioni Affari Costituzionali hanno riportato le varie proposte o parti di esse a convergere quanto più possibile sul testo governativo (nb: nulla di eccezionale, succede sempre per proposte di legge più o meno sovrapponibili, per una questione di economia intellettuale, diciamo), quel che risulta è un’insalatona mista di idee, concetti, meccanismi, obiettivi a volte per nulla in linea l’uno con l’altro, e, fattore non secondario, una bella zuppa di corresponsabilità, tanto che a questo testo oggi così contestato hanno direttamente o indirettamente partecipato proprio tutti, maggioranze e opposizioni, minoranze e dissidenti, alleati ed avversari, i quali tutti immaginiamo ora non possano neanche più sapere se quello cui votano contro o a favore sia a suo tempo stato scritto da amici o nemici, ed in che parte, ed in che misura, e in sostituzione di cosa.

Dicevamo della farraginosità. A titolo di mero esempio, si legga quale è la procedura per l’attribuzione dei seggi alle singole liste.
Ricordiamo che attribuire i seggi alle liste è esattamente il compito di qualsiasi legge elettorale, è il suo cuore, corpo, testa e coda. Teoricamente ogni elettore dovrebbe sapere quanto a chi e dove va il suo voto, cose già clamorosamente messe in dubbio con lo scellerato meccanismo dello scorporo del Mattarellum, ma stavolta, nell’Italicum, si rasenta la follia. Quanto segue è appunto il meccanismo di ripartizione, ma non siamo sicuri che funzioni perché, come denunciato in particolare nella seduta del Senato del 23 gennaio scorso, mancando le simulazioni tecniche, è quasi impossibile sapere come si ripartiscono i voti nei 100 seggi plurinominali nei quali sarà divisa l’Italia.

Questo l’Italicum:

 

«Procede poi alla distribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi assegnati alle liste di cui al numero 3). A tale fine, per ciascuna lista di cui al numero 3), divide la cifra elettorale circoscrizionale per il quoziente elettorale nazionale, ottenendo così l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alla lista medesima. Moltiplica quindi ciascuno degli indici suddetti per il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione e divide il prodotto per la somma di tutti gli indici. La parte intera dei quozienti di attribuzione così ottenuti rappresenta il numero dei seggi da attribuire nella circoscrizione a ciascuna lista di cui al numero 3). I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali le parti decimali dei quozienti di attribuzione siano maggiori e, in caso di parità, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi determinato ai sensi del numero 4). In caso negativo, procede alle seguenti operazioni, iniziando dalla lista che abbia il maggior numero di seggi eccedenti e, in caso di parità di seggi eccedenti da parte di più liste, da quella che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale, proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti: sottrae i seggi eccedenti alla lista nelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti di attribuzione, secondo il loro ordine crescente, e nelle quali inoltre le liste, che non hanno ottenuto il numero di seggi spettanti, abbiano parti decimali dei quozienti non utilizzate. Conseguentemente, assegna i seggi a tali liste. Qualora nella medesima circoscrizione due o più liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte decimale del quoziente non utilizzata o, in caso di parità, a quella con la maggiore cifra elettorale nazionale. Nel caso in cui non sia possibile attribuire il seggio eccedentario nella medesima circoscrizione, in quanto non vi siano liste deficitarie con parti decimali di quozienti non utilizzate, l’Ufficio prosegue, per la stessa lista eccedentaria, nell’ordine dei decimali crescenti, ad individuare un’altra circoscrizione, fino a quando non sia possibile sottrarre il seggio eccedentario e attribuirlo ad una lista deficitaria, nella medesima circoscrizione. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi nelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione, e alla lista deficitaria sono conseguentemente attribuiti seggi nelle altre circoscrizioni nelle quali abbia le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate. 10) procede quindi all’attribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi spettanti alle liste di ciascuna coalizione. A tale fine, determina il quoziente circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste di cui al numero 5) per il numero dei seggi assegnati alla coalizione nella circoscrizione ai sensi del numero 9). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista della coalizione per tale quoziente circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali dei quozienti così ottenuti; in caso di parità, sono attribuiti alle liste con la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima, si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi ad essa attribuito ai sensi del numero 8). In caso negativo, procede ai sensi del numero 9), ottavo periodo e seguenti. 2. Qualora la verifica di cui al comma 1, numero 6), abbia dato esito negativo, alla lista che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale viene ulteriormente attribuito il numero aggiuntivo di seggi necessario per raggiungere il totale di 340 seggi, fermo restando quanto stabilito al comma 6. In tale caso l’Ufficio assegna il numero di seggi così determinato alla suddetta lista. L’Ufficio divide quindi la cifra elettorale nazionale della lista per il numero di seggi assegnato, ottenendo così il quoziente elettorale nazionale di maggioranza. 3. L’Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti seggi, in numero pari alla differenza tra 618 e il totale dei seggi assegnati alla lista con la maggiore cifra elettorale nazionale ai sensi del comma 2, tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3). A questo fine divide il totale delle loro cifre elettorali nazionali per tale numero, ottenendo il quoziente elettorale nazionale di minoranza; nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale di ciascuna lista per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuto rappresenta il numero di seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. 5. Qualora la verifica di cui al comma 1, numero 5), abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio fra le liste che abbiano ottenuto al primo turno le due maggiori cifre elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di cui al comma 1, numero 3). Alla lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi al turno di ballottaggio l’Ufficio assegna 340 seggi. L’Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti seggi tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi del comma 3. L’Ufficio procede quindi all’assegnazione dei seggi ai sensi del comma 4.»

Per una comparazione, questo è il testo della legge del 1957 che regolava la distribuzione dei seggi in base ai voti, con il vecchio proporzionale:

«Compiute le operazioni di cui all’articolo precedente, l’Ufficio centrale circoscrizionale, facendosi assistere, ove lo creda, da uno o più esperti scelti dal presidente: 1) determina la cifra, elettorale di ogni lista. La cifra elettorale di lista e’ data dalla somma dei voti di lista, compresi quelli di cui al n. 2) dell’articolo precedente, ottenuti da ciascuna lista nelle singole sezioni della circoscrizione; 2) procede al riparto dei seggi tra le liste in base alla cifra elettorale di ciascuna lista. A tal fine divide il totale delle cifre elettorali di tutte le liste per il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione piu’ due, ottenendo cosi’ il quoziente elettorale circoscrizionale: nell’effettuare la divisione trascura la eventuale parte frazionaria del quoziente. Attribuisce quindi ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale risulti contenuto nella cifra elettorale di ciascuna lista. I seggi che rimangono non assegnati verranno attribuiti al Collegio unico nazionale. Se, con il quoziente calcolato come sopra, il numero dei seggi da attribuire alle varie liste superi quello dei seggi assegnati alla circoscrizione, le operazioni si ripetono con un nuovo quoziente ottenuto diminuendo di una unita’ il divisore; 3) stabilisce la somma dei voti residuali di ogni lista e del numero dei seggi non potuti attribuire ad alcuna lista per insufficienza di quoziente o di candidati. La determinazione della somma dei voti residuali deve essere fatta anche nel caso che tutti iseggi assegnati alla circoscrizione vengano attribuiti. Si considerano voti residuali anche quelli di liste che non abbiano raggiunto alcun quoziente ed i voti che, pur raggiungendo il quoziente, rimangano inefficienti per mancanza di candidati; 4) comunica all’Ufficio centrale nazionale, a mezzo di estratto del verbale, il quoziente elettorale circoscrizionale, il numero dei seggi rimasti non attribuiti nella circoscrizione, e, per ciascuna lista, il numero dei candidati in essa compresi, la cifra elettorale,il numero dei seggi attribuiti ed i voti residui; 5) determina la cifra individuale di ogni candidato. La cifra individuale di ogni candidato e’ data dalla somma dei voti di preferenza validi e di quelli assegnati a ciascun candidato ai sensi del n. 2) dell’articolo precedente; 6) determina la graduatoria dei candidati di ciascuna lista, a seconda delle rispettive cifre individuali.».


996 parole contro 363

Anche le leggi precedenti erano tecnicamente complesse, dirà qualcuno… Appunto! ecco il fallimento della filosofia enunciata dai renziani, la semplicità, il risultato immediato, il cittadino che vota sapendo cosa votare ecc ecc.

Il ballottaggio

Di tutta la nuova legge elettorale, il passaggio più innovativo è indubbiamente quello del ballottaggio. Vediamo come funziona, e dove, anche questo, sia un fallimento della filosofia renziana.

Si prescrive che il partito che raggiunga il 40% dei suffragi, prenda la maggioranza assoluta (il 55%) dei seggi in parlamento. Anche il vecchio Porcellum prevedeva che al vincitore andassero il 55% dei seggi, ma le differenze erano notevoli: innanzi tutto, questo vincitore poteva essere una coalizione, una alleanza, un cartello di partiti.
La legge di Renzi invece nega la possibilità di coalizione e assegna il premio solo ad un partito ben preciso.
Nella norma precedente, il premio scattava al primo arrivato qualunque fosse il suo risultato, per quanto percentualmente basso; proprio questa indeterminatezza, che comportava il rischio di assegnare una enorme rappresentanza politica ad una minoranza sostanziale del paese, ha indotto la Consulta a decretare la incostituzionalità; nella nuova norma, per evitare gli strali della Corte, si è posta una soglia minima da raggiungere, inizialmente pensata attorno al 35% e poi fatta via via salire al definitivo 40 per evitare di essere immediatamente bollata (come in effetti era) di incostituzionalità manifesta.

Qualora nessun partito arrivi a cotanto risultato, si svolgerà il secondo turno due settimane più tardi, proprio tra i primi due classificati.

La scienza politica conosce sostanzialmente un unico esempio di suffragio a doppio turno, quello francese. Il fatto che solo una nazione al mondo lo abbia applicato, significa solo una cosa: il doppio turno è assai poco conforme ai principi di governabilità e rappresentanza che sono i due cardini di qualsiasi sistema elettorale. In Francia ha (finora) funzionato grazie ad una serie di coincidenze: e di riforme costituzionali (ultima quella del 2008), nonché alla grande capacità di tenuta dello Stato inteso come organismo esteso e non solo come binomio Parlamento-Governo.

Il ballottaggio francese si svolge per singoli collegi: 577 nei quali il paese è diviso. Si procede al primo turno e laddove cui nessuno è eletto non avendo raggiunto il 50% dei voti validi, si procede al secondo turno. Questo significa che in ognuno dei 577 collegi elettorali, ci può essere una “classifica” diversa rispetto agli altri, e che quindi gli ammessi al ballottaggio possono essere diversificati. E quanti sono questi ammessi? Al secondo turno passa chi ha ottenuto minimo il 12,5% dei consensi degli aventi diritto (che corrisponde all’incirca al 18-20% dei voti validi). Sono quindi teoricamente otto i partiti che si possono ri-confrontare al ballottaggio, lasciando ai cittadini una discreta liberà di scelta. Ovviamente il più delle volte saranno solo i due, tre, quattro candidati col peso elettorale maggiore, ad avere questa possibilità, e molto comuni sono gli apparentamenti con il probabile vincitore per non disperdere il proprio pacchetto di voti, o gli apparentamenti contro un concorrente particolarmente indigesto (in Francia vige una sorta di conventio ad excludendum nei confronti del Front National, quindi, quando c’è in …ballo un suo candidato, tutti gli altri partiti, sinistre e destre, convergono su un unico nome per batterlo)

Il doppio turno alla renziana è tutta un’altra cosa: si prendono i primi due partiti, solo essi, e, a livello nazionale, li si sottopone a plebiscito onde individuare il trionfatore. Qualcosa che sa più della finale di un talent che di una competizione tra programmi e persone destinate a governare.

La differenza col sistema francese è macroscopica: non solo i possibili competitori sono due e solo due, ma non c’è alcun fattore locale di collegio che possa riequilibrare almeno in parte la partita. Nel gioco a premi italiano, si crea una sorta di listone unico e si chiede “Cristo o Barabba?” ad un numero di “giudici” solo parzialmente rappresentativo dell’intero corpo elettorale. E si vieta esplicitamente qualsiasi apparentamento.
A quel punto, infine, il supervincitore.

Questo sistema è alquanto poco democratico, in quanto rimette in gioco il risultato legittimo di sole due settimane prima, e che vedrà inevitabilmente pesare di più, in assenza di circoscrizioni, la parte più densamente abitata della nazione: la Lombardia, con i suoi 9 milioni di cittadini, sarà super-determinante, mentre il Molise o la Basilicata saranno giocoforza marginali.

Ora, il punto è comunque questo: Renzi da anni annuncia una legge elettorale che possa far sapere agli elettori chi ha vinto la sera stessa delle elezioni.
TUTTE le leggi elettorali del mondo lo permettono, salvo ritardi nei seggi, e in TUTTI i paesi del mondo il vincitore trionfa, tra applausi e bandiere, la sera stessa delle elezioni. Lo fece persino Fassino nel 2006 nonostante avesse preso meno voti popolari di Berlusconi al Senato, dato che quella legge elettorale, il famigerato Porcellum, con il suo banale premio di maggioranza alla Camera ed i suoi banali premi regionali al Senato, era chiarissimo nell’attribuire seggi vittoria e governabilità.

Tutte le leggi e tutti i paesi, tranne l’Italia dell’Italicum, in cui si saprà chi è che vince e governa non la sera stessa delle elezioni, ma solamente 15 giorni dopo!

Una assurdità concettuale ridicola e in un certo senso preoccupante, dato che pare che nessuno abbia pensato a questa ed altre conseguenze di un sistema che non fa altro che complicare, richiamando i cittadini al voto un’altra volta, allestendo seggi, contando schede e riempiendo verbali, quel che poteva essere ed era in effetti molto semplice. E nessuno, davvero nessuno, potrà dire chi ha vinto le doppie elezioni dell’Italicum fino a che l’ultima scheda non sia stata scrutinata, perché è possibilissimo che il talent del doppio turno lo vinca proprio il perdente del primo, il partito secondo classificato. Nessuno stupore: il doppio turno viene effettuato solo ed esclusivamente se può ribaltare il primo, altrimenti non ha ragione di essere. L’Italia potrebbe trovarsi quindi ad essere governata da un partito avente la maggioranza assoluta dei seggi che non solo non ha la maggioranza assoluta dei voti, ma neanche quella relativa.

Il “partito che perde” può, con un colpo di fortuna o di abilità, o grazie ad astensioni di massa, tipiche dei secondi turni, annullare le elezioni di due settimane prima e prendersi tutta la posta in palio, diventando una sorta di immane contraddizione costituzionale: la nostra Costituzione prevede che sia proprio un equilibrio di rappresentanza ad evitare che una maggioranza si appropri di tutti gli strumenti di garanzia, figuriamoci una minoranza! Il partito meno votato potrebbe mettere una ipoteca sulla elezione dei componenti laici del CSM, dei giudici della Corte Costituzionale, del Presidente della Repubblica, del cda della Rai, dei vertici di tutti gli enti di stato, e tutto con una unica camera (il Senato della Repubblica è destinato ad una triste atrofia) da esso completamente controllata.

Inoltre, nel mondo, il doppio turno è previsto solo per cariche monocratiche: per il sindaco; per il singolo deputato di collegio; per il Presidente della Repubblica. Cariche quindi coperte da una sola persona, sulla quale comunque convergono liste simili o contigue. Mai nessun paese del mondo ha osato la roulette del doppio turno nei confronti di interi partiti. In questo l’Italicum è un unicum dalle conseguenze imperscrutabili e inusitate. Più che Italicum, un’italianata.

il bipolarismo

In Italia un sistema bipartitico dovrebbe essere il frutto di una dittatura,
una dittatura furba che ha capito che il sistema monopartitico
è un momento di debolezza e che con due partiti, salvata la faccia,
obbliga i singoli cittadini ad aderire all’uno o all’altro.

Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente

Il bipolarismo è la fissa delle fisse dei politici italiani dal 1991 in avanti. Salutato come europeo, bello, utile, efficace, comodo, elegante, è stato magnificato da tutti, di destra, centro, sinistra, è stata la inafferrabile chimera di tutte le riforme elettorali.
Inafferrabile perché non si è mai concretizzato nei modi e nei termini in cui i paladini del bipolarismo lo avevano sognato, e chimera perché nessuna legge elettorale mai, mai, sarà in grado di stabilire ora e per sempre un sistema politico, quale che esso sia: potrà certamente favorirlo, ma non determinarlo, a meno di norme brutalmente antidemocratiche. Finché gli elettori saranno liberi di votare come gli pare e chi gli pare, nessun cavillo al mondo sarà in gradi di impedire che emergano tre, quattro, cinque partiti determinanti tra i tanti che comunque partecipano alla competizione. Con due delle leggi più “bipolariste” mai messe in atto in occidente, Mattarellum e Porcellum, in Italia non solo si è visto un moltiplicarsi di partiti e gruppi come mai era stato ai tempi del proporzionale, non solo si è assistito al verificarsi di tri-quadri partitismi (con, di volta in volta, AN, Lega, IDV, UDC, Udeur, Rifondazione, Margherita quali essenziali componenti di coalizioni e governi) non solo si è vista una pletoria di infinitesimi gruppuscoli diventare determinanti collegio per collegio, ma si è visto addirittura sorgere un terzo partito, il Movimento 5 Stelle, che Sartori avrebbe classificato tra gli antisistema, che ha raggiunto addirittura il 25% dei voti, mandando all’aria ogni previsione bipolarista.

Il fatto è che il bipolarismo, come filosofia e sistema politico, non è affatto migliore, di per sé, di altre filosofie e sistemi. Prova ne è che in Europa anche i paesi tradizionalmente bipolaristi, bipolaristi di fatto e non in base ad artifici normativi, stanno letteralmente vedendo franare questa loro caratteristica.

In Spagna, oltre ai potenti partiti localisti, sta emergendo il movimento Podemos a sinistra, sostituendo e superando la vecchia e limitata Isquierda Unida, ed il movimento Ciudadanos, a destra, che portano il paese iberico dritto al multipolarismo. In Grecia è franato il dualismo Pasok – Nea Demokratia, e ha trionfato all’ala estrema Syriza, così come all’opposto Alba Dorata si è consolidata.

In Germania, nonostante la forza dei due maggiori partiti, si è governato per un decennio con la Grosse Koalition, e/o con l’alleanza con i Liberali.

In Francia, dove vige il doppio turno, niente riesce ad impedire che il terzo incomodo lepenista, il Front National, sia diventato il partito di un quarto degli elettori.

Persino il già citato Regno Unito ha avuto, nel Cameron I, un normalissimo governo di coalizione, con i liberal democratici, e oggi presenta una discreta frammentazione a livello di voti popolari.

Il bipolarismo duro e puro è fuori moda, dunque, tra i cittadini europei, e la transizione verso un voto più ampiamente distribuito, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ciò può comportare, appare essere il centro della riflessione politologica futura, in Europa.

Il fatto che Renzi ed i renziani siano così “filosoficamente” improntati al modernismo, alla modernità, al nuovo, alla rottamazione del vecchio, e abbiano invece improntato tutta la struttura politica del loro agire verso un qualcosa di superato, la dice lunga sulla capacità e la tempestività della elaborazione generale del pensiero che offrono al Paese.

Il vincitore

E poi, alla fine, conta solo lui, IL VINCITORE. Perché ormai in Italia non conta più niente il partito, il programma, l’ideale, l’insieme delle istanze: conta solo il personaggio, il nome, il Capo.

Poco valgono i moniti dei costituenti che ricordavano come la nostra Carta fosse tutta improntata ad impedire che un singolo uomo diventasse da solo determinante per il potere decisionale.
Lo spirito della costituzione è quello di dare ruolo essenziale agli strumenti ed organi di garanzia e di controllo del potere decisionale stesso (CSM, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Presidenza della Repubblica, commissioni parlamentari), strumenti che hanno un senso solo nel rispetto della consistenza e della importanza delle minoranze. Tutto questo è in pericolo col maggioritario senza soglie (ed è per questo, anche per questo, che la legge Calderoli è stata annullata dalla Consulta), e tenderà letteralmente a scomparire con la lotteria del doppio turno di partito, mettendo nelle mani di un unico uomo, il Vincitore, tutta la pletora di nomine ed elezioni degli organi di garanzia stesse.

Poco vale non solo lo spirito, ma la lettera, della Costituzione, che assegna, in modo chiaro ed inequivocabile, al Capo dello Stato la scelta e la nomina del Presidente del Consiglio. Con l’Italicum, ultima serie di picconate a questo netto principio dopo le primarie, le indicazioni del candidato premier ed altre diavolerie personalistiche, al Quirinale viene sottratto, e senza alcuna riforma costituzionale, ma via legge ordinaria, un potere esclusivo ed importantissimo.

A quale fallimento della filosofia renziana alludiamo, in questa ultima parte dell’articolo? A nessuno, anzi, al suo trionfo. Un trionfo di un progetto, quello del superamento individuale ed individualistico della mediazione, del confronto, dell’arricchimento reciproco e della dinamica democratica dell’apporto di ognuno e delle competenze di tutti.

Renzi però dimentica una cosa importante: alle elezioni, il Vincitore, prima o poi, potrebbe non essere più lui.