Le lezioni da trarre dai numeri del referendum.

di Gabriele Pazzaglia e Marco Ottanelli

Sono già apparsi molti commenti ai risultati del referendum. Alcuni incentrati solo sulle conseguenze politiche, altri hanno cercato di analizzare gli aspetti sociali del voto. Proponiamo anche noi una sintesi dei numeri più significativi, ed alcune curiosità, perché crediamo che ci sia ancora qualcosa di importante da segnalare e qualcosa da correggere, da precisare.

Iniziamo con il risultato: ha votato il 65,47% degli aventi diritto, il 40,89% dei quali ha votato Sì (13.431.842 voti) e il 59,11% No (19.420.271 voti).

Alcune curiosità:

Massima affluenza: provincia di Padova 78,90 % (e ha vinto il NO con il 62% dei voti)
Minima affluenza: provincia di Crotone 47,81% (e ha vinto il NO con il 67,8% dei voti)

L’ultimo comune a fornire i dati definitivi è stato Isca sull’Ionio (CZ), alle 17:15 del 7 dicembre, ovvero 41 ore e un quarto dopo la chiusura dei seggi.
La prima regione (non siamo riusciti a risalire al primo comune) a terminare i conteggi è stata l’Umbria, alle 1:48 del 6 dicembre, cioè 2 ore e 48 minuti dopo la chiusura dei seggi.

Nelle 10 città con più di 300 mila abitanti, il sì ha vinto solo a Milano, Bologna, Firenze.

La provincia dove il NO ha avuto la massima percentuale, il 73,98%, è stata Oristano.
La provincia dove il SI ha avuto la massima percentuale, il 63,69%, è stata Bolzano.

Tra le pochissime città capoluogo che hanno votato diversamente dal resto della loro provincia ci sono la Milano (e la contigua Rho, sede dell’Expo) di Sala e la Parma del ex 5 stelle Pizzarotti, dimostrando che qualcosa la posizione del sindaco sposta.

Nel comune della famiglia Renzi, Rignano sull’Arno (FI), a fronte dell’altissima affluenza (80,48%), ha vinto il SI col 58,46%
Nel comune della famiglia Boschi, Laterina (AR), ha vinto il NO sul filo di lana col 50,57%, mentre è andato a votare il 73,75% degli aventi diritto.

Uno dei dati più significativi è che le uniche province dove ha vinto il SI sono state: Forlì Cesena, Ravenna, Bologna, Modena, Reggio nell’Emilia, Firenze, Prato, Siena, Pistoia, Pisa, in un impressionante e ridottissimo continuum, e la isolata Bolzano.

Anche nel 2006 i Sì si concentrarono clamorosamente, in Lombardia e Veneto. Allora come oggi, questo è un inequivocabile e definitivo segno di scollamento tra il Paese ed il governo, e riproporne uno identico come “soluzione”, con tanto di Boschi confermata, è segno di profonda cecità e sordità istituzionale.

La ripartizione territoriale dei voti è stata ben rappresentabile da questa cartina elaborata per il sito http://tg24.sky.it della quale riproduciamo solo un fermo immagine ma che consigliamo di visitare per poter utilizzare la versione interattiva

sono rappresentati in verde i comuni dove ha vinto il Sì, in rosso quelli dove ha vinto il No, in grigio quelli dove la distanza è minima

Alcuni istituti di analisi, tra i quali Demos, hanno cercato di suddividere il voto in categorie, e sono emersi due dati che sono entrati nel dibattito pubblico: il primo è l’età; il Sì avrebbe convinto la sola maggioranza nella fascia degli ultrasessantacinquenni (54% Sì e 46% No) mentre in tutte le altre sarebbe minoranza con percentuali variabili. A tali studi rimandiamo per i dettagli.

L’altro è la professione: in coerenza con il primo dato l’unica categoria nella quale ha votato Sì in maggioranza sono i pensionati. Seguono le categorie che in maggioranza si sono espresse per il No, in questo ordine: studenti, liberi professionisti, impiegati, operai, casalinghe, disoccupati e – ultimi – lavoratori autonomi e imprenditori. Allo stesso link i dettagli.

Nel dibattito, da più parti, è stato detto che il No è stato trainato da giovani e disoccupati ma la conclusione probabilmente deve essere precisata. Infatti è vero che tra i più giovani ha vinto il NO, ma quelli che in massa hanno votato contro sono nella fascia 30-54 (nella quale il No ha sfiorato il 70%), mentre il risultato di chi ha fino a 30 anni è in linea con quello finale (il No al 60%). Un valore simile (No al 58%) è relativo agli studenti. Mentre molta più contrarietà alla riforma è stato espresso da lavoratori autonomi e imprenditori (No al 76%), ancora più che dai disoccupati (No “solo” al 72%). Valori spiegabili con i voti del nord industriale. Confindustria dovrebbe fare una seria riflessione su questo: si è manifestato un distacco tra i vertici e la base la quale non è stata assolutamente intimorita dalle previsioni di esiti catastrofici per l’economia in caso di vittoria del No.

Dunque sembra che non sia possibile dividere semplicemente tra lavoratori e non lavoratori, giovani e anziani. La situazione è un po’ più complessa e può essere spiegata se si usa la chiave di lettura della fedeltà al partito, anzi, alla sua direzione renziana. Il Sì ha vinto in quelle zone dove Renzi ha costruito la base locale che lo ha lanciato a livello nazionale (Firenze, Prato, Siena; e non la costa toscana, pure già zona rossa, oggi rosé, dove ha vinto il No), ha vinto nella area bolognese, dove un ministro ben radicato come Poletti ha una storia e ancora solidi rapporti politici, e nella provincia di Bolzano dove il Südtiroler Volkspartei, da sempre alleato della coalizione di sinistra, ha dato l’indicazione di voto che ha prevalso (da notare che nella città di Bolzano, il centro più italofono della provincia, ha vinto il No, seppur di pochissimo). Insomma, sembra abbia vinto il Sì là dove è diffusa l’idea di essere in linea con l’indirizzo del Governo e al contempo le strutture di partito sono solide e stabilmente coinvolte nella gestione della cosa pubblica. Questa nostra teoria trova conferma nei dati elaborati dal Sole 24 ore che dimostrano come ci sia una corrispondenza tra il voto per il Sì al referendum e il consenso ricevuto dal PD con segretario Renzi nelle elezioni europee del 2014.

Allo stesso risultato si giunge se, per controprova, si confronta il risultato del referendum con quello delle elezioni politiche del 2013 (segretario Bersani) usando i dati elaborati dall’istituto Cattaneo: gli elettori PD di allora hanno sì massicciamente partecipato al voto, ma circa 1/3 di essi non hanno seguito l’odierna indicazione del Partito. Quindi il Sì ha vinto solo in quelle poche province dove non è tanto la radice PD-DS ad essere profonda, ma quelle in cui l’astro nascente renziano ha tessuto le sue reti iniziali, fagocitando intere federazioni e piazzando i suoi uomini ovunque, in comuni, enti partecipati, privatizzate varie, e poi portando una parte di costoro dritta al governo centrale. Insomma, l’area di influenza renziana si è dimostrata andare dalla provincia di Arezzo della Boschi, attraverso quella di Firenze di Renzi e quella di Bologna di Poletti e le sue coop, fino alla Reggio di Delrio. Non oltre. Non essendoci situazioni simili altrove, al sud come al nord, non c’è stata globalmente raccolta di voti sufficienti.

Una necessaria riflessione sugli italiani all’estero

I votanti in Italia sono stati 31.997.916 cioè il 68,48% degli aventi diritto. Invece i votanti all’estero sono stati 1.246.342, cioè appena il 30,75%, nonostante mai come stavolta siano stati coinvolti nella campagna elettorale (ricordiamo il tour mondiale della ministra Boschi in tal senso, e la lettera propagandistica del Presidente del Consiglio)

Essi, gli italiani all’estero, hanno inoltre votato in maggioranza Sì, quindi in controtendenza col resto dei compatrioti, esattamente come fecero anche nel referendum costituzionale berlusconiano del 2006. Ed anche alle ultime elezioni politiche vi furono differenze pesanti con i risultati della penisola: all’estero Il PDL prese quasi la metà dei voti, Scelta Civica quasi il doppio, Il Movimento 5 Stelle quasi un terzo((Qui i voti nella circoscrizione estero, qui i voti sul territorio nazionale)).

Inoltre, in questa consultazione, hanno annullato la scheda in più di 119.000, cioè quasi il 10%, dimostrando così che questo diritto (solo il 30% partecipa, e il 10% di costoro annulla!) è assai poco sentito, e meritato (le nulle sul territorio nazionale sono state, a titolo di raffronto, lo 0,58%).

Non si vede quale sia il merito, significato, importanza e risconto di questo voto e quindi bisogna affrontare la scelta di eliminare questo il diritto per persone lontane, che con l’Italia non hanno e non hanno mai avuto niente a che fare (NB: gli “italiani all’estero” sono solo una minima parte emigrati con la nostalgia per la parmigiana di melanzane: per lo più sono discendenti di un qualcuno che due o tre generazioni fa decise di dire addio per sempre al Bel Paese, e che possono acquisire – su semplice domanda – cittadinanza e voto solo avendo un nonno su quattro di origine italiana), e che trovano addirittura una specifica rappresentanza in Parlamento (il sen. Razzi la prima volta fu eletto all’estero …).

Soprattutto in un periodo storico nel quale si tende sempre più a riconoscere diritti, inclusi percorsi più facili per l’accesso alla cittadinanza, in base al principio dello ius soli, cioè per il semplice fatto di essere nati qui, appare un anacronismo permettere a persone che potenzialmente non sono mai nemmeno state in Italia, sulla base di un ferreo ius sanguinis, di decidere del nostro Governo senza che noi possiamo dire una parola sul loro. Addirittura permettergli di ri-scrivere la Costituzione. Insomma, si dovrebbe mandare loro il messaggio che se vogliono tornare in Patria, e qui vivere, affrontare le difficoltà ed i privilegi di stare nel sistema italiano, lavorarci e pagarci le tasse, li accogliamo a braccia aperte. Altrimenti, non si vede perché debbano avere diritti senza i relativi doveri.


Per approfondire, gli altri articoli del nostro “speciale referendum”:

1. Il bicameralismo perfetto non è il problema. In difesa del Senato elettivo. senza particolare passione, ma rigettando le menzogne.

2. Come saranno approvate le leggi con la riforma costituzione Renzi-Boschi.

3. L’origine antica di una riforma poco moderna.

4. Elezione, funzioni ed organizzazione del nuovo Senato. Va’ dove ti porta il vento.

5. CNEL, Presidente della Repubblica, Corte costituzionale e parità di genere.

6. Che fine fanno le regioni? Il nuovissimo Titolo V fa marcia indietro sul federalismo.



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