Il bicameralismo perfetto non è il problema. In difesa del Senato elettivo: senza particolare passione, ma rigettando le menzogne.

SPECIALE REFERENDUM COSTITUZIONALE 2016/1

di Marco Ottanelli

Chiariamo subito che, se cambiare idea può essere un fattore di intelligenza, come banalmente ripete la querula massima che circola su ogni social, ebbene contraddirsi completamente è invece segno di disonestà intellettuale profonda. Ecco perché, riguardo alla modifica della Costituzione, a qualsiasi modifica sostanziale della Costituzione, mi dichiaro filosoficamente e giuridicamente avverso. Il perché lo scrissi in questo articolo e, appunto, non intendo affatto contraddirmi.

Per questo ho deciso, andando, lo so, controcorrente rispetto alla stragrande maggioranza tanto dei costituzionalisti quanto dei politici quanto dell’opinione pubblica, che vuole o cambiare, o ridurre o eliminare il Senato ed il bicameralismo perfetto, intervenire in loro difesa, una difesa senza eccessiva passione o drammatizzazione, però, ché non vedo nella loro modifica o sparizione certo la morte della democrazia. Vedo la perdita di qualcosa, però; e proverò a spiegare cosa, superando quelle che ritengo menzogne e falsità propagandistiche nei confronti della seconda camera.

Il Senato preesisteva alla Repubblica. Ai tempi del Regno d’Italia, era una camera non elettiva. I Senatori venivano nominati inizialmente dal Re, poi, de facto, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che in tal modo si assicurava appoggi e maggioranze. Quando il Senato, per un qualunque motivo, si dimostrava ostile al governo in carica, esso provvedeva a …normalizzarlo, con nomine di uomini di fiducia in gran numero, nomine collettive che presero il nome sarcastico di infornate.

Ciononostante, questo organo non elettivo non aveva lo stesso significato politico della Camera, che rappresentava gli elettori, e, nonostante nello Statuto Albertino non lo si specificasse, era essa ed essa sola che poteva concedere, e ritirare, la fiducia al Governo, come fissato dal motto “il Senato non fa crisi”.

Durante la sua esistenza, caratterizzata dalla carica a vita dei suoi componenti, il Senato rimase sempre comunque una “isola monarchica”, persino durante il regime fascista. Mentre la Camera dei Deputati si annichiliva fino a sparire in quella dei Fasci e delle Corporazioni, il Senato rimaneva formalmente in carica, e, nel 1929, vide ben sei dei suoi membri (che è doveroso citare: Luigi Albertini, Alberto Bergamini, Benedetto Croce, Emanuele Paternò, Francesco Ruffini e Tino Sinibaldi) avere il coraggio e la onestà intellettuale di votare contro i Patti Lateranensi.

Con la fine del fascismo, si pensò a cosa fare, di questo benedetto Senato, e, dopo lunghe discussioni, si giunse al bicameralismo [quasi] perfetto, quello vigente. Il come ed il perché di questa scelta, sarà comunque tema di un altro articolo di Approfondendo.it, articolo che sarà molto più tecnico.

Ho detto quasi paritario perché, se i poteri sono gli stessi di quelli della Camera, diversi sono altri aspetti, del Senato: il numero dei componenti (315 invece di 630); la legge elettorale (che, a differenza di quella per i Deputati, era maggioritaria, su base regionale, e senza preferenze); la base elettorale, composta non da tutti i maggiorenni, ma da i soli ultra 25enni; l’età minima per essere eletti, cioè quarant’anni.

E soprattutto, ecco, appunto, era eletto, non nominato.

Forse questo dettaglio sfugge, oggi che diamo tutto per scontato, ma eleggere un ramo del parlamento che prima era di nomina regia o governativa è stato un enorme ed immenso progresso democratico, nel senso letterale ed etimologico del termine, di potere del popolo. La Costituzione del 1948, tra le varie estensioni e novità di demokratia, affermò infatti che tutte le assemblee legislative (ed in seguito, poi, si vedrà, decisionali) dovessero essere elette direttamente dai cittadini.

Era una rivoluzione di immenso significato. Ci sono Stati nei quali questo privilegio di scelta e di delega diretta non è mai stato concesso, nazioni le quali ancor oggi hanno senati di nomina da parte del capo dello stato o dell’esecutivo, o eletti in seconda istanza da “delegati” a vario titolo. Gli italiani hanno avuto, ed hanno, la possibilità, libera e indipendente da qualsivoglia altra volontà, di eleggere, oltre alla Camera, anche il Senato della Repubblica. Oggi, che la pratica democratica è guardata con sufficienza e financo con fastidio, ciò pare irrilevante, ma nel corso della Storia, il traguardo, un traguardo fino a pochi anni prima impensabile, era stato raggiunto. Oggi, con sufficienza e fastidio, lo si vuole eliminare. E molti italiani, gli stessi che si son autocastrati togliendosi il diritto di esprimere le preferenze, si autoelimineranno un diritto immenso.

Il suffragio è uno strumento nuovissimo, nella storia umana: su 10 mila anni di civiltà, a parte i precedenti sui generis greci e romani, sono solo 250 anni che, in qualche sparuto stato rivoluzionario, venne concesso un limitato diritto di voto popolare; è solo dagli anni ‘10 del 1900 che in USA ed in Europa è concesso il suffragio universale (non limitato per censo, quindi); in Italia si deve attendere il 1912, e, ricordiamolo sempre, il 1946 per vederlo esteso anche alle donne.

Quella di eleggere le camere legislative è dunque una conquista recente, recentissima, ha appena 70 anni; una frazione infinitesimale di quei 10 mila anni di travaglio e dolore che sono state la lotta per la Libertà della civiltà umana.

Forse dovremmo, magari col solo fine speculativo, riflettere a lungo su questo, prima di plaudire alla abolizione, parziale, per carità, parziale, di tale fondamentale diritto.

E nello specifico italiano, quello del bicameralismo perfetto, c’è una ulteriore considerazione che io credo meriti attenzione, e, appunto, riflessione: è quella riguardante la incredibile forza che tale sistema costituzionale ed istituzionale dà a ciascun elettore, a ciascuno di noi.

Poter eleggere sia la Camera che il Senato conferisce all’elettore un potere raro e vigoroso: quello di raddoppiare il consenso, e quindi la forza, di un partito, o, altrimenti, quello di poterne scegliere, in base a considerazione le più varie, un altro, per affiancare o contrastare o limitare, in piena libertà, proprio quel partito. Questo doppio voto , o voto che vale doppio, oggi, lo abbiamo. A fronte di chi, con una giustificata coerenza, ha votato sempre lo stesso partito sia alla Camera che al Senato, sono milioni i cittadini che, nel corso dei decenni, hanno voluto (e sapientemente misurato l’effetto della loro scelta) concedere il voto in modo non univoco a due partiti, ad esempio due dello stesso schieramento (“sinistra” e “destra”), per valorizzarlo nella sua globalità, o, caso classico, votando per i piccoli partiti, considerati comunque degni di rappresentanza, proprio al Senato che, eleggendo metà dei membri della Camera, richiedeva quasi il doppio dei suffragi per far passare alle forze minori gli sbarramenti, matematici o di legge.

Si può dire che all’elettore italiano sia stato riservato un doppio potere di scelta, e una sconfinata potenzialità di influire sulla composizione del Parlamento. Un (doppio) diritto che fatico a credere voglia essere così eliminato, con leggerezza, anzi, con gioia. Ma è una questione sentimentale, forse. Forse.

E, ultimo ma non meno importante…L’efficienza. La principale motivazione che indurrebbe coloro che hanno votato la riforma della Costituzione ad eliminare il bicameralismo perfetto (non il Senato, che rimarrà in essere, e con poteri estesissimi, che ben poco, se non per niente, cambieranno l’iter legislativo nel suo complesso; ma anche questo è un aspetto tecnico che sarà affrontato e chiarito da Approfondendo.it in seguito), la motivazione principale, dicevo, sta nel fatto che la navette legislativa impedirebbe la rapida approvazione dei progetti di legge, la efficienza delle Camere e, in ultima conseguenza, la governabilità del Paese. Quello che, con una certa mancanza di eleganza, i riformatori chiamano ping-pong tra i due rami del Parlamento, rallenterebbe così tanto i tempi di approvazione da lasciare l’Italia molto indietro rispetto agli altri Paesi.

Ma è vero, tutto questo? Non essendoci una unità di misura di “velocità dell’approvazione delle leggi”, un buon parametro è quello del numero di leggi emanate in un certo arco di tempo. Un parlamento efficace ne emanerà molte; uno ingolfato, lento, bloccato, ne emanerà poche. È un parametro che non contempla certo elementi come la qualità e la bontà delle leggi approvate, né in realtà tante leggi= Paese migliore, ma dato che il punto sembra essere quello, la rapidità (numero di leggi/tempo)….andiamo a verificare.

Ebbene, forniamo qualche dato comparativo, che ci aiuti a giudicare. Come spiega – con abbondanza di dettagli e particolari -Valerio di Porto in questo suo studio, nelle prime quattro legislature, cioè per la bellezza di vent’anni, il Parlamento italiano ha approvato, in media, una legge al giorno. Una legge al giorno!

Nei quarant’anni successivi, per una serie di concause, non secondaria quella della legislazione governativa, le leggi – delega, la media si va lentamente assestando ad una legge ogni due giorni prima, fino ad una legge alla settimana.

A dir la verità, anche l’ultimo dato ci pare enorme.

Solo per quanto riguarda anni più recenti, quelli dal 1997 al 2006, come si vede chiaramente dalla sottostante tabella, l’Italia ha prodotto una media di 153 leggi all’anno, mentre Paesi a noi comparabili ne hanno approvate meno, molte meno, dalla Germania con 146, fino al Regno Unito con appena 42.

Produzione legislativa per Stato
Produzione legislativa per Stato

la coppia Camera-Senato italiana è produttiva, molto produttiva, forse addirittura troppo produttiva!

Però è necessario andare a verificare gli ultimi dati, le ultime statistiche. Ci viene incontro proprio la Camera dei Deputati in carica, quella la cui maggioranza renziana-alfaniana ha approvato la riforma costituzionale, che ha recentemente steso un completo rapporto comparativo sulle produzioni legislative italiana ed europea. Come si può facilmente notare dalla tabella seguente, dal 2009 al 2013 la media annuale italiana è stata di ben 79 leggi emanate, seconda solo alla Germania e alla Francia, ma superiore a tutti gli altri paesi presi in esame.

Leggi approvate dal 2009 al 2013 - Comparazione Italia, Germania, Spagna, GB, Francia
Leggi approvate dal 2009 al 2013 – Comparazione Italia, Germania, Spagna, GB, Francia

La media è influenzata dal basso dato del 2013, dovuto ai tempi della stesura del rapporto, che è stato stilato proprio in riferimento a quei mesi in cui, tra elezioni, elezione del presidente della Repubblica ed altri intoppi, si è avuta una sorta di lunga paralisi normativa. Nel 2014, infatti, il dato raddoppierà.
Ma il rapporto va oltre: giustamente studia anche la produzione legislativa regionale, che dopo la riforma del Titolo V del 2001, è diventata molto più importante perché le regioni hanno ottenuto alcune materie di competenza esclusiva nelle quali lo stato centrale non può più legiferare.

Comparando sistemi similari, cioè quello italiano, spagnolo e tedesco, il risultato è sorprendente: sommando le leggi statali a quelle regionali, l’Italia è la prima, e quindi più efficiente, nazione europea; quella che, detto volgarmente, sforna più norme all’anno, con una media di 760 provvedimenti contro i 683 di quella Germania al cui modello di sistema bicamerale la riforma Renzi-Boschi ha detto di ispirarsi.

Leggi approvate dal 2009 al 2013- Stato e Regioni
Leggi approvate dal 2009 al 2013- Stato e Regioni

In conclusione, l’Italia, nonostante il bicameralismo perfetto, non solo produce velocemente ed intensamente leggi “perfette” nel loro iter, ma, addirittura, lo fa in modo superiore a tutti gli altri partners europei.

Le considerazioni da farsi, sono semplici e schiette: non è vero, semplicemente non è vero, che il nostro sistema sia lento, farraginoso, bloccato. Non è vero che sia impossibile decidere e rendere operative le decisioni a causa del Senato elettivo. Non è vero, non è semplicemente vero, che sistemi con senati non elettivi rendano, nel loro complesso, meglio, di più, e più velocemente del nostro.

Dispiace sentitamente che gli stessi politici che hanno prodotto (o commissionato, più probabilmente…) lo studio da noi citato, che è un documento ufficiale della Camera e che giunge alle conclusioni appena descritte, lo nascondano nelle pieghe degli atti parlamentari e, per mera propaganda di parte, dichiarino e proclamino l’esatto contrario di quanto da loro stessi dimostrato. E lo fanno, evidentemente, mentendo. Dispiace perché questo è l’indice della bassa qualità e della bassa levatura della nostra classe politica, in general parlando, vero -e se non unico, principale- motivo di decadenza e difficoltà della nazione Italia. Non la legge elettorale, non il numero dei parlamentari, non il Senato elettivo o non elettivo sono i problemi; il vulnus è proprio nella onestà intellettuale e nella coerenza di chi ci amministra, governa, dirige. È tutto molto semplice, è tutto lì.

Ecco perché difendo l’attuale Senato elettivo, così come voluto dai costituenti, ed ecco perché però lo difendo senza particolare passione: so che, sia che rimanga così come è, sia che venga modificato secondo la riforma in itinere, sia che sia abolito, non comporterà, se non quelle questioni…filosofiche alle quali ho fatto riferimento, né particolari benefici, né particolari danni. Le drammatizzazioni sono scuse, ed è bene rigettarle.


Per approfondire, gli altri articoli del nostro “speciale referendum”:

2. Come saranno approvate le leggi con la riforma costituzione Renzi-Boschi.

3. L’origine antica di una riforma poco moderna.

4. Elezione, funzioni ed organizzazione del nuovo Senato. Va’ dove ti porta il vento.

5. CNEL, Presidente della Repubblica, Corte costituzionale e parità di genere.

6. Che fine fanno le regioni? Il nuovissimo Titolo V fa marcia indietro sul federalismo.

7. Le lezioni da trarre dai numeri del referendum.



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