Il referendum e i radicali. Storia di un rapporto complesso.

Marco Pannella

di Marco Ottanelli

La morte di Giacinto Marco Pannella ha ingenerato la solita eruzione magmatica di ricordi, celebrazioni, concioni e magnificazioni dell’azione sua e dei Radicali, anche da parte di chi quell’azione ha avversato, o di chi se ne è, a brandelli, impossessato.

In ogni modo è emerso, per l’ennesima volta, che gli italiani non ricordano, o ricordano assai male, le vicende recenti della storia nazionale, e sono molto confusi, soprattutto, su quali siano stati, o non siano stati, i referenda indetti da Pannella e/o dai Radicali dal 1974 ad oggi. Si tende ad attribuire loro referenda che non hanno mai indetto, e a dimenticarne molti altri effettivamente pannelliani. Chissà come mai, chissà quale selettività mentale interviene sulla memoria collettiva.

Forse è il caso di riassumerli tutti, per categorie, perché da essi, in ispecial modo da essi, si può leggere la natura e la struttura intima di un partito, di uomini e donne che hanno influito nella vita politica e sociale di questa nazione, ben al di là e ben di più di quanto la consistenza numerica e la disponibilità mediatica avrebbe potuto mai far pensare, contraddicendo, con la loro stessa azione di pochi, uno dei loro obiettivi dichiarati, il maggioritarismo secco, dato che hanno dimostrato che non è importante, non è necessario, godere di maggioranze oceaniche a livello di voto o di seggi, quando si è capaci, volenterosi, agendo sulle istanze, sulle rivendicazioni delle istanze e non sulle – soffocanti – ideologie o fedi di una o un’altra chiesa. Con tutti gli errori, le manchevolezze e le, ripetiamo, contraddizioni che lasciano un bilancio che ognuno di noi è capace di valutare, speriamo un po’ grazie anche a questo scritto.

Il referendum, e quelli radicali

Il referendum abrogativo è previsto nella nostra Costituzione all’art. 75. Introdotto da una lunga battaglia democristiana in Costituente contro la fermissima opposizione comunista, che lo percepiva come una populista sconfessione della saggezza politica di partito, l’istituto poi non prese concretamente forma per un tacito accordo tra il PCI e proprio quella DC che, dal 1948, deteneva il potere di governo (e quindi, riteneva, quello di fare le leggi). Si giunse fino al 1970 per approvare la legge istitutiva 335 che lo rese possibile ed attuabile di fatto. Vedremo in seguito in quali particolarissime circostanze. In Italia sono stati presentati, dal 1970 al 2016, più di 200 quesiti referendari, non tutti però ammessi.

Il Partito Radicale ha raccolto le firme per indire ben 110 referenda. Di questi, 48 sono stati bocciati, con diverse motivazioni, dalla Corte costituzionale; 8 non avevano raggiunto il numero minimo di 500mila firme e son stati respinti dalla Cassazione; 8 sono stati “superati” da leggi del parlamento e quindi resi “inutili” e non più presentati agli elettori, i quali hanno votato effettivamente per 47 referenda voluti dai radicali (da soli o in comitati misti), oltre ad altri 31 presentati da forze o comitati diversi.

Analizziamo, per materia, e non cronologicamente, quali sono dunque stati i referenda ispirati da Pannella e dal suo partito per i quali siamo andati a votare, e quanto, come e se essi siano stati graditi dagli italiani.

Referendum “ecologisti”

Localizzazione centrali nucleari 1987; vinto

– Contributi enti locali centrali nucleari 1987; vinto

– Partecipazione ENEL centrali estero 1987; vinto

Questi tre quesiti vanno analizzati assieme. Essi chiedevano agli italiani, sostanzialmente, di dire stop allo sviluppo dell’energia nucleare in Italia. Il nostro paese possedeva in realtà alcune centrali atomiche, che erano entrate in funzione e fornivano circa il 4% del fabbisogno elettrico nazionale.

Per quanto i referenda non lo potessero prescrivere direttamente, la vittoria dei SI alla abrogazione di alcune norme-chiave non solo bloccò ogni sviluppo futuro, ma determinò la chiusura delle centrali di Caorso, Latina, Trino Vercellese e Sessa Aurunca-Garigliano, nonché la sospensione della costruzione di quella di Montalto di Castro e limitazioni al centro Enea del lago Brasimone, sull’Appennino. I costi ed i benefici della scelta sono Storia, ed è inutile riassumerli qua. Votarono SI alla abrogazione delle leggi che permettevano l’esercizio delle centrali circa 26 milioni di cittadini, l’80% dei voti validi. Dopo il disastro di Chernobyl, nessun partito osò opporsi alla certa scelta dell’opinione pubblica.

Disciplina Caccia 1990; non raggiunto quorum

Accesso cacciatori fondi privati 1990; non raggiunto quorum

Due quesiti paralleli, proposti assieme ai Verdi ed al WWF ed altri ambientalisti. Il primo, incredibilmente lungo e complesso, tendeva ad eliminare una dozzina di articoli e commi di legge che contenevano decine di specie cacciabili, e regolamenti vari sull’attività venatoria. Il secondo cercava di impedire il libero accesso di cacciatori sui fondi privati. Il quorum non fu raggiunto, votò solo il 43% degli aventi diritto (circa 20 milioni di persone), con una forte campagna astensionistica di alcune sinistre e alcune destre convergenti con le (potentissime) associazioni di cacciatori, confindustria, e di agricoltori.

Uso pesticidi in agricoltura 1990; non raggiunto quorum

Neanche questo referendum venne “sentito” dal Popolo Sovrano, e raggiunse percentuali simili ai precedenti. Le associazioni di coltivatori più potenti invitano all’astensione. Quindi, fitofarmaci e pesticidi consentiti, nessun complotto delle multinazionali, volontà popolare.

Controlli ambientali USL 1993; vinto

L’intento dei Radicali era di sottrarre, e quindi separare, i controlli ambientali dai controlli sulla salute, affidati alle Usl/Asl. Gli italiani approvarono, accorrendo in 36 milioni (il 76% degli aventi diritto) e votando SI alla abrogazione in 28 milioni e mezzo (l’82% dei voti). Lo scorporo dei controlli ambientali creò le varie Arpa, agenzie regionali, con tutti i pregi ed i difetti di nuovi istituti finanziati e controllati da 21 enti territoriali diversi. Oltretutto, mentre alcune regioni hanno provveduto prontamente ad istituire la propria Arpa (Umbria, Toscana, Emilia, Piemonte…nell’aprile del 1995 avevano concluso l’iter legislativo ed amministrativo), altre sono arrivate in ritardo (la Sicilia nel 2001 e la Sardegna addirittura nel 2006). È stato un bene o un male? Il dibattito tra studiosi, statistici e giuristi è ancora aperto.

Accesso cacciatori fondi privati 1997; non raggiunto quorum

Dopo sette anni i Radicali ripropongono la questione: “Volete voi che sia abrogato l’articolo 842 del codice civile, approvato con regio decreto del 16 marzo 1942, n. 262, comma primo (il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia)”? La domanda non è peregrina: in Italia, forse unico stato al mondo, ad uomini armati è concesso invadere i fondi e le proprietà private, cosa vietata, e sanzionata, ai comuni cittadini disarmati.

Anche stavolta la campagna astensionistica, condotta dalla nuova sinistra e dalla nuova destra della II Repubblica, con l’Arci Caccia e gli industriali delle armi uniti, ha successo. Vota solo il 30% degli elettori, meno di 15 milioni di persone.

Referenda sulla magistratura

Responsabilità civile magistrati 1987; vinto

Sull’onda emotiva del “caso Tortora” Radicali pannelliani e socialisti craxiani si trovarono uniti per la prima delle loro battaglie contro i giudici italiani (“contro” non è un termine giuridico ma i toni erano pesantissimi contro di essi) . Inizialmente osteggiato dagli altri partiti, il quesito, annusata l’aria, venne appoggiato anche da DC e PCI. E ovviamente, col 65% di partecipazione e quasi 21 milioni di SI, vinse. L’obiettivo era quello di far pagare direttamente ai magistrati le loro eventuali colpe giudiziarie, abrogando delle norme fasciste del 1940. La legge Vassalli del 1988 che regolò la disciplina, votata da PCI, DC e PSI, non soddisfece le aspettative radicali (Pannella gridò al tradimento), poiché prescriveva che il danneggiato si sarebbe dovuto rivalere sullo Stato, e non sul singolo magistrato, in caso di danno accertato. Possiamo prendere questo come punto di inizio dello scontro “ufficiale” politica-magistratura, che prosegue tuttora.

– Modo di progressione carriere magistrati, 1997; non raggiunto quorum

Dieci anni dopo la tornata dell’87, e dopo la svolta berlusconiana di Pannella, e dopo che Emma Bonino si candida in Forza Italia, della quale diventa parlamentare, il partito radicale lancia la raccolta di firme per ben 20 referenda, ma passano i filtri di Cassazione e Corte costituzionale solo sette. La parola d’ordine di Pannella è trasformare il sistema italiano in uno “americano, liberale, libertario e liberista”. In questa ottica parte la seconda campagna anti-magistrati, e non sarà l’ultima. Il quesito in questione cerca di eliminare la progressione sostanzialmente per anzianità dei magistrati, ma fallisce, essendo votato solo da neanche 15 milioni di elettori, il 30% circa

Incarichi extra-giudiziari magistrati, 1997; non raggiunto quorum

Stessi intenti, stesse cifre, stessi risultati per il referendum che voleva impedire l’assunzione di altri incarichi fuori da quelli strettamente giudiziari per i magistrati. In effetti le norme in vigore già vietavano ogni incarico lucrativo. Sostanzialmente rimanevano incarichi di consulenza, e soprattutto le “applicazioni” al Ministero di Grazia e Giustizia (forse il più famoso applicato è stato Giovanni Falcone, chiamato in via Arenula da Martelli). La polemica politica inficia il dibattito sul merito della questione (anche alcuni togati erano a favore), e l’esacerbata tensione porta all’allontanamento dalle urne la stragrande maggioranza dei cittadini: vota solo il 30,2% degli aventi diritto.

Liste elettorali Consiglio Superiore della Magistratura, 2000; non raggiunto quorum

Separazione delle carriere magistrati, 2000; non raggiunto quorum

Incarichi extragiudiziari, 2000; non raggiunto quorum

Non paghi, i radicali tornano all’attacco col nuovo secolo, e chiedono che siano aboliti la presentazione di liste per l’elezione dei membri togati del CSM, le cosiddette “correnti”, passando alla elezioni “pro capite”; la possibilità di incarichi fuori dai tribunali (quelli ai ministeri, per esempio) e soprattutto che, siano abolite una serie di norme al fine di ottenere la separazione delle carriere tra inquirenti (i PM) e requirenti (i giudici). Un tema di scontro brutale nel paese e che era, e poi sarà, stato uno dei cavalli di battaglia di Forza Italia. Difficile distinguere la materia tecnica, di complessa natura e non immediatamente compresa dagli elettori, dalla furibonda polemica politica. Nonostante tutte le ragioni di merito, era evidente, in quell’anno fatidico a ridosso delle elezioni, che gli schieramenti erano brutalmente suddivisi in “contro la magistratura” e “in difesa della magistratura”. Gli stessi toni esacerbati che Marco Pannella non lesinava (famoso il suo “gesto dell’ombrello” ai magistrati mentre Berlusconi firmava il suo quesito ad un gazebo romano). Ma, a parte il risultato incerto, anzi, ambiguo, che ne sarebbe uscito (leggere, a tal proposito, il testo “Giustizia e Referendum” di Bruti-Liberati e Pepino, Donzelli editore, 2000), all’approcciarsi del voto si assistette ad un incredibile presa di distanza di Berlusconi, che invitò, con successo, i suoi a disertare le urne, mentre i DS, allora al governo e tendenzialmente contrari ad alcune proposte (ma erano ancora calde le proposte della Bicamerale dalemiana) premevano timidamente per l’affluenza. Come spesso succede in Italia, tutto era giocato in funzione di calcoli elettorali, di quelle elezioni politiche del 2001 alle quali poi, come da lui previsto, grazie anche a questa mossa azzardata, Berlusconi vinse, stravinse, e senza più bisogno dei Radicali. Neanche 16 milioni di partecipanti, e circa il 32% di affluenza.

Referenda elettorali

Preferenza unica Camera deputati, 1991vinto

Tra i referendum vinti, i Radicali si attribuirono anche questo, che è però noto, e non casualmente, come il “referendum Segni”, essendo stato ideato da Mariotto e da una variegata compagine di intellettuali che chiedeva il doppio turno alla francese. Pannella no, voleva l’uninominale diretto, ma aderì comunque alla raccolta firme e alla campagna referendaria con l’esplicita dichiarazione di diversità di intenti. Non era ancora scoppiata Tangentopoli, ma il clima in Italia era tesissimo e di impronta fortemente, si direbbe oggi, “antipolitica”. L’avversione e spesso l’odio che si riversava sul CAF ed in particolare su Craxi era palpabile. Anche l’uscita del film di Luchetti, “Il portaborse” assunse una valenza polemica anti-PSI che forse il regista non aveva previsto. Il vantaggio per gli elettori di poter scegliere una sola preferenza sulla scheda rispetto ad una scelta multipla era pari a zero, anzi, sottraeva un diritto, ma furono probabilmente l’invito sprezzante di Craxi ad “andare al mare” e la protervia di una classe politica legata alle correnti democristiane più …affariste che indussero gli italiani a votare in massa SI: non solo il quorum fu superato (oltre il 65%), ma, tra i voti validi, i SI arrivarono al 95,6%, un record assoluto. Fu un fatto culturale, più che politico. Due anni dopo, le preferenze, in Italia, vennero abolite, tutte.

Legge elettorale Senato, 1993vinto

E due anni dopo infatti si approvava il già citato “mattarellum”, il primo degli infiniti maggioritari all’italiana. Esso nacque dal risultato di questo referendum che trasformava il sistema elettorale del senato da proporzionale a maggioritario. Il Senato, dal 1948, prevedeva collegi uninominali su base regionale, che però “scattavano” solo se un candidato fosse riuscito a prendere il 60% dei voti. Il caso non si presentava quasi mai, quindi i seggi venivano ripartiti col proporzionale (seppur diversamente che per la Camera). I radicali, in pieno festival Segni-riforme-Occhetto, riuscirono nel loro intento di far eliminare tale regola, anche perché praticamente tutti i partiti si schierarono a favore. Con un simile consenso politico generale, sarebbe stato inutile celebrare il referendum, bastava una riforma che, vista l’unanimità, poteva passare in pochissimi giorni. Ma fu più conveniente far credere agli italiani di essere i reali artefici del progresso istituzionale. 77% di affluenza, e quasi 27 milioni (l’82%) di SI. Di lì a poco, Berlusconi, la Lega e AN, con i Radicali, vincono le prime elezioni della cosiddetta Seconda Repubblica, e la questione “legge elettorale” distoglie per un ventennio l’attenzione dai reali problemi del paese, presentata di volta in volta come panacea o “golpe”

Legge elettorale Comuni, 1995perso

Nel 1993 si era provveduto a riformare la legge per l’elezione dei consigli comunali e dei sindaci, ma i Radicali, solo due anni dopo, tentarono di modificare la normativa, abrogando il doppio turno e la possibilità di voto disgiunto nei comuni con più di 15.000 abitanti. Il quorum fu raggiunto (57%) ma 12 milioni e 400 mila italiani, il 50,6% dei votanti, si espressero per il NO alla proposta radicale.

Abolizione della quota proporzionale Camera, 2000non raggiunto quorum

Ricorderete tutti che ai tempi del “mattarellum” (legge in vigore dal 1993 al 2005), il 25% dei deputati alla Camera veniva eletta con sistema proporzionale, tramite i listini bloccati. I Radicali, sempre ultramaggioritaristi, volevano eliminare tale quota. Naturalmente ciò li avrebbe fatti sparire dal parlamento, ma contavano sul “diritto di tribuna”, come poi è stato loro concesso da parte del centro sinistra. Infatti i DS, anch’essi da anni in pieno innamoramento per il maggioritario, appoggiarono questa proposta, seppur non troppo convintamente. Le destre, come detto sopra, decisero di astenersi. Niente quorum (31,9% di affluenza) e 11 milioni e mezzo di SI.

Referenda su ordine pubblico

Richiesta di abolizione della “legge Reale”, 1978perso

La legge Reale (dal cognome del ministro della giustizia, Oronzo Reale) venne varata dal IV Governo Moro, nel 1975. Essa, con l’obiettivo di contrastare il terrorismo, prevede il prolungamento del fermo di polizia fino a 96 ore, il divieto di uso del casco o di altri camuffamenti in luogo pubblico, e la possibilità dell’uso preventivo delle armi, da parte delle FFOO, ai fini di «impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona».

La preparazione dei Radicali a questo referendum fu molto intensa, era in fondo il primo che portavano alle urne per loro iniziativa precipua. Si schierarono per il SI assieme a loro anche Democrazia Proletaria, il Partito Liberale ed il Movimento Sociale. L’affluenza alle urne fu piuttosto alta, con l’81,2%, ma i NO (24 milioni) superarono di tre volte i sì. La legge rimase in vigore.

Legge antiterrorismo, Poteri di polizia, 1981perso

La domanda di abrogazione era relativa alla legge 16, 1980 conosciuta popolarmente come Legge Cossiga. Aveva preso il nome dell’allora ministro dell’interno, che intendeva far fronte al dilagante terrorismo, emanata dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. I suoi punti salienti, quelli contro i quali insistettero i Radicali, erano relativi alle modalità in cui era permesso il fermo di polizia, legittimato dal mero sospetto: “gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza possono procedere al fermo di persone nei cui confronti, per il loro atteggiamento ed in relazione alle circostanze di tempo e di luogo, si imponga la verifica della sussistenza di comportamenti ed atti che, pur non integrando gli estremi del delitto tentato, possano essere tuttavia rivolti alla commissione dei delitti indicati nell’articolo 165-ter del codice di procedura penale o previsti negli articoli 305 e 416 del codice penale”. Inoltre si davano alle FF.OO. poteri di interrogatorio, di perquisizione, di intercettazione senza autorizzazione o presenza di un magistrato. Una legge dai caratteri, per usare un termine che echeggiò spesso in quella campagna, liberticidi. Ma nel 1981 l’Italia era sotto attacco di mafie e terrorismi, e due giorni prima del voto c’era stato l’attentato al papa… Anche per questo i NO alla abrogazione prevalsero, con un nettissimo 85,1%. L’affluenza era stata di più del 79%.

– Ergastolo, 1981perso

Per i Radicali, l’ergastolo era (ed è) una pena disumana e anticostituzionale, anticostituzionale in quanto negante lo scopo rieducativo della carcerazione. Il “fine pena mai”, insomma, come si disse e si dice tuttora. In effetti però va ricordato che nel diritto italiano l’ergastolo inteso come negazione eterna alla [possibilità di] liberazione, non esiste né esisteva più da decenni. In effetti, fin dal 1962, la legge n. 1634, art. 2, stabiliva che Il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia effettivamente scontato almeno ventotto anni di pena. Quindi, dopo 28 anni di pena (ridotti a 26 nel 1986), anche chi è stato condannato all’ergastolo può essere liberato, e lo è, se nel frattempo non ha commesso altri reati. Inoltre, oggi, tra rito abbreviato (che elimina l’ergastolo tasformandolo in una pena massima di 30 anni) ed altri istituti premianti, per molti reati anche gravissimi, puniti sulla carta con il carcere a vita, è possibile ottenere la liberazione anche prima dei 26 anni.

In ogni caso, anche questa richiesta radicale venne respinta dal Popolo Sovrano, con 24.330.954 NO (77,4% dei voti validi)

– Porto d’armi, 1981perso

L’idea dei proponenti era quella di impedire il rilascio della licenza di porto d’armi. Con le dovute autorizzazioni e certificazioni sarebbe stato possibile ancora possedere un’arma, ma se il referendum fosse passato, nessuno (a parte le forze di polizia di stato e carabinieri) sarebbe stato autorizzato a portarne una per la pubblica via: né i privati cittadini, né i vigilanti, né polizie locali. I Radicali volevano estensivamente che “il settore dell’ordine pubblico sia interamente gestito sotto la responsabilità integrale e completa di autorità che rispondono politicamente di fronte al parlamento”. Ma gli italiani non li ascoltarono. Oltretutto l’attentato di piazza San Pietro scosse l’opinione pubblica.

Soggiorno cautelare, 1995vinto

Come gli altri referenda del 1995, anche questo era stato presentato dai Radicali e dalla Lega di Umberto Bossi. Essa chiedeva di cancellare una normativa del 1992, che a sua volta ne aveva sostituite alcune precedenti, integrata poi nel 1993 (il quesito era particolarmente intricato anche all’occhio di un giurista) che sostanzialmente autorizzava magistrati ordinari e la Procura Nazionale Antimafia ad applicare ai boss mafiosi, o ai sospettati di essere in procinto o in possibilità di commettere reati di mafia, una misura cautelare particolare: l’obbligo di soggiorno temporaneo (ma …lungo!) lontano dal suo comune di normale residenza o domicilio, e quindi obbligarlo a “soggiornare” in un altro comune. Essendo normalmente i comuni lontani dai domicili dei mafiosi situati tutti al Nord, la spinosissima questione era diventata un argomento di grande presa della Lega nei confronti dei suoi elettori. In effetti la misura non era né un arresto, né una grande limitazione di libertà per il mafioso, che, nei suoi trasferimenti, portava con sé tutto il suo potere criminale di intimidazione, condizionamento, inquinamento. Storicamente si può affermare che le infiltrazioni mafiose al Centro-Nord siano state possibili in buona parte proprio a causa di questo istituto invero premoderno. Le drammatiche contingenze del dopo-stragi avevano indotto il legislatore a perpetuarlo. Ma gli italiani lo cancellarono. Per quanto il quorum fosse stato superato in modo non clamoroso, (meno di 28 milioni di votanti, il 57,2%) i SI furono quasi 15 milioni e 400 mila, ovvero il 63,7%

Referenda su istituzioni

Abolizione finanziamento pubblico partiti, 1978; perso

La sfida ai partiti dominanti cominciò con la richiesta di abolire il finanziamento pubblico agli stessi. Una piccola grande storia che ha poi attraversato tutte le vicende italiane, con polemiche accesissime e oscillanti atteggiamenti dei vari attori, fino ad oggi. A fianco dei Radicali si schierarono Democrazia Proletaria e, incredibile a dirsi a posteriori, il PSI di Bettino Craxi, mentre l’MSI lasciò libertà di scelta. Contrari, molto contrari, tutti gli altri partiti. L’affluenza fu identica a quella del concomitante referendum, quello sulla legge Reale, (81,2%) ed anche il risultato, un NO, anche se qua furono “solo” 17 milioni e 700 mila gli elettori che si espressero a favore del finanziamento. I partiti di massa all’epoca dimostrarono di avere ancora una forte presa sul paese, e l’atteggiamento del popolo italiano era ancora di una certa fiducia nei loro confronti.

Commissione inquirente, 1987; vinto

Fino a quell’anno, la legge prevedeva che i ministri non fossero indagati né processati dalla Magistratura, come tutti i cittadini, ma da una serie di istituti il primo dei quali era una commissione parlamentare detta appunto “inquirente”. Dopo 300 indagini (in Italia per 300 volte si è dovuto indagare su un ministro in 40 anni…sig!) e solo 1 condannato (Tanassi, affare Lokheed) tutti pensavano di eliminare l’iniqua e malvista commissione, tutti i partiti concordavano. Ma si preferì, ad una riforma normativa , lasciare al popolo la soddisfazione di votare il quesito radicale: 65% di affluenza, e un netto 84% di SI.

Abolizione Ministero Partecipazioni Statali, 1993vinto

Abolizione Ministero Turismo, 1993vinto

Abolizione Ministero Agricoltura, 1993vinto

Il dolore per le stragi di Palermo, Tangentopoli, Di Pietro eroe popolare, il processo Cusani in diretta TV… Gli italiani (gli stessi che undici mesi dopo porteranno Forza Italia al trionfo e relegheranno nelle basse percentuali Segni, Orlando, Fava, Caponnetto, Bianco e tutti gli eroi della “rivoluzione” di Mani Pulite), presi da un fervore iconoclastico contro la politica, tutta, votano in massa per l’eliminazione di ben tre ministeri-chiave per l’economia nazionale. Lo scopo dei Radicali è quello di dare una spinta forte verso privatizzazioni, dismissioni e liberismo; quello degli italiani è di cancellare ciò che percepiscono come clientela politica e corruzione. Affluenza: quasi l’80%, ed i SI vittoriosi con un minimo di 24 (Min. Agricoltura) e 31 milioni di voti (Partecipazioni Statali).
Però i problemi gestionali e di coordinamento di materie così complesse ed importanti, e l’assenza di un rappresentate italiano ai Consigli dei Ministri Europei (che riunisce i ministri competenti per materia) si rivelò uno scoglio insormontabile. Ad esempio, la spesa per la politica agricola è circa la metà di tutto il bilancio della UE. Quando i paesi membri si spartivano (distribuivano) denari e regole, norme e direttiva sul comparto agricolo, l’Italia non aveva nessuno a rappresentarla. Fu così che diventò necessario reinventarsi i dicasteri, che oggi si chiamano, rispettivamente Ministero per lo Sviluppo Economico; Ministero dei Beni Culturali e Turismo, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Seppur con alcuni compiti e ambiti di azione in meno (passati quasi tutti alle regioni), essi oggi, magari tramite dipartimenti specializzati, si occupano delle stesse materie di prima.

La conseguenza più importante di quella serie di referendum è stata la grande ondata di vendite delle aziende a partecipazione statale e di privatizzazioni (Stet, Credit, Comit, Enel, Eni, Imi, Telecom, Autostrade, ecc). La spinta liberista, voluta dal popolo italiano, era partita.

Finanziamento pubblico partiti, 1993vinto

Ciò che era fallito nel 1978, stravinse nel 1993 per i motivi detti appena sopra,: basta soldi ai partiti, dissero 31.225.867 elettori su 36 milioni, il 90% (quorum ovviamente superato col 77). E chi mai, in quel clima, avrebbe osato dire di no? Infatti tutti i partiti si espressero a favore del SI. Salvo poi, prima con proroghe semicamuffate delle norme che avrebbero dovuto decadere all’istante, poi con provvedimenti ponte, la poi con una nuova legge che si intitolava “rimborsi elettorali”, della quale parleremo nel paragrafo immediatamente seguente, assicurarsi l’incasso di centinaia di miliardi negli anni a venire. Questo è rimasto nella memoria collettiva come il classico caso di “referendum scippato”.

Rimborsi elettorali, 2000non raggiunto quorum

L’Italia è un paese strano. Per sette anni gli italiani gridano allo scandalo del referendum scippato, il comitato radicale fa un ricorso (che non viene accolto) alla Corte costituzionale, i giornali e le TV si riempiono di indignazione per il tradimento e di grafici su quanti soldi i partiti incassino nonostante l’abolizione del “finanziamento pubblico”; questo perché, dopo le varie proroghe ed il fallimento assoluto della donazione volontaria del 4×1000 ai partiti, si è giunti alla approvazione di una nuova norma, la legge sui rimborsi elettorali (1997 poi riscritta nel 1999), che, a differenza del finanziamento, dovrebbe assicurare solo la copertura delle spese delle campagne di voto; in realtà i meccanismi della legge ed i rendiconti sempre falsi, o truccati, o insufficienti, comunque non sanzionabili, dei partiti, essi incassano quanto e più di prima, con larghissimi attivi a loro favore. Per sette anni quindi tutti si indignano. Poi, nel 2000, si offre al popolo offeso l’opportunità di spazzar via l’onta, ed il popolo che fa? Si astiene. Questa volta, passata la paura, i partiti si dividono nella scelta: invitano a votare SI Radicali, An, Verdi, Democratici (il famoso “asinello” di Prodi); invitano a votare NO Ppi, Sdi, Pri, Ds, Comunisti italiani; fanno campagna attiva per l’astensione Rifondazione e Cdu; libertà di coscienza per tutti gli altri (Lega, Ccd, Forza Italia)

Vanno a votare solo 15 milioni e mezzo di “indignati” e solo 10 milioni di loro voteranno per il SI. I contributi ai partiti, a furor di popolo, rimangono, fino alla prossima indignazione. Intanto la legge Letta li ha praticamente azzerati.

Referenda sul lavoro

Trattenute dei contributi sindacali, 1995vinto

NB: I quesiti radicali del 1995 sono presentati tutti in collaborazione, accordo, patto, intesa con la Lega Nord di Umberto Bossi. Il senso generale della tornata referendaria radicale era sempre nel senso delle liberalizzazioni, del liberismo, e delle privatizzazioni. È da notare anche che, contestualmente si tennero altri referenda sulle rappresentazioni sindacali e sulle contrattazioni nel pubblico impiego, promossi da Rifondazione e Cobas, ai quali i Radicali invitarono a votare SI, ma che non possono essere annoverati tra quelli di del partito di Pannella e Bonino dei quali stiamo parlando.

Quello sulle trattenute era un quesito tecnico abbastanza complesso. Si chiedeva di abolire l’obbligo del versamento delle quote associative ai sindacati tramite busta paga, obbligo a carico di Inps ed Inail, ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori. Vincono i SI (affluenza al 57, e 56% per l’abrogazione), ma, a causa di una successiva inerzia del legislatore, in sostanza non cambia nulla: la quota continua ad essere trattenuta, sebbene attraverso altri meccanismi. Contro questa situazione (un altro scippo?) si batté in particolare il radicale eletto in Forza Italia Peppino Calderisi

Autorizzazioni al Commercio, 1995perso

Fallisce il tentativo di Radicali e Lega di abrogare la autorizzazione amministrative (le “licenze”) per il commercio, che avrebbe liberalizzato completamente il settore, sostanzialmente senza più alcun limite. Nonostante il quorum fosse stato raggiunto (52%), i NO furono quasi 16 milioni. Tre anni più tardi, comunque, venne approvata la Legge Bersani che recepirà buona parte degli intenti del quesito.

Orari degli esercizi commerciali, 1995perso

Su questo tema l’opposizione dei sindacati e di parte delle organizzazioni di categoria fu piuttosto forte. Si chiedeva di liberalizzare (praticamente senza limitazioni) l’orario di apertura degli esercizi commerciali, qualunque essi fossero. Un sonoro 62% di NO bocciò la proposta. Però poi i tempi cambiano, e, con le “lenzuolate” del 1998 e le leggi seguenti (ultime quelli di Monti), siamo arrivati sostanzialmente allo stesso obiettivo.

Disciplina dei licenziamenti (art. 18), 2000; non raggiunto quorum

Abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, così e semplicemente. Ecco cosa volevano i Radicali, assieme a Forza Italia, nel 2000. La campagna elettorale raggiunse il calor bianco (rimase alle cronache un durissimo scontro Pannella-Cofferari al Maurizio Costanzo Show). I partiti di sinistra e centro sinistra (da Rifondazione ai DS alla Margherita) fecero campagna per l’astensione, così come CGIL e UIL ( in ogni referendum c’è chi fa campagna per l’astensione, salvo poi accusare di crimini e misfatti quelli che la promuovono alla consultazione successiva, nda), mentre la CISL si schierò a favore. I titoli dei giornali ed i talk show cavalcavano le drammatizzazioni. Importanti voci a favore del SI furono quelle di Emma Bonino e della Confindustria. Ma la sconfitta per i radicali fu bruciante, complice anche l’improvviso disimpegno di Berlusconi come ricordato a proposito dei referenda sui magistrati; non solo il quorum non venne raggiunto (andò a votare meno di un avente diritto su tre), ma, caso unico nella storia italiana (in tutti gli altri ventisette casi in cui non è stato raggiunto il quorum i SI hanno prevalso nettamente, perché i contrari sono rimasti fuori dai seggi) , tra i pochi che votarono, il 66,6% disse NO.

Come è andata a finire poi, a distanza di tre lustri, con i tentativi di Berlusconi prima e con il jobs act di Renzi dopo, lo sappiamo tutti.

Trattenute associative e sindacali, 2000non raggiunto quorum

Nella prospettiva antisindacale forzista-radicale, si ripropose la questione del 1995, anzi, si cercò di abrogare ciò che aveva sostituito la legislazione precedente, abrogata ma ripescata in parte. Insomma, lo slogan era: niente soldi ai sindacati. Anche in questo caso, non fu raggiunto il quorum, fermo attorno al 32%.

Referenda su temi economici

Nomine bancarie, 1993vinto

Anche questo, in fondo, era un “referendum Segni”, visto che fu promosso dal figlio dell’ex Presidente democristiano. Ma i radicali aderirono. Si trattava di eliminare il potere di nomina delle Casse di Risparmio riservato al Tesoro, e quindi al Governo. L’accusa era che la situazione esistente portava a clientelismi e influenze politiche nel settore creditizio. Ovviamente non basta un colpo di bacchetta magica per allontanare tali collateralismi (la storia del Monte dei Paschi, di Banca Etruria, dei Crediti Cooperativi, e di tutte le maggiori banche italiane ci insegna che c’è sempre un preciso orientamento politico, partitico, o di corrente, nei CDA), però in quell’Italia di Mani Pulite la necessità era di separare politica ed economia il più possibile. Le Casse di Risparmio erano tradizionalmente anche un bacino di voti della DC, ma pochi si esposero per difendere il sistema. Affluenza al 77% e un robustissimo 89% (31 milioni) di SI. Dopo il referendum, molte ex Casse si unificarono in grandi gruppi bancari (Unicredit e Intesa).

Golden Share, 1997non raggiunto quorum

I Club Pannella (simulacro personalista che sostituiva il Partito Radicale ipoteticamente sciolto) proposero un quesito che avrebbe dovuto eliminare la possibilità per il Tesoro di trattenere una sufficiente quantità di azioni nelle aziende di Stato privatizzate, quantità tale da consentirgli un controllo indiretto, la cosiddetta golden shareQuesta opzione è ritenuta irrinunciabile dai suoi sostenitori per comparti strategici (ad esempio, le industrie che riforniscono la Difesa), mentre è ritenuta un residuo antiliberista dai suoi detrattori. La legge che la regolava era piuttosto recente, essendo stata scritta dopo le grandi privatizzazioni, nel 1994. A favore del mantenimento dell’istituto, il centrosinistra (da Prodi a Bertinotti), contro, il centrodestra. Una spinta a far fallire questa e le altre consultazioni del 1997 venne dal PDS e dal suo giornale, l’Unità, che invitò a disertare le urne (il primo a scriverne fu Michele Serra). Obiettivo raggiunto. Per abolire la “golden” andò a votare solo il 30% degli aventi diritto, ed i SI furono solo 9 milioni.

Referenda su temi etici

– Aborto (estensione) 1981 – (contestuale aborto abrogativo legge 194); perso

La questione “aborto” fa parte non solo della storia, ma della leggenda radicale. È una delle battaglie fondamentali di quel partito, ma è bene ricordare che non è attraverso il referendum che l’aborto è legale, in Italia, ma quasi. Il perché richiede un po’ di storia legislativa, e meriterebbe forse un articolo a sé stante.

Fino al 1978, l’interruzione di gravidanza era illegale.

Abortire e procurare aborti era reato, secondo una serie di articoli del codice Rocco. Conseguentemente le donne abortivano o tragicamente da sole o presso le “mammane”, con percentuali di morte e di danni altissima, o con viaggi nei paesi dove la pratica era consentita.

Il partito Radicale comincia a collaborare (fino alla fusione tra le due entità) con il Centro di Informazione per la Sterilizzazione e l’Aborto di Adele Faccio. Vengono organizzati viaggi in Regno Unito e Paesi Bassi a prezzi convenienti e in condizione di sicurezza per le donne che vogliono interrompere la gravidanza, e viene aperto un “consultorio” a Firenze dove si pratica l’aborto. La Faccio, la Bonino e Spadaccia, segretario del PR, si autodenunciano e vengono arrestati. In un crescendo emotivo, e in piena stagione terroristica, si passa alla raccolta delle firme per abrogare le suddette leggi del codice penale, con l’apporto del neonato Espresso. Siamo nel 1975. Il referendum viene fissato dal Presidente della Repubblica, Leone, ma da una parte il timore della DC di perdere anche questa sfida, dall’altra il sogno del PCI di intercettare i nuovi elettori diciottenni per ottenere il “sorpasso” portano allo scioglimento anticipato delle Camere, nel maggio del 1976, ed il referendum è rinviato. Così come la probabile spaccatura sociale. Ma qualcosa si è potentemente messa in moto. La Corte Costituzionale aveva già affermato che “ricorrere all’aborto è conforme al diritto, non in assoluto, ma nei casi previsti dalla legge”. Ebbene, mancava la legge. Loris Fortuna (PSI) aveva presentato un progetto già nel 1973, ma dopo la sentenza della Consulta, ogni partito, compresa la DC, formulò una sua ipotesi di legalizzazione, dalla più blanda alla più aperta. Nel 1977, con una di quelle straordinarie capacità di compromesso dei parlamenti della vituperata Prima Repubblica, si decise di costituire una Commissione Ristretta dove fosse presente un rappresentante per ogni partito per poter giungere ad un testo condiviso, approvabile, non traumatico. Ma al momento del voto in aula, voto a scrutinio segreto, parte dei democristiani si allearono con l’MSI e la prima proposta non passò. Ma era uno stop tattico: nel maggio del 1978, la legge, la famosa 194, venne ripresentata con mere modifiche formali. Ma nel frattempo, era stato nuovamente indetto il referendum per abrogare la vecchia, ormai moribonda, normativa. Ai fini di permettere lo svolgimento della consultazione popolare, e giudicando le modalità e le eccezioni previste dalla legge eccessive, il Partito Radicale tentò in ogni modo di bloccare l’approvazione della 194, con uno storico ostruzionismo – fiume: 36 ore continue di lunghissimi discorsi radicali, tra i quali si distinse, per durata, fantasia, provocatorietà, quello di Pannella. Solo un accordo col Presidente della Camera Ingrao, che gli garantì che il referendum sulla Legge Reale sarebbe stato celebrato senza imboscate legislative, mise fine all’ostruzionismo, e si passò ai voti. È da premettere che il Presidente del Consiglio, Moro, dichiarando di non voler intervenire nella discussione, ed ammettendo che “Vi sono cose che la moderna coscienza pubblica attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla legislazione e oggetto di intervento dello Stato” fece capire chiaramente che la DC non si sarebbe opposta alla norma in modo determinante. Infatti, grazie ad una serie di astensioni, assenze, e persino voti a favore strategici, mentre la maggioranza del gruppo democristiano votava diligentemente contro, le “norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” diventavano legge dello Stato, col voto a favore di PCI, PSI e partiti laici, mentre DC (una parte…), MSI e Partito Radicale, con motivazioni opposte,e con l’appoggio talvolta inaspettato di molti intellettuali (Pier Paolo Pasolini scrisse sul Corriere: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio” ), votavano NO.

È quindi necessario fermarsi un momento e fare il punto: la legge 194 esiste nonostante il partito Radicale. Politicamente il PR non ha introdotto la norma sull’aborto, volendo esso a tutti i costi arrivare ad un referendum che avrebbe solo spazzato via i reati relativi (problema “superato” dalla 194), ma non creato una nuova normativa (che avrebbe dovuto essere poi elaborata da quel parlamento, con quei partiti, con quei deputati, in quella fase storica, in quell’ambiente istituzionale). Eppure, culturalmente, il PR ha prodotto e diffuso un ideale, un pensiero, un concetto, una sfida senza i quali probabilmente la legge non sarebbe mai stata approvata, o almeno non prima di un altro paio di decenni. Il partito Radicale, inaugurando una prassi che forse gli è stata più congeniale, è stato straordinariamente importante, utile, necessario, nella pars destruens (tutti i referenda, dei quali si è “nutrito” per quaranta anni, essendo abrogativi, sono in fondo distruttivi), assai meno lo è stato nella pars construens.

Nel 1981 gli italiani sono chiamati a votare, tra le altre cose, due referenda sulla neonata 194, ambedue intenzionati ad eliminarne le parti negative; negative dagli opposti punti di vista, però. Il primo era quello del Movimento per la Vita, sostenuto dall’apparato della Chiesa, che intendeva restringere in modo drastico le possibilità e le modalità di interrompere la gravidanza; l’altro era quello dei Radicali che invece voleva estendere tali possibilità e modalità, anche al di fuori del sistema sanitario. Due referendum di segno opposto, e di valenza emotiva altissima, accendono una delle campagne più forti e quasi violente della nostra storia democratica. La tensione è a livello di esasperazione, i toni apocalittici si sprecano. Processioni con statue di santi e comizi si susseguono senza sosta.

La presenza di due quesiti antitetici e contrastanti produce la spaccatura del paese non in due, ma in tre fazioni: i favorevoli al quesito del Movimento per la Vita (la Dc, il Msi, il Papa, la Cei, Comunione e liberazione, La Civiltà cattolica, L’Osservatore Romano, l’Opus Dei, Azione cattolica, le Acli, la Cisl, Il Sabato, il Corriere della Sera, Il Popolo, La Discussione, Il Tempo); i favorevoli al quesito radicale (praticamente da soli) ed un largo fronte laico in difesa della legge esistente e quindi per il NO in ambedue le schede (Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli, Sinistra indipendente, Pdup, e poi i movimenti dell’Udi, l’Mld, i gruppi del dissenso cattolico Cdb e Cps, l’Arci, e i giornali Paese Sera, La Stampa, la Repubblica, l’Unità, il manifesto, Il Messaggero, L’Espresso) Loris Fortuna, il padre della norma in vigore, oltre ad attaccare il Movimento per la Vita, critica la proposta radicale, che renderebbe la legge “zoppa” e che istituirebbe una sorta di “libero mercato che rende le donne non più libere, ma più sole” . A conclusione di un mese di scontri durissimi sui mezzi di informazione e nelle piazze, si aggiunge, a tre giorni dal voto, l’attentato a papa Giovanni Paolo II. I partiti sospendono la campagna referendaria, e, mentre il mondo è in trepidazione per il pontefice, gli italiani votano.

La partecipazione è piuttosto alta, più del 79,40% (34.270.000 elettori), ed entrambi i referendum vengono respinti. Il primo, quello clericale raccoglie 10.119.797 SI (il 32%) ed uno schiacciante 68% (21.505.323 voti) NO; per i Radicali è anche peggio: i SI sono soltanto 3.588.995, appena l’11,6% dei voti validi, mente i NO alla loro idea è espressa da 27.3950909 elettori, l’88,42%. Alta la percentuale di schede bianche e nulle.

 

Limite alla ricerca sugli embrioni 2005; non raggiunto quorum

Limiti all’accesso alla fecondazione assistita 2005; non raggiunto quorum

Diritti dei soggetti coinvolti e limiti all’accesso 2005; non raggiunto quorum

Fecondazione eterologa 2005; non raggiunto quorum

Il pacchetto di referenda in questione riguardava alcuni articoli di un’unica legge, la famosa, e famigerata, legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita. Tale legge era il risultato di una serie di lunghissime discussioni, di infiniti emendamenti, di continue correzioni e di veri e propri agguati in commissione o in aula da parte di uno schieramento trasversale destra-centro-sinistra cattolico, che aveva trasformato il progetto iniziale volto a regolare la procreazione assistita risalente al 1998, in una serie di obblighi e divieti spesso incoerenti o brutali, tali da indurre immediatamente nel paese un “turismo procreativo” verso le strutture estere. I Radicali, affiancati da esponenti laici di molti partiti, presentarono quasi immediatamente domanda di abrogazione perlomeno delle parti più dure della legge. I promotori pongono alla testa del loro schieramento il Comitato Luca Coscioni (che era comunque presidente del PR) e raccolgono l’adesione di molti scienziati (Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco, Umberto Veronesi…), Rifondazione, il Pdci, e, non senza fatica e con qualche distinguo, quella dei DS guidati all’epoca da Fassino. La Margherita di Rutelli, ex radicale, si schiera invece per il NO, anzi, per l’astensione, ipotesi strategica proposta da Paola Binetti (che l’anno dopo sarà eletta proprio dalla Margherita) e accolta da Chiesa e formazioni cattoliche (i protestanti sono per il SI), che la propagandano in maniera capillare. Le parrocchie e gli oratori, con una impressionante partecipazione delle gerarchie vaticane, e con appelli del papa stesso, chiedono agli italiani di non andare a votare. Anche molti esponenti del centrosinistra decidono di non impegnarsi nella battaglia. I quattro quesiti falliscono completamente, dato che si recano alle urne per questo tema etico, che riguarda anche l’uso delle staminali, solo il 25,5% degli elettori, un quarto appena. Fu un trionfo per le autorità ecclesiastiche e per i partiti confessionali.

Poi, però, la Storia: oggi della Legge 40 non è rimasto praticamente più niente, essendo stata svuotata di quasi tutte le sue norme da sentenze della Corte costituzionale, e di quella di Strasburgo, da riforme parlamentari.

Possesso ed uso droga, 1993; vinto

La legge italiana relativa alle droghe ed al loro uso aveva preso una direzione, dal 1975, via via sempre più proibizionista. D’altronde il fenomeno era ancora nuovo, e nessuno aveva trovato, e neanche oggi vi è un dato definitivo, il modo di separare l’uso, il consumo, dallo spaccio anche “ricreativo”. Il governo Craxi cercò di introdurre un metodo, quello della dose media giornaliera, ma questo portò ad una impennata di arresti di semplici consumatori. Fecero molto scalpore, nel 1991, i suicidi di tre giovani senza precedenti penali arrestati per aver con sé più della “dose media” consentita dalle tabelle di legge. La Corte costituzionale nella sentenza n. 333 ed il Ministro Martelli apportarono modifiche alla severa normativa vigente, ma il reato persisteva.

I Radicali, tra i quali l’antiproibizionista Taradash, promuovono l’abrogazione dello stesso. Aderiscono alla iniziativa alcune forze progressiste, e anche, in un do ut des piuttosto palese con quelli elettorali, Mario Segni. Aderiscono al SI anche Pds, Rifondazione, la Rete, i Verdi; invitano alla astensione, guardano con diffidenza, PSI, PRI e PLI; la Lega nicchia, sostanzialmente dà libertà di voto; si attestano sul NO solo DC, Pdsi, Msi.

L’affluenza è del 77%, e vincono i SI con un discreto 55,4%, quasi 20 milioni di voti. In Italia l’uso personale degli stupefacenti non è più reato.

Referenda sulla informazione

Privatizzazione della RAI-TV, 1995; vinto

Per capire bene il clima che imperversava su questo referenda Lega-PR, si deve tener conto che nello stesso giorno si votò per altri 11 referenda, di cui tre, oltre il presente, avevano come oggetto le televisioni. Ma mente il referendum radicale interessava la RAI e la sua natura di azienda di Stato, gli altri tre, presentati dal Pds e altre formazioni, come dire, antiberlusconiane, puntava a ridurre drasticamente il potere economico e politico di Fininvest-Mediaset, limitandone spazi pubblicitari (“non si interrompe una emozione”) e diritti di concessione dell’etere. È inoltre necessario ricordare che la Lega, in quel 1995, aveva appena rotto con Forza Italia, causando la crisi del governo Berlusconi I, e appoggiava l’esecutivo di Lamberto Dini assieme alle sinistre. Insomma, c’era un po’ di caos. In tale caos si mossero correnti e forze opposte e contraddittorie che si giocavano molte partite contemporaneamente, e magari pugnalandosi reciprocamente alle spalle. In un vortice di mosse e contromosse, trattative e controtrattative, ordini e contr’ordini, a pochi giorni dal voto si giunse ad un patto tra Confalonieri e Walter Veltroni per neutralizzare gli effetti dei risultati e dei desiderata dei referendum. In cambio di una ipotetica pax televisiva, Veltroni si impegnò a far fallire i referenda indetti dal suo stesso partito, suscitando l’entusiasmo di dirigenti Fininvest che oggi, buffa la storia, sono esponenti renziani, come Giorgio Gori.

Il popolo pidiessino ubbidì, ed i tre quesiti anti-tv privata furono bocciati.

Il referendum radicale rimase un po’ schiacciato tra gli appelli delle star berlusconiane a salvare le telenovelas e gli sconvolgimenti della sinistra, e divenne oggetto occulto della trattativa. Infatti vinse, ma rimase, ed è rimasto, del tutto inattuato. Lo scopo era quello di svincolare la RAI dal controllo parlamentare, politico, di porre fine alla “lottizzazione”, tramite la fine della proprietà unica che era (ed è, nonostante le riformine del 2004) dello Stato, trasformandola in un azionariato diffuso, eliminando il canone e vendendo almeno una delle tre reti generaliste. I SI a questo progetto furono circa il 55%, 13 milioni e 736 mila, con una affluenza del 57,4%, ma nessuno ha mai posto in essere i dettami del risultato (il patto Veltroni-Confalonieri dura perpetuo).

Ordine dei Giornalisti, 1997; non raggiunto quorum

Dal sito dell’Ordine: “La professione di giornalista in Italia è regolata da una legge dello Stato: la legge 3 febbraio 1963 n. 69. Questa legge prevede che l’attività giornalistica è un’attività intellettuale a carattere professionale, caratterizzata quindi da quell’elemento di “creatività” che fa del giornalista non un impiegato o un operatore esecutivo, ma, appunto, un professionista. La legge riconosce poi la rilevanza sociale del giornalismo e impone, a chi lo eserciti in forma professionale, di iscriversi obbligatoriamente in un Albo dettandone condizioni e modalità; tutto ciò, soprattutto a garanzia della pubblica opinione e del lettore che è il destinatario dell’informazione. La legge, inoltre, prevede l’autogoverno della categoria, la gestione dell’Albo affidata cioè a giornalisti che siano eletti democraticamente dalla categoria. Si sente molto spesso dire che solo in Italia esiste un Ordine dei Giornalisti. Questo è vero.”

Contro tale stato di cose, il Partito Radicale si era lungamente battuto. Dal 1974 praticarono una forma di disobbedienza civile, sostituendo i direttori dei giornali di partito, tra cui Notizie radicali, con persone non iscritte all’albo dei giornalisti, e quindi violando deliberatamente la legge.

La legge che lo regola è del 1963, ma l’Albo fu istituito nel 1925 da Mussolini, ed è rimasto un unicum mondiale. Molti giuristi (primo tra tutti Paolo Barile) ed esponenti di molti partiti (iniziarono i repubblicani Compagna, Bandiera e Battaglia; continuarono i radicali Pannella e Rutelli; proseguirono il missino Tatarella, il radicale Taradash ed il ppi Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica) tentarono, con proposte e progetti di legge, di eliminarlo, sostituirlo, ridurne il potere, ma niente è riuscito a scalfirlo. Forse a causa del tema lontano dagli interessi contingenti, ma più probabilmente per via della ondata astensionistica di quell’anno, il referendum non raggiunse neanche il quorum che si fermo al 30,2%, anche se di tutti i referenda falliti in quella tornata i SI furono i più numerosi.

 

Ed il referendum sul divorzio?

La mistica e la liturgia radicale e pannelliana non omettono mai di celebrare la introduzione del divorzio in Italia tramite il referendum, il primo referendum della storia italiana, celebrato nel 1974, e di definirlo come un referendum radicale, appunto. Nella vulgata la consultazione ha portato al diritto civile di sciogliere il matrimonio. Persino sul sito ufficiale del partito si continua a propugnare questa tesi:

Referendum Divorzio - radicali

Come si vede dall’immagine, si definisce quello come il primo dei “referendum proposti dai Radicali”. Poi si legge più in basso, e c’è scritto che si trattava di “abolizione della legge ottenuta dai Radicali”. Come è possibile? A questa contraddizione però c’è una spiegazione, che ha contribuito, a ragione, a creare la leggenda radicale. NO: il divorzio non lo ha introdotto questo referendum, anzi, esso era volto a cancellarlo. In quella combattutissima, esasperata, campagna referendaria, i Radicali ebbero certo un peso, ed un peso importante, ma la loro battaglia fu in favore del mantenimento di una legge dello Stato esistente da quattro anni. Ma andiamo per gradi.

L’indissolubilità del matrimonio non era stata stata introdotta in Costituzione per un soffio: la battaglia in tal senso dei democristiani, che volevano con questo suggellare il Concordato, e la ambiguità del PCI togliattiano avevano portato al voto la Costituente proprio sulla questione. Solo la appassionata opposizione dei laici, azionisti in testa, e un provvidenziale voto segreto, avevano bocciato la proposta clericale, per solo tre voti di scarto. Quindi l’Italia si trovava ad essere un paese dove il divorzio non era incostituzionale, ma non era permesso dalla legge. L’indissolubilità c’era, di fatto.

La aspirazione ad introdurre nel nostro ordinamento il divorzio inizia molto presto, nell’immediato dopo guerra, ma i tempi non sono maturi. Si deve giungere al primo centrosinistra, quello fanfaniano, perché il sentimento politico-sociale possa accettare perlomeno i primi tentativi: nel 1965 Loris Fortuna, del PSI, presenta alla Camera il primo progetto di legge sul divorzio; sarà poi affiancato da Antonio Baslini, del PLI, e dalla fattiva mobilitazione nella quale si impegna, attraverso la Lid (Lega per l’Istituzione del Divorzio) Marco Pannella. Nei cinque anni che intercorsero dalla presentazione alla approvazione della legge, su di essa ci fu un susseguirsi incredibile di colpi di scena e di giravolte politiche inimmaginabili comprensive di scissioni del PSI, riunificazioni con il PSDI, scontri e slealtà tra tutte le correnti DC, alternarsi al governo, fiducie, crisi o tentativi di comporne di nuovi di Rumor, Moro, Andreotti, Colombo; mediazioni, trucchi, strategie, a volte azzardate accelerazioni ed improvvise retromarce di Fanfani, di Forlani, di deputati e senatori democristiani; note ufficiali del papa Paolo VI che minacciano ritorsioni ed invocano i Patti Lateranensi; coraggio e timidezza del PCI e delle sue anime conservatrici, alla fine, in un crescendo di colpi di scena, la legge Fortuna-Baslini, col voto di PCI, PSI e partiti laici, ed il voto contrario (ma anche in questo caso, come poi succederà con l’aborto, ben calibrato da assenze strategiche) della DC, viene approvata il 1° dicembre 1970, con 319 voti favorevoli e 286 contrari (una trentina in meno di quanti ne avrebbero avuti a disposizione le destre, volendo), anche grazie al primo, lunghissimo sciopero della fame di Pannella, sciopero drammatico e pubblico, dato che si svolge davanti palazzo Madama. Rumor Presidente del Consiglio e Fanfani presidente del Senato attuano una mediazione tra le diverse sensibilità del parlamento: acconsentiranno alla parte laico-social-comunista di far passare il diritto al divorzio, reso abbastanza oneroso da emendamenti ad hoc, ma contestualmente quelli dovranno acconsentire a far passare la legge attuativa del referendum, che fino a quel 1970 non era stato possibile approvare proprio per la ostilità del PCI che lo aveva fortemente combattuto fin dal 1946 in Costituente. Forti di un risultato buono delle destre all’ultima tornata elettorale, i dirigenti democristiani, pur sapendo di offendere il papa e la Chiesa (che non mancheranno di farlo notare in ogni modo), sperano di recuperarne il consenso con una vittoria a furor di popolo, che avrebbe spazzato via la norma peccaminosa. Il problema nel problema è che in fondo al cuore nessuno, nessuno dei partiti in Italia, voleva effettivamente il referendum, spaventati, anzi, terrorizzati, dall’avvio di quel Golem che avrebbe potuto arrivare chissà dove. Perché fin dal 1971 alcune associazioni cattoliche, capitanate dal giurista Gabrio Lombardi, decisero di prendere l’iniziativa e raccogliere le firme per abrogare la legge Fortuna-Baslini, immediatamente appoggiati dalle gerarchie vaticane.

Si prospettava uno scontro laici-cattolici senza precedenti, scontro che nessuno, nei grandi partiti, voleva. Nella prima fase, mentre Pannella ed i Radicali denunciavano come incostituzionale la raccolta delle firme, in quanto effettuata da, o grazie a, prelati, vescovi e cardinali, tra le altre forze politiche comincia a manifestarsi l’esplicita volontà di rivedere, al ribasso, la legge appena approvata, rendendo il divorzio un puro vuoto istituto difficilmente realizzabile per quasi chiunque, evitando così la contesa ed il referendum, anch’esso ridotto a mera ipotesi, mero simulacro. Anche parte del fronte laico si avvicina all’idea di un compromesso che salvi il nome dello scioglimento del matrimonio, ma ne impedisca di fatto l’esercizio, pur di rimanere in area di governo. Ma trovare un punto di incontro che soddisfi Vaticano, Botteghe Oscure, Piazza del Gesù e socialisti richiede tempo, ed il tempo sta per scadere: per evitare la tornata referendaria, i partiti chiedono a Leone di sciogliere le Camere, e si va a nuove elezioni. Con il nuovo parlamento, si manifesta sempre più il disegno anti-riformatore nei suoi dettagli. Si arriva ad un patto tra Andreotti e Nilde Jotti. Enrico Berlinguer, segretario del partito dal 1972, al Comitato Centrale definisce il referendum “dannoso e pericoloso per i valori quali la pace religiosa, l’unità dei lavoratori, la sorti del regime democratico”; Giorgio Amendola, in una intervista all’Espresso, chiede esplicitamente che sia raggiunto il “compromesso storico con la DC”. A quel punto, succede qualcosa di impensabile, un vero colpo di scena, un azzardo che ha dell’incredibile: Marco Pannella, la Lega per il Divorzio e parte dei socialisti di area di Fortuna, denunciano patti, trattative, accordi sottobanco e, con l’intento di indurre i grandi partiti della sinistra a fare una scelta di campo chiara, netta, inequivocabile, e volendo salvare la norma vigente così come partorita, decidono di raccogliere le firme per il referendum abrogativo a fianco dei cattolici di Lombardi, Gadda, La Pira e all’MSI, suscitando scandalo, sconcerto, irritazione e ostilità veementi soprattutto da parte dei comunisti. Ma la mossa, sconvolgente e arguta, ribalta i piani politici dell’intero paese. Mentre alcuni cattolici progressisti si pronunciano a favore del divorzio (i cosiddetti “preti operai”, i “dissidenti”, tra i quali quelli dell’Isolotto, a Firenze), e mentre il Cardinale Siri lancia anatemi minacciando l’inferno, scoppia il caos nella DC, che si trova spiazzata da una mossa tanto ardita. Andreotti prova a manovrare per un ulteriore compromesso, cercando appoggi in Rumor e Moro, ma Fanfani, fino ad allora il più possibilista, prende le redini della battaglia per il SI, giocandosi il tutto per tutto, e sperando di diventare, in questo modo, il punto di riferimento di Oltretevere ed impossessarsi dell’intero partito, eliminando l’odiato Giulio e la palude dorotea, anche a costo di rinnegare il suo passato storico (era stato lui, proprio lui, a portare i socialisti al governo, e, con loro, a mettere mano ad importantissime riforme progressiste). A suo fianco, infervoratissimo, Oscar Luigi Scalfaro.

La raccolta di firme radicali contro la propria creatura ha un effetto di mobilitazione mai visto. Le firme raccolte e convalidate dalla Cassazione, alla fine, saranno un milione ed ottocentomila, una enormità. Sciogliere le Camere per la seconda volta in meno di due anni è impossibile, e i partiti sono costretti a dividersi nei due schieramenti. L’istituto referendario si attesta nella pratica democratica italiana, ed è questa, forse, il primo e più grande successo di Pannella. La campagna elettorale vede tentativi di minimizzazione (“per i lavoratori il problema del divorzio non esiste; la famiglia è per il lavoratore italiano qualcosa di serio e di importante da difendere”; Fernando di Giulio, capogruppo comunista alla Camera, Genova, 1974), e minacce di terrore di e disfacimenti sociali (“Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!“; Amintore Fanfani, Caltanissetta, 1974), ma le segreterie prendono infine posizione: PCI, PSI, PDSI, PLI, PRI e Radicali, sostenuti da L’Espresso e da altri ambienti intellettuali, si esprimono per il NO; DC, MSI, e Chiesa Cattolica per il SI.

Il 12 maggio si vota in un clima di grandissima incertezza. Il dato dell’affluenza, l’87,72%, sarà il più alto mai registrato, mai più raggiunto, per questo genere di consultazioni. Quando si aprono le urne, si contano, contro tutte le previsioni, 13.157.558 SI (il 40,74%) e 19.138.300 NO, il 59,62%.

Il voto non è uniforme, ci sono grandi differenze tra nord ovest, nord est, centro e sud; la DC viene tradita dal suo elettorato in particolare nel Triveneto, ma anche nelle grandi città meridionali, mentre le zone rurali, ed alcune regioni meridionali rimangono fedeli allo scudo crociato, ma è il trionfo per l’Italia laica e progressista, per Loris Fortuna ed i suoi compagni, e soprattutto per quei folli strateghi di Pannella ed i Radicali.

Sì, quella battaglia, combattuta su due, tre, forse quattro fronti, è stata la radice della leggenda radicale. Ha creato una mitologia antidogmatica, che però, poi, negli anni, è diventata anche rito sacrale e celebrativo. Ha permesso a questo paese, l’Italia, di progredire e di avanzare, ma lo ha anche spinto verso una infinità di contraddizioni. Perchè i Radicali hanno sempre preferito raccontarsi come vincitori del referendum del ’74, tanto da ingenerare l’equivoco che il divorzio sia stato introdotto così in Italia, e non tanto come coloro che portarono alla sua approvazione quattro anni prima. Ciò fa parte di quella propensione per una certa mistica di cui parlavamo precedentemente.

Pannella uomo al servizio degli altri uomini, anche dei suoi avversari, disposto per loro a concedere e a lottare più di quanto essi avrebbero mai fatto per sé stessi, ha reso di sé una immagine cristica che, negli ultimi anni, lo ha visto sempre più attivamente a fianco di quelle gerarchie ecclesiastiche che un dì avrebbe voluto spazzare via. E il Partito Radicale, con i suoi referenda a raffica, ha creato disaffezione proprio per lo strumento democratico che più ha amato. Liberismo che spaccava le sinistre (come scordarsi il suo NO alla reintroduzione della scala mobile?) e progressimo che atterriva le destre. I referenda radicali sono una parte importante, a volte debordante, della nostra storia, e per quanto sia stato difficile estrapolarli dall’insieme dei quesiti “altri”, perché spesso ad essi connessi o contemporanei, era necessario poterlo fare per avere, di quella stagione quarantennale, uno sguardo d’insieme completo, critico, analitico.

 

Questo link porta alla pagina del Ministero dell’Interno dove sono elencati TUTTI i referenda (compresi quelli costituzionali) votati in Italia. La visualizzazione non è immediata, essendo essi divisi anno per anno in sotto-link, ma è la fonte ufficiale alla quale abbiamo fatto riferimento.