La Cassazione ha stabilito che fare il saluto romano è (ovviamente) reato.

di Gabriele Pazzaglia

Sono state recentemente pubblicate la motivazioni della sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite – il più alto organo giurisdizionale italiano – che ha stabilito, una volta per tutte, che chi fa il saluto romano in pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista e va quindi punito con la pena della reclusione sino a tre anni, come prevede la legge Scelba1.

Il processo riguardava la manifestazione del “29 aprile”, una commemorazione svolta nel 2016 in ricordo di un militante di un’associazione di destra e di un consigliere provinciale, uccisi nel 1975 e 1976, e di un appartenente alla RSI ucciso nel 1945(!), nella quale c’è stato il solito rituale della chiamata del “presente!” con il saluto romano tra circa un migliaio di persone.

La sentenza è importante soprattutto perché mette la parola fine anche alle recenti polemiche seguite ad un’altra manifestazione, quella di via Acca Larenzia a Roma dello scorso 7 gennaio 2024, di cui è stato diffuso il video in cui si vedono decine di biechi figuri che hanno commemorato in modo… particolare le vittime del pluriomicidio del 1978 lì avvenuto. Il dibattito pubblico italiano si è diviso tra chi invocava proprio la legge Scelba e chi invece dubitava della sua applicabilità: tra questi ultimi anche il Presidente del Senato on. La Russa, secondo cui c’era «incertezza su come considerare certi gesti in caso di commemorazione di persone defunte», e che quindi occorreva attendere lumi dalla Cassazione che, di lì a poco, avrebbe deciso sul caso che abbiamo citato, per cui, continuava La Russa, «è possibile che si stabilisca che un saluto romano durante una commemorazione non sia apologia di fascismo, e quindi non sia reato, come molte sentenze stabiliscono» (Corriere della sera, 9 gennaio 2024).

Ebbene, l’on. Presidente vorrà prendere atto che i suoi auspici sono caduti nel vuoto perché la Corte di cassazione ha deciso nel senso diametralmente opposto a quanto da lui sperato.

Processi che si accavallano.

Sul punto fino ad oggi c’è stata effettivamente confusione normativa – che neanche la giurisprudenza aveva messo in ordine – su come dovesse essere considerato il “saluto romano” in pubbliche manifestazioni: fatto lecito o reato? E nel caso, quale?

La prima ragione di incertezza era dovuta al fatto che i comportamenti vietati dal reato di manifestazioni fasciste (non l’apologia citata da La Russa, che è un’altra cosa2 ) consistevano non in «qualunque parola o gesto» ma solo in quelli idonei «a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste», come stabilito dalla Corte costituzionale (sent. n. 74 del 1958).

Data la difficoltà di accertare questo requisito, e dell’opinabilità del giudizio, in passato vi è stato qualche caso di assoluzione nel mare magnum della giurisprudenza italiana. La manifestazione del 2016, ha dato il via al processo cui si riferiva La Russa, che è stato deciso dalla Cassazione.

In primo grado il Tribunale aveva assolto gli otto imputati, che però – ulteriore elemento di confusione – non erano stati imputati del reato di “manifestazioni fasciste”: la Procura, ritenendo che si trattasse di una manifestazione di propaganda razzista, ha invocato l’art. 604-bis del codice penale che punisce, anch’esso con la pena fino a tre anni di reclusione, «chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali» delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi «tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Si tratta della nota legge Mancino.

Il Tribunale, paradossalmente, pur ritenendo che il gesto rappresentasse adesione «alla ideologia fascista […] e, dunque, ad una ideologia discriminante ed intollerante», ha tuttavia assolto gli imputati ritenendo che fossero incappati in un “errore scusabile” sull’interpretazione della legge, in quanto potevano legittimamente supporre che non si trattasse di un reato. Ciò perché in un precedente processo, per una analoga stessa manifestazione di due anni prima, cioè del 2014, gli allora imputati – che in quell’occasione erano però accusati del reato di “manifestazioni fasciste” previsto dalla legge Scelba – erano stati assolti proprio perché il giudice aveva ritenuto che non vi fosse il concreto «pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste», cioè quel requisito individuato dalla Corte costituzionale. E quindi, per i successivi fatti del 2016, il Tribunale ha ritenuto che si fosse ingenerata in loro la legittima opinione che ciò non fosse reato.

I giudici d’appello hanno ribaltato la decisione: non c’era alcun “errore scusabile” perché la giurisprudenza della Cassazione ha sempre ritenuto vietate tali manifestazioni, mentre le singole assoluzioni sono frutto di un diverso «orientamento interpretativo non univoco». Praticamente qualche errore giudiziario, che non poteva legittimare l’opinione che il “saluto romano” fosse lecito.

La decisione della Cassazione: Il “saluto romano” è reato, quale manifestazione fascista.

Ed ecco, per mettere ordine, l’ultima sentenza della Cassazione, la n. 16153 del 2024. Essa, come detto, essendo stata emanata a “sezioni unite”, ossia nella più alta composizione della Corte, è vincolante per tutti i giudici, compresa la Cassazione stessa, nelle sua composizione ordinaria, cioè a sezioni semplici. Questi i punti più importanti:

1. È evidente, spiega la Corte, «la “fisiologica” riconducibilità del rituale della “chiamata del presente” e del “saluto romano”» al reato previsto all’art. 5 dalla legge Scelba, che punisce le manifestazioni fasciste: il fatto stesso che tali comportamenti fossero previsti proprio dal regolamento del partito nazionale fascista ne fa desumere «l’inequivocabile significato» di celebrazione dell’ideologia. Alla Corte è toccato ribadire l’ovvio.

2. Il saluto romano è punibile quando vi è «pericolo di “emulazione”» che concretizzi il rischio di ricostituzione di organizzazioni fasciste, tenendo conto delle circostanze in cui la manifestazione è tenuta: «tra gli altri, il contesto ambientale, l’eventuale valenza simbolica del luogo di verificazione, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti, ecc.»

3. Esclude inoltre la Corte – a chiara smentita della tesi del Presidente del Senato – che «la caratteristica “commemorativa” della riunione» possa “neutralizzare” il reato in quanto i motivi del comportamento sono irrilevanti.

4. Infine, insieme al delitto previsto dalla legge Scelba, il compimento di manifestazioni fasciste può violare anche la legge Mancino (per la precisione il decreto-legge n. 122 del 1993,) che all’art. 2 vieta le manifestazioni «proprie od usuali dei gruppi» aventi «tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». I due reati – tecnicamente – possono “concorrere”, realizzando così un aumento di pena. Ciò però a due condizioni, la prima che tali gruppi, i cui scopi sono esaltati, siano «operanti», cioè esistenti oggi, e non siano entità storiche; la seconda, che assieme al saluto romano ci sia qualche altro elemento che, nell’insieme, esalti il gruppo avente come scopo l’incitamento alla discriminazione o alla violenza, per i motivi anzidetti.

È finita l’era delle scuse.

Finalmente non ci sono più alibi. Non sono più ammissibili interpretazioni pelose della legge: essa proibisce il fascismo e tutte le evocazioni di quella ideologia che è stata bandita una volta per tutte dall’agone politico italiano. Si faccia rispettare la legge efficacemente, e non con il solito lassismo giustificazionista; si difenda la democrazia senza se e senza ma, vero patrimonio di ogni singolo italiano, eredità della Resistenza di cui tutti possiamo beneficiare. Il carattere antifascista della nostra Costituzione non è uno slogan da sbandierare in piazza ma è la naturale conseguenza del processo storico che ha portato ad affermare diritti e principi contro quel sistema politico, quello fascista, appunto, che li aveva negati: su tutti la libertà, l’eguaglianza, la democrazia, lo stato di diritto e la laicità, che esaltano il valore dell’individuo e della sua personalità, vera peculiarità questa dell’Occidente, che con tutti i suoi difetti è ancora il miglior posto del mondo dove vivere.



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  1. art. 5, legge n. 645 del 1952 []
  2. l’apologia, punita dall’art. 4 della legge Scelba consiste nella propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, che si realizzano «esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista» []