Il caso Uss e la discutibile iniziativa disciplinare del Ministro della Giustizia

il ministro Carlo Nordio

 

Di Massimo Niro (giurista, ex magistrato)

Nel mese di aprile scorso gli organi di informazione hanno dato grande risalto all’avvio dell’azione disciplinare da parte dell’attuale Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nei confronti dei giudici della Corte di Appello di Milano, i quali con un provvedimento adottato il 25 novembre 2022 hanno sostituito la custodia cautelare in carcere applicata all’estradando Artem Uss, di nazionalità russa, con gli arresti domiciliari assistiti dal c.d. braccialetto elettronico. Il Ministro Guardasigilli ha contestato ai giudici milanesi di aver tenuto, con l’adottare il provvedimento suindicato, “un comportamento connotato da grave ed inescusabile negligenza”, in quanto non avrebbero preso in considerazione una serie di circostanze risultanti dagli atti (in particolare evidenziate nel parere del Procuratore Generale) che “se opportunamente ponderate avrebbero potuto portare a una diversa decisione”: l’addebito rivolto dal Ministro ai giudici è, quindi, di “non aver valutato questi elementi dai quali emergeva l’elevato e concreto pericolo di fuga” (visto che l’imprenditore russo in questione è poi evaso dagli arresti domiciliari nel marzo 2023).

Con la notizia dell’iniziativa disciplinare del Ministro Nordio, come era prevedibile, “la tensione tra magistratura e ministero è altissima” (così Giulia Merlo sul quotidiano Domani del 19 aprile 2023): ora la tensione è ancora più alta dopo che l’Associazione Nazionale Magistrati ha preso chiaramente posizione sul caso e ha indetto un’assemblea per protestare contro l’iniziativa del Ministro, ritenuta improvvida e tale da “costituire un precedente pericoloso perché non è stato rispettato il limite invalicabile che impedisce al titolare dell’azione disciplinare, cioè il Guardasigilli, di sindacare il merito delle decisioni dei giudici” (cfr. l’intervista al Presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, su La Repubblica del 5 giugno 2023).

La preoccupazione dell’Anm è eccessiva, condizionata da esigenze corporative, o invece è legittima e segnala una obiettiva criticità della iniziativa del Ministro della Giustizia in carica? Tale interrogativo costituisce l’oggetto di queste considerazioni, che appaiono di interesse generale perché riguardano il tema dell’autonomia e dell’indipendenza effettiva della magistratura rispetto alle attribuzioni costituzionali del Ministro della Giustizia, tra le quali vi è quella di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati (art.107, 2° comma, Cost.).

2. Non si tratta, dunque, di prendere una posizione direttamente politica sulla vicenda e di schierarsi a favore del Ministro o a favore dei giudici “incolpati” (cioè colpiti dall’azione disciplinare del Guardasigilli), bensì di comprendere la portata dei fatti e valutare se questa iniziativa ministeriale sia opportuna o meno e soprattutto se sia rispettosa del dettato normativo vigente e dei principi costituzionali in materia di assetto della magistratura (artt.101 ss. Cost.). Il D.Lgs. 109 / 2006 (con le sue successive modifiche) regolamenta gli illeciti disciplinari dei magistrati, distinti in illeciti funzionali (compiuti nell’esercizio delle funzioni) ed illeciti extra-funzionali (compiuti fuori dall’esercizio delle funzioni), e nell’ambito dei primi sancisce un importante principio, secondo il quale “l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare” (art. 2 comma 2).

Appare evidente, da quanto in precedenza esposto, che nella vicenda di cui si tratta il suddetto principio viene in discussione, atteso che il Guardasigilli contesta ai giudici milanesi di aver valutato erroneamente e superficialmente, senza prendere in considerazione alcuni elementi essenziali, i fatti e le prove : ma in questo modo il Ministro non finisce per sindacare il merito delle decisioni dei giudici, in contrasto con il dettato della disposizione appena richiamata (art. 2 comma 2 D.Lgs. 109/2006), come appunto denunciato dal Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati?

In effetti i più attenti commentatori della vicenda hanno evidenziato che la lettura del provvedimento della Corte d’Appello di Milano “consente di constatare come i tre giudici non avessero ignorato gli elementi che dagli atti potevano far propendere per la custodia in carcere, ma li avessero soppesati e bilanciati con altre circostanze prodotte dalla difesa, concludendo che il pericolo di fuga continuasse a essere concreto, ma anche che potesse essere contenuto aggiungendo agli arresti domiciliari la (ritenuta) sicurezza del braccialetto elettronico” (così Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera del 19 aprile 2023).

D’altro canto, gli illeciti disciplinari dei magistrati sono ipotesi previste tassativamente dalla legge (il menzionato D.Lgs. 109 / 2006) e nel caso di specie il Ministro Nordio incolpa i magistrati milanesi di “un comportamento connotato da grave ed inescusabile negligenza”: peraltro, l’ipotesi normativa è quella della “grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile” (art. 2 comma 1 lett. g) D.Lgs. 109/2006) e qui non si riscontra alcuna violazione di legge, né il Ministro la contesta ai giudici (cfr., in tal senso, il commento del giurista Glauco Giostra su Avvenire del 22 aprile 2023 dal titolo Una rischiosa idea disciplinare).

Un altro aspetto discutibile, sul piano giuridico, dell’azione disciplinare intrapresa dal Ministro della Giustizia contro i giudici della Corte di Appello milanese è dato dal fatto che essa si risolve in una censura nel merito del provvedimento giudiziario de quo: infatti, la stessa lamentela di mancata ponderazione di elementi probatori acquisiti agli atti e, in particolar modo, la prognosi che il loro accurato esame avrebbe, secondo il metro valutativo del ‘più probabile che non’, condotto ad un radicalmente diverso esito decisorio corrisponde, nella forma e nella sostanza, a quel gravame che nel caso ben avrebbe potuto essere proposto – senza che ciò sia effettivamente avvenuto – dall’organo titolare della legittimazione all’impugnazione” (così Mario Serio, Riflessioni critiche sulla iniziativa disciplinare del Ministro della giustizia nel caso Artem Uss, in www.questionegiustizia.it, 20 aprile 2023).

In sostanza, il provvedimento dei giudici milanesi poteva essere impugnato, ma non lo è stato, da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, che pure si era espresso in senso contrario alla concessione degli arresti domiciliari ad Artem Uss: la successiva azione disciplinare intrapresa dal Ministro si risolve, di fatto, in un indebito gravame avverso la decisione della Corte di Appello.

Nessuno vuole mettere in discussione le prerogative costituzionali del Ministro della Giustizia, come quella di promuovere l’azione disciplinare nei riguardi dei magistrati per violazioni deontologiche dagli stessi commesse (violazioni dei doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio): ma occorre che tale prerogativa sia esercitata nel rispetto della normativa vigente e senza interferire nell’autonomia della magistratura e nell’esercizio della discrezionalità giudiziaria. Nel caso dell’imprenditore russo Artem Uss e dei giudici milanesi che gli hanno concesso gli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico, non pare che l’iniziativa disciplinare del Ministro sia stata ben ponderata e priva di possibili interferenze con principi di rango costituzionale.

Per questo motivo è opportuno discutere del caso e anche criticare l’operato del Ministro della Giustizia, non per posizione preconcetta ma perché il suo intervento suscita molti dubbi e perplessità di natura giuridica, in una materia assai importante e delicata come quella dell’autonomia del potere giudiziario e della separazione dei poteri.



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