Prima condannato, poi assolto. Un'accurata ricostruzione giuridica della vicenda Renzi-Corte dei Conti. Per capirci qualcosa

di Gabriele Pazzaglia

Alcune settimane fa si è concluso il processo d’appello davanti alla Corte dei Conti nel quale Matteo Renzi è stato assolto dall’accusa di aver danneggiato la Provincia di Firenze per una serie di assunzioni all’epoca in cui era presidente dell’ente. In primo grado, a fronte della richiesta della Procura di risarcire di più di due milioni di euro, anche nei confronti di altre 30 persone, Renzi in primo grado fu condannato a restituirne alla Provincia circa 14.000 €. Davanti a cifre così differenti, ad esiti processuali così diversi, chi ha ragione? E chi torto?

Secondo l’accusa, alla Provincia di Firenze le segreterie che collaboravano con gli organi politici, Presidente e assessori, costavano di più di quanto fissato per legge. In casi come questi, nei quali un amministratore pubblico è accusato di aver danneggiato il “suo” ente, la legge stabilisce un giudice speciale, la Corte dei conti, appunto, perché è reputata particolarmente adatta (dato che la metà dei giudici sono nominati dal Governo e quindi dovrebbero non solo applicare le regole in modo burocratico ma essere sensibili anche agli interessi dell’amministrazione e al suo rapporto con i funzionari). Attenzione, quindi, a non cadere nella eccessiva semplificazione “è condannato quindi è disonesto”. Una cosa sono i giudizi penali, nei quali si giudica se c’è un reato; tutt’altro sono i giudizi davanti alla Corte dei conti nei quali si verifica che non vi siano stati sprechi. Una cosa è un ladro, un’altra è un amministratore che viola la legge ma non ci guadagna.

Le assunzioni illegittime della Presidenza Renzi: (quasi) nessuno è colpevole.

Le indagini riguardavano sia la segreteria di Renzi sia quelle degli assessori. Concentriamoci adesso sulla prima: nel 2005 un esposto anonimo denunciava alla Procura che Marco Carrai (oggi presidente di Aeroporti di Firenze) era nella segreteria presidenziale con la retribuzione di chi è laureato (livello D) pur senza esserlo. La Procura allora verificò che i cinque posti che componono la segreteria erano stati ricoperti, in momenti diversi, da nove persone in tutto che, secondo la Procura, non potevano proprio essere assunte. La Corte invece ha stabilito che le assunzioni illegittime erano “solo” quattro.

Bisogna precisare che dagli anni ’90 in Italia vige la separazione tra l’amministrazione, cioè i funzionari (in primo luogo i dirigenti) che concretamente agiscono, e gli organi politici che possono solo indirizzarli, fissare gli obiettivi, e controllarne il risultato. In questo possono farsi aiutare dagli “uffici di diretta collaborazione” le cui assunzioni sono al centro della vicenda. Ma quali sono le regole per assegnare l’incarico?

La legge stabilisce che il politico possa assumere, liberamente e senza concorso, personale esterno che decadrà, col politico, alla fine del mandato elettorale. Non può farlo solo se l’ente è in dissesto economico; in tal caso il personale dovrà essere interno (art. 90 Dlgs 267/2000). Ma il Regolamento della Provincia di Firenze, proprio quella di Renzi stabilisce una regola diversa: il Presidente può assumere nuovo personale solo se non ne trova di adatti tra quelli già in servizio (articolo 6 Reg.).
Quale regola applicare? Nel nostro ordinamento il Regolamento vale meno della legge e quindi non può contraddirla, può solo precisarne il significato. E secondo la Procura siamo proprio in questo caso: le due regole vanno lette come se fossero una: se l’ente è in dissesto il personale deve essere per forza interno, in caso contrario la Provincia di Firenze, anche se ha le finanze a posto, deve prima controllare se ci sono idonei tra le i dipendenti già assunti. Non avendolo fatto, tutte le assunzioni sono irregolari.

La Corte invece mette in evidenza che la legge permette la chiamata diretta proprio per dare la possibilità al politico di farsi aiutare da persone di sua fiducia, dunque imporgli di verificare tra le persone già assunte sarebbe stato solo «onere formale» che si sarebbe risolto nello scrivere negli atti di nomina «una clausola di stile», con la quale il politico di turno dice che non può far altro che farsi aiutare da esterni (7.3 della sentenza). Ne consegue che il regolamento è invalido, inapplicabile, perché elimina un diritto garantito dalla legge. Si capisce quindi perché l’accusa di 9 assunzioni illegittime non sia stata accolta dalla Corte

Altra discordanza tra accusa e giudizio riguarda le retribuzioni: secondo la Procura l’attività lavorativa svolta senza la laurea è completamente inutile, a prescindere dal lavoro effettivamente svolto, e quindi dovrebbero essere restituite tutte le retribuzioni versate. La Corte, meno drastica, afferma che la restituzione integrale deve avvenire solo quando il titolo di studio è richiesto per svolgere una «prestazione di alto contenuto professionale». Ma non è questo il caso: infatti, anche se nelle Province (in perfetto stile italico) la ripartizione delle competenze non è fissa, comunque di solito il collegamento tra politica e amministrazione è svolto dall’Ufficio di Gabinetto, con compiti più concettuali, specialistici e professionali; invece le assunzioni contestate riguardano la Segreteria che ha compiti più pratici, generici e alla portata di molti (per fare un esempio, tenere un’agenda del politico non necessita di una laurea).

Matteo Renzi insieme al collaboratore e amico Marco Carrai
Matteo Renzi insieme al collaboratore e amico Marco Carrai

Il punto però, afferma la Corte dei conti, citando la Corte costituzionale, è che in base ai criteri di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione((Sent. Corte costituzionale 252/2009)) il politico può sì scegliere chi vuole ma non può pagarlo quanto vuole. Dunque il danno che deve essere risarcito, si conclude in primo grado, è la differenza tra quando sono stati effettivamente pagati i quattro e la minor cifra che invece avrebbero dovuto ricevere: circa 47mila €. A Renzi, come presidente della Provincia, viene imputato il 30% del danno da risarcire (dunque circa 14mila €), un altro 30% diviso tra Segretario generale, Direttore generale e dirigente competente (cioè funzionari), e il 40% tra gli assessori della giunta che hanno votato queste nomine.
Incidentalmente, già in primo grado, la Corte ha giudicato legittima l’assunzione di Carrai, che era l’unico nominato nell’esposto dal quale è partita l’inchiesta. In una separata sentenza((Sent. Corte dei conti 227/2012)) infatti aveva valutato che anche se non era in possesso di laurea, aveva un valido percorso sostitutivo: era già stato Responsabile di segreteria in un Comune.

In secondo grado Renzi è stato invece assolto((Sent. Corte dei conti 107/2015)) ma non perché le assunzioni siano legittime: anzi, benché Renzi lo sostenesse, affermando che avrebbero dovuto essere analizzate le effettive mansioni del personale, la Corte nemmeno considera tale punto. Evidentemente ne presuppone l’illegittimità e si concentra quindi sulla responsabilità: negli ordinamenti moderni, i fatti dannosi, in generale, devono essere risarciti se sono commessi con dolo (volontà) o colpa (negligenza, imprudenza, imperizia). Ma per non scoraggiare l’attività amministrativa con la paura di sanzioni, davanti alla Corte, invece, viene punito solo il dolo e la colpa grave, non quella lieve. Proprio per questo è scattata l’assoluzione: il giudice valuta che la giunta renziana aveva chiesto quattro pareri tecnici, che i contratti erano stati elaborati «dalla struttura amministrativa», che questa aveva fornito «apparenti garanzie, tali da indurre ad una valutazione generale di legittimità» e che quindi le irregolarità erano «di difficile percezione da parte di un “non addetto ai lavori”».

Dunque non vi è una colpa sufficiente a rendere il Presidente responsabile, mentre sono colpevoli – par di capire – solo i funzionari che non si sono opposti. Ma la sentenza che a questi impone di restituire solo il 30% del danno è già passata in giudicato, quindi i 14mila € inizialmente riferiti a Renzi sono paradossalmente passati in cavalleria!

Questo il fatto nella sua oggettività: le scelte di Renzi e gli argomenti delle sentenze. Ma che giudizio generale dare, visto che su questa vicenda si sono scatenati (e non poco) sia i denigratori sia i fans del premier?

Primo: abbiamo detto che per le assunzioni dichiarate a tutti gli effetti illegittime Renzi non è responsabile giuridicamente.
Ma non lo è nemmeno politicamente? Da una parte, certo, si può sostenere che è solo colpa degli uffici tecnici che sono lì proprio per fare il lavoro appunto tecnico, specialistico, quale è il decidere l’inquadramento di un assunto nella giusta retribuzione. Di contro gli si può rimproverare che il chiedere la fiducia ai cittadini in un’elezione diretta porta con sé la responsabilità, il dovere di sapere cosa si va a fare e come farlo legalmente. E questo argomento mi sembra molto convincente, perché qui non si tratta di una scelta tecnica per perseguire uno dei tanti obiettivi politico-amministrativi (come in tema di urbanistica, smaltimento rifiuti, energia etc…) ma si tratta di una scelta che coinvolge personalmente il politico: la scelta dei suoi collaboratori.

Secondo: l’argomentazione della sentenza non convince.
È vero che la Corte non ha colpe se la legge sulla responsabilità dei politici non è chiara: l’art. 1 della legge 20 del 1994 infatti stabilisce solo che se un atto rientra «nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi» la responsabilità non si estende agli «organi politici che in buona fede li abbiano approvati». Ma quando una competenza è propria di un ufficio, e quando l’organo politico è in buona fede? Il Parlamento ha scaricato sulla Corte dei Conti il compito di stabilirlo e questa non ha potuto fare altro che elaborare alcuni criteri per attribuire le responsabilità stabilendo che i politici non sono responsabili, tra gli altri casi, quando la decisione politica è «condizionata in modo evidente» dall’ufficio amministrativo per via della «difficoltà delle questioni tecniche o giuridiche» che richiedono conoscenze specialistiche((Corte dei conti, Sez. I, Centrale, 7.8.2002, n. 282: la giunta regionale decise di far fare uno studio sullo sfruttamento dell’energia in centrali già esistenti. L’assessore competente ne pagò uno che avrebbe dovuto riguardava anche nuove centrali (senza poi ottenere tale studio). Nonostante abbia cercato di dare la colpa agli uffici tecnici la Corte lo ha condannato.
Inoltre non sono responsabili quando l’ufficio ha scaricato sul politico un atto che avrebbe dovuto essere di sua competenza e quando il politico ha svolto un controllo di massima sull’ufficio. Cfr. C. conti, Puglia, 23.9.2010, n. 538))
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Ma questo a sua volta ha bisogno di essere verificato caso per caso e qui la Corte dei conti è criticabile perché mi sembra abbia smentito una sentenza dell’anno precedente, la 806 del 2014: il sindaco di Capannori (LU), come nel caso renziano, aveva assunto collaboratori e, benché non laureati, li aveva pagati come se lo fossero. Anche in questo caso il segretario comunale (anche lui condannato) non aveva rilevato l’illegittimità, così come il dirigente del personale (però nemmeno imputato). Ma il processo, all’opposto della sentenza del Renzi, è finito con la condanna anche del sindaco. Dunque, a meno che i due casi non abbiano differenze che mi sono sfuggite, mi sembra si generi il sospetto che due casi così simili siano finiti in modi diversi perché chi è stato assolto nel frattempo è diventato Presidente del Consiglio. Fiducioso nella magistratura, comunque spero che sia stata la diversa capacità degli avvocati a determinare i diversi esiti: quello del sindaco di Capannori, si legge nella sentenza, sembra aver puntato molto sulla qualità del curriculum dell’assunto. Invece, come abbiamo detto, il difensore del Renzi ha battuto sulla responsabilità degli uffici tecnici.

Già, e siamo al punto tre, l’avvocato del Renzi, chi è?
È quell’Alberto Bianchi che Renzi ha nominato poi (maggio 2014) nel Consiglio d’Amministrazione dell’ Enel. Molti alla metà degli anni ’90 – giustamente – si scandalizzarono perché Berlusconi aveva come Ministro un suo avvocato. Ecco, anche oggi questo comportamento è da criticare. O forse lo sarebbe. Mi permetto di dire che più che un male questo modo di fare è un sintomo, sintomo della incapacità dei partiti di creare competenze che poi possano essere spese nel campo pubblico. Speriamo solo che sia bravo come amministratore quanto lo è stato nel processo.

Infine, alcuni giornalisti si sono affrettati a dire che pochi giorni dopo la sentenza che ha assolto Renzi, il presidente della sezione che l’ha emanata sarebbe stato premiato con la nomina a Procuratore generale della Corte. Invece la stessa Corte in un comunicato stampa ha affermato che la nomina è seguita ad «un’apposita procedura concorsuale», cioè che la decisione sostanzialmente è stata degli altri magistrati e solo «formalizzata» dal Presidente della Repubblica e dal Governo. A mio giudizio, anche se non mancano giuristi che sostengono apertamente che sulle nomine il potere di dire l’ultima parola sia del Governo, in questo caso non sembra di vedere lo zampino del Presidente del Consiglio. Certo una maggiore separazione tra politica e giudizio di responsabilità eliminerebbe ogni sospetto: anzi, secondo me sarebbe auspicabile giungere direttamente all’unificazione della giurisdizione sotto quella ordinaria portando il giudice contabile (e, perché no, anche quello amministrativo) sotto l’ombrello protettivo del Consiglio Superiore della Magistratura che, eletto per 2/3 dagli stessi magistrati dà complete garanzie di indipendenza. Queste sarebbero le riforme costituzionali di cui avrebbe senso parlare.

Dunque, Fu vera giustizia?
Ai posteri l’ardua sentenza… A meno che non si faccia appello.

Una postilla: l’inefficienza della Corte dei conti imposta per legge.

Nel descrivere il processo a Renzi ho detto che le indagini riguardavano anche i suoi assessori. Il loro processo però non è mai entrato nel merito perché tutto è stato spazzato via da un cavillo processuale. Si tratta di un piccolo comma, il 30ter, in un lungo e farraginoso articolone, il 17, in uno dei tanti decreti anticrisi approvati in questi anni (il 78/2009). Questo comma 30ter stabilisce che le procure possono indagare solo «a fronte di specifica e concreta notizia di danno» pena la nullità dell’accusa, nullità che può essere fatta valere «in ogni momento» del processo. Tradotto: la Procura, dice la legge, da 2009 non può prendere autonome iniziative, non può dedurre che un’amministrazione abbia avuto un danno. Può funzionare solo come un juke box: metti la moneta (la denuncia) e i magistrati partono. In mancanza di denuncia, anche se con eventuali indagini autonome della Procura emergesse un danno anche grande, nessuna sanzione.

La cosa, che già così può apparire irrazionale, è forse spiegabile nel senso che il Parlamento vuole che i magistrati si concentrino nei casi in cui ci sono più possibilità di trovare danni alle casse dello Stato. Ma la vera assurdità è che la norma sia retroattiva. Sono salvati solo i processi nei quali si è concluso il primo grado: dunque se la Procura ha già formulato l’accusa, come nel processo agli assessori della Giunta renziana, e se magari siamo al giorno prima della sentenza, e tutti gli atti fino a quel momento sono stati compiuti a norma della legge in vigore quando il processo iniziò, il procedimento va comunque a tarallucci e vino con buona pace delle speranze dei contribuenti che vedono il loro denaro volatilizzarsi (punto 3.8 della sezione “diritto” della Sentenza di primo grado).

Agli occhi di un ingenuo che crede che l’inefficienza dell’amministrazione vada sanzionata, tutto questo non ha senso. Ma se si guarda indietro, ai giorni nei quali la norma fu approvata, si scopre che un senso c’è, per quanto brutto. La norma fu inserita dal Governo Berlusconi per proteggere proprio l’allora Presidente del Consiglio. In quei mesi stava emergendo il caso D’Addario, e per impedire che a Berlusconi fosse chiesto il risarcimento del danno all’immagine dello Stato, si stabilì che potesse essere preteso solo se il comportamento era previsto dal codice penale come reato contro la pubblica amministrazione (corruzione, peculato, etc)((Tecnicamente la norma prevede che la Procura eserciti «l’azione per il risarcimento del danno all’immagine subito dall’amministrazione nei soli casi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97». E questo menziona «i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale»)). E inizialmente era al solo diritto di immagine che si riferiva il requisito della «specifica e concreta notizia di danno» della denuncia. Questo requisito, però, forse per paura che fosse dichiarato incostituzionale perché era una differenziazione irrazionale rispetto a tutti gli altri danni erariali, forse per un pasticcio legislativo, è stato poco dopo esteso a tutti i procedimenti della Corte dei conti((decreto-legge 109/2009)). L’efficienza della Corte dei conti sacrificata sull’altare dell’interesse di una persona. Risultato: un numero indefinito (e forse indefinibile) di procedimenti evaporati così come i soldi dei contribuenti che non saranno mai restituiti alle amministrazioni che hanno avuto un danno dai loro funzionari.

Tra i procedimenti saltati c’è anche quello agli amministratori renziani della Provincia di Firenze. Le indagini infatti partirono da un esposto anonimo nel quale si denunciava che Carrai (la cui assunzione come abbiamo detto è stata dichiarata legittima) era nella segreteria presidenziale con la retribuzione di chi è laureato (livello D) pur senza esserlo. E la Procura controllò tutti i componenti della segreteria e le relative retribuzioni. Scorrendo l’elenco la Procura nota che alcuni dei nove che si sono alternati nei cinque posti, hanno il titolo di “sig.” davanti al proprio nome, ne deducono che non siano laureati benché stipendiati come se lo fossero. Però la Procura non si è fermata: dato che la segreteria del Presidente della Provincia appariva irregolare, hanno dedotto che anche quelle degli assessori avrebbero potuto esserlo. Le indagini si sono estese a tutti gli assessorati, ma le relative accuse non sono state nemmeno discusse dalla Corte dei conti; tutto è stato travolto dalla nuova norma del 2009 che abbiamo descritto, semplicemente perché le indagini erano deduzione della Procura e non erano supportate dalla notizia di reato. Da non crederci.