di Marco Ottanelli
Bonifacio VIII aveva appena fissato, come scritto nella prima puntata di questa serie, che il Giubileo si celebrasse ogni 100 anni, che già dopo poco le sue regole furono cambiate e stravolte. Il fatto è che la stessa Chiesa, in quegli anni, cambiò e fu stravolta. La “guerra civile” che aveva indebolito Roma ed i possedimenti papali aveva lasciato il re di Francia padrone del campo, in grado di condizionare la corte pontificia e gli stessi conclavi.
Dopo il brevissimo regno di Benedetto IX, il conclave pensò bene di riunirsi nella più tranquilla Perugia, dove elesse al soglio l’arcivescovo di Bordeaux, che prese il nome di Clemente V. Nonostante Bordeaux fosse sotto il controllo del re d’Inghilterra, nessuno poté negare che l’elezione di un francese non fosse una coincidenza. Non solo: il nuovo Papa si trasferì ad Avignone, che ottenne dagli Angiò per 80.000 fiorini, e vi installò la corte papale, lontana dalle violenze ed incertezze romane.1 A quel punto, il processo di francesizzazione del pontificato si poteva dire completato. I Papi avignonesi erano sì fortemente interessati a Roma, ma la loro origine, la loro politica, il loro agire ed ovviamente le loro dottrine erano legate al regno di Francia. Le conseguenze per i territori pontifici e l’Italia tutta furono drammatiche: anarchie e rivolte interne, scontri e faide tra famiglie nobili, banditismo, crisi economica e guerre tra tutte le signorie, guerre nelle quali il papato interveniva puntualmente.
Il secondo Giubileo, del 1350
Questo evento fu il primo, in effetti, a definirsi “giubileo”, perché il Papa che lo indisse rifacendosi alla tradizione ebraica cinquantennale ricordata nel capitolo precedente, lo chiamò proprio così. L’idea di dimezzare la cadenza della celebrazione e la stesura della relativa bolla si realizzarono sin dal primo anno di regno di Clemente VI, nel 1347, ma la decisione venne resa nota solo molto più tardi. A concorrere all’iniziativa avevano contribuito anche gli ambasciatori ed i messi inviati da Roma alla corte avignonense: nobili e popolani romani vedevano nel trasferimento del papato, e ben a ragione, un fattore di impoverimento e di abbandono dell’Urbe; l’unico espediente che avrebbe permesso alla decadente città2 di risollevarsi pareva solo il giubileo, e non si poteva certo aspettare un altro mezzo secolo. Tra i vari ambasciatori che si susseguirono implorando tale provvedimento, si ricordano i Colonna, il poeta Francesco Petrarca e un giovane Cola di Rienzo, che tanta parte avrà negli avvenimenti seguenti.
Clemente aveva avuto fiducia in lui, e gli affidò alcune cariche di governo dalle quali Cola costruì il suo potere personale fino a diventare una sorta di Signore, e vero e proprio tiranno, di Roma. Quando tentò di proclamare la Repubblica e di unificare l’Italia esautorando papi, imperatori e principi3 il suo dominio, già vacillante per gli eccessi e le stranezze, cadde. E solo con la sua caduta ed il conseguente arresto nella fortezza degli Orsini, nel 1348, convinsero il Papa ad indire il giubileo per il 1350. Un grande gesto di riappropriazione pontificia della Città Eterna.
Il giubileo si svolse in un clima di irripetibile ondata emotiva, perché l’Europa era appena uscita dalla immane strage della Peste Nera, che ne aveva ucciso la metà della popolazione, e perché pochi mesi prima Roma era stata colpita da un fortissimo terremoto. I pellegrini si aggiravano dunque tra macerie e desolazione, come ebbe a testimoniare Francesco Petrarca: “Le case giacciono a terra, le mura cadono, i templi crollano, i santuari sprofondano, le leggi sono calpestate. Il Laterano giace al suolo e la madre di tutte le chiese è senza tetto, aperta all’infuriare del vento e della pioggia. Vacillano le sante dimore di San Pietro e Paolo e quello che prima era il tempio degli Apostoli è ora un amorfo cumulo di rovine che indurrebbe a pietà i cuori di pietra”
Ma nonostante ciò, giunsero in città così tanti pellegrini che i pochi alberghi e le poche osterie ancora in piedi non riuscirono ad accoglierli tutti, e nel duro inverno di quell’anno, ci si dovette adattare: ” i Tedeschi e gli Ungheri in gregge e a torme grandissime stavano la notte a campo stretti insieme per il freddo, aiutandosi con grandi fuochi”, ci racconta Giovanni Villani.
Ben presto scarseggiarono viveri, bevande e persino il pagliericcio per dormire per terra. I prezzi schizzarono alle stelle, per la gioia di speculatori, trafficanti e delle casse pubbliche romane. Per smaltire un po’ la calca, alle porte sante di San Pietro e San Paolo, si aggiunse anche quella di San Giovanni in Laterano.
Peste, desolazione, instabilità furono i fattori che impedirono a Clemente VI di presenziare alle cerimonie. Egli non si recò neanche a Roma, e rimase al sicuro nei suoi palazzi4. Eppure l’Anno Santo ebbe un certo impatto politico: non solo venne proclamata una tregua nella Guerra dei Cent’Anni tra Francia ed Inghilterra, ma anche altri sovrani riconobbero che al Papa spettava riprendere completamente il controllo del Lazio e degli altri suoi territori italiani5.
Brevissima biografia di Clemente VI
Al secolo Pierre Roger, era monaco benedettino, di grande cultura umanistica, ecclesiastica ed economica. Dal punto di vista teologico non lasciò tracce profonde, ma da quello politico sì, conducendo una contesa durissima contro l’Imperatore di Germania, e sbilanciando a favore della Francia, sua patria, l’asse europeo. Non fu un Papa tirannico, ma al contrario apparentemente liberale e libertario, al punto da essere cinicamente sempre pronto ad appoggiare o abbandonare questa o quella fazione, secondo il suo interesse. Rimasero famose le sue enormi spese ed il lusso della sua corte: per la sua sola incoronazione, secondo quanto riportato dal volume 195 delle uscite e delle entrate consultabile nell’Archivio vaticano, fece servire al banchetto d’onore dozzine di lucci e storioni; 200 buoi e vitelli; 1000 montoni; 3000 capponi; 11000 tra maiali capretti e polli; il tutto annaffiato da 102 botti di vino. Gran viveur, amava vestirsi di panni preziosissimi, di ermellino e di stoffe rare, salvo quando preferiva mostrarsi nudo nelle frequenti orge che organizzava con copia di fanciulle. I funzionari papali gli fecero dono di un “grazioso, nuovo e prestigioso bordello acquistato dalla vedova di un medico con un atto di compravendita, che recava l’incipit: In nome di Nostro Signore Gesù Cristo”. Trasformò Avignone da piccolo paese a grande città. Fu comunque prodigo verso poveri e bisognosi, e, durante la terribile pestilenza, organizzò con molti mezzi soccorsi, aiuti, cure ed elemosine. Morì nel 1352.
La Chiesa in frantumi, Papi e Antipapi, intervalli giubilari sempre più brevi
La nuova cadenza cinquantennale non venne rispettata neanche per una volta: al vedere quanta ricchezza l’Anno Santo portava a Roma e alle casse pontificie, si trovò il modo di definirne un susseguirsi più… incalzante. La scusa venne presto trovata rifacendosi all’età di Cristo. Quindi, il giubileo, stabilì Papa Urbano VI (eletto nel 1378), avrebbe dovuto svolgersi ogni 33 anni. Solo che lo stabilì nel 1389, e lo indisse per l’anno successivo: dall’ultima volta erano passati 40 anni, né 50 né 33… insomma, un’indizione del tutto arbitraria, la cui giustificazione risiede nella drammatica situazione della Chiesa. Siamo infatti in pieno Scisma d’Occidente, una delle più caotiche e pericolose crisi del Cattolicesimo.
Cosa era successo? Dopo molti anni, un Papa, Gregorio XI (che, per quanto francese, aveva sempre vissuto ed operato in Italia), decise di riportare la corte e la sede pontificia a Roma. Solo un anno dopo, però, morì. Il conclave che si riunì era profondamente diviso tra fazioni che erano l’espressione di due grandi concezioni geo-politiche, che per semplicità si schierarono in un partito “romano” ed uno “avignonese”. “Romano lo volemo, o almanco italiano!” gridavano le folle (ben dirette dai soliti Colonna, Orsini ed altri nobili) ai cardinali. Ed almanco italiano il Papa fu, appunto Urbano VI. L’elezione si verificò in un clima di entusiasmo del popolo, che rivedeva celebrarsi in Roma i fasti del papato dopo sette decenni.
Ma la fazione avignonese non accettò il risultato, e, trasferitasi a Fondi, contea dei Caetani semi-indipendente, elesse un [anti]Papa, che prese il nome di Clemente VII, il quale immediatamente si trasferì ad Avignone. Di fatto, c’erano due Pontefici e due Chiese Cattoliche. L’Europa si divise: qualche regno appoggiò la corte francese, qualche altro quella romana6, in un crescendo di tensione che rischiò di anticipare di quasi due secoli le guerre di religione.
Dopo l’elezione di una serie di Papi romani e di Papi avignonesi contrapposti, nel 1409 il concilio di Pisa elesse, chiedendo le dimissioni dei due in carica, un nuovo Papa. Ma le dimissioni non arrivarono, e quindi la Chiesa ebbe tre Papi contemporaneamente. La tripartizione (un Papa romano, uno avignonese ed uno pisano) si protrasse fino al 1417 , quando il Concilio di Costanza, costringendo i vari Papi ad abbandonare la carica, pose fine alle lotte con l’elezione unitaria di Martino V. Nell’occasione, per celebrare la rinnovata gloria ed universalità della Chiesa, venne anche orrendamente bruciato vivo sul rogo il povero Jan Hus, filosofo boemo considerato un anticipatore del protestantesimo (tra le sue “colpe”, anche l’aver condannato la vendita delle indulgenze).
Il terzo Giubileo del 1390
Ma tornando al tema del nostro articolo: è quindi in quel clima di rivalità papale che Urbano VI decide di riportare la centralità del mondo cristiano sulla sua sede, Roma. Scadenze da rispettare o meno, il Giubileo va fatto, e subito! Purtroppo per lui, Urbano muore nel giro di pochi mesi dopo l’indizione, e sarà il suo successore, Bonifacio IX eletto nel 1389, a gestire la grande celebrazione. Essa si svolse in una “edizione ridotta”, visto che, a causa dello scisma in atto, i cattolici fedeli ad Avignone disertarono Roma. Per ovviare a questo impedimento, il Papa autorizzò la vendita delle indulgenze in diverse città europee, suscitando molto scandalo particolarmente in Germania.
Oltretutto, di ciò si approfittarono anche molti emulatori: giravano il continente schiere di truffatori – ecclesiastici e laici – che, dicendo di agire in nome e per conto di Bonifacio, vendevano false indulgenze non solo, come dice un cronista dell’epoca, agli ultramontani (i più sempliciotti tedeschi, fiamminghi, boemi ed ungheresi), ma “eziando [persino] in Italia”, dove l’atavica furbizia e la conoscenza delle cose romane avrebbero dovuto evitare di cadere nell’imbroglio. Bonifacio reagì con veemenza, inviando lettere e ordini a Signori, Duchi e Vescovi nelle quali denunciava la Divina Majestatis offensam, la gravitatis Apostolicae vilipendium, l’animarum grandem pericolum, l’exempli pessimi dannosa perniciem, e lo scandalum plurinorum che questi mascalzoni che vendevano remissioni dei peccati in vece sua andavano commettendo. Quando si tratta di soldi, la Chiesa ritrova sempre la sua vigoria, e con vigore i pataccari furono arrestati, processati, spesso torturati ed uccisi secondo i disumani metodi dell’epoca.
Il quarto, imprevisto, Giubileo, del 1400
Dopo soli dieci anni, nel 1400, Bonifacio IX si trovò quasi costretto a celebrare un nuovo Anno Santo, anche se effettivamente non aveva indetto nessun Giubileo, volendo egli attenersi alla nuova regola dei 33 anni. Ma, ricorrendo il centesimo anno dal primo grande Giubileo del 1300, moltitudini di credenti cominciarono ad invocarne la convocazione, e si spinsero verso Roma in masse crescenti. Stanchi delle pestilenze continue, e delle continue guerre che stavano insanguinando con ferocia inaudita l’Italia e l’Europa, decine di migliaia di uomini e donne si fecero conquistare dal movimento dei Bianchi, o Albati (dal colore delle loro tuniche), che, in orde crescenti, si avvicinarono, pregando e facendo penitenza, verso l’Urbe.
Ecco, in tali orde, accanto alle istanze lodevoli (avevano come slogan e come supplica “pace e misericordia!”) cominciarono a crescere idee estreme di pauperismo, di penitenza ed espiazione, di vero e proprio fanatismo, anche violento. Come una valanga, i Bianchi crescevano raccogliendo adesioni ovunque passassero, ed al loro arrivo a Roma la invasero assommandosi alla già numerosissima folla giunta per questo Giubileo mai proclamato e quindi mai organizzato.
La città non resse l’urto: ovunque era sporcizia, violenza, disordine. La vendita di reliquie ed indulgenze divenne un putiferio incontrollabile, sia da parte delle autorità che degli abusivi, in un pandemonio di concorrenza della superstizione. Bonifacio, impegnato come era a dirimere le questioni dello scisma, ed odiato da parte della popolazione, temeva per la sua stessa sicurezza. Prima blandendo i Bianchi (davanti alle loro schiere eseguì l’ostensione della Veronica, classica reliquia giubilare), poi cercando di controllarli, poi rendendosi conto che essi erano ingestibili, passò presto all’azione, facendo arrestare i loro capi, quasi tutti preti e monaci che predicavano povertà e continenza, e li fece condannare e bruciare sul rogo.
Intanto l’affollamento, la totale mancanza di igiene e le condizioni stesse dei miserabili pellegrini favorirono lo scoppiare di una violentissima pestilenza. Il morbo provocava, secondo cronache forse un poco esagerate, dagli ottocento ai mille morti al giorno. Chiuso nel suo palazzo in Laterano, il Papa osservava la contemporanea sparizione dei suoi fedeli7 e dei suoi nemici, avversari politici scismatici, o bianchi fanatici che fossero.
Brevissima biografia dei Papi Urbano VI e Bonifacio IX:
Di Urbano VI (Bartolomeo Prignano) ricordiamo la durissima lotta contro simonia e corruzione dei cardinali, e lo scontro (anche militare, non solo dottrinale) con l’antipapa Clemente VII, ma soprattutto la vera e propria guerra che lo vide contrapposto al reame di Napoli. Urbano (che era originario di quello Stato) venne assediato per sette mesi nel suo castello di Nocera Inferiore, e fu costretto alla fuga su navi genovesi che vennero a raccoglierlo a Paestum (e per il passaggio, dovette pagar loro tutto il tesoro che aveva con sé). Un’altra guerra la condusse contro parte del collegio cardinalizio, che aveva deciso di arrestarlo, condannarlo per eresia (la sua colpa principale era stata vendere beni della Chiesa) e mandarlo al rogo. La sua reazione fu immediata e violenta, e a morire furono, in varie riprese, molti cardinali.
Bonifacio IX (Pietro Tomacelli) fu soprattutto un Papa di guerra: con una cinica alternanza di alleanze tra Napoli, Milano e Firenze, con l’uso spregiudicato delle truppe mercenarie, e con una buona dose di fortuna (che all’epoca divenne proverbiale), Bonifacio riuscì a riprendere completamente il controllo del Lazio, dell’Umbria e delle Romagne, dopo assedi e battaglie contro Perugia ed Assisi in particolare, e ad imporre il controllo su Bologna. Ma il suo successo più grande e duraturo fu l’eliminazione delle istituzioni comunali di Roma, con la fine di ogni autonomia cittadina ed il suo totale asservimento alla corte papale.
- Per la precisione, si insediò nella vicina Carpentras, nel Contado Venassino, che già era territorio pontificio (fu il suo successore a trasferirsi ad Avignone). [↩]
- Roma si ridusse ad avere 20 mila abitanti, mentre, nello stesso periodo, Firenze ne aveva 100 mila, Siena 70 mila, Milano 120 mila, Venezia 110 (il “circa” vale per tutti) [↩]
- La straordinaria e drammatica storia di Cola di Rienzo è raccontata con dovizia di particolari in questo link [↩]
- ma un cardinale passò e ripassò le porte sante per lui, cosicché anche il Papa assente ebbe la sua indulgenza plenaria: per procura [↩]
- Il progetto si concretizzò nel pontificato successivo, grazie ad una politica spregiudicata (venne anche richiamato al potere Cola di Rienzo, per un certo periodo!) e alla massiccia campagna militare del Cardinale D’Albornoz, che, spada alla mano, ricondusse feudi e città all’obbedienza [↩]
- La cartina visibile a questo link, in francese ma di semplicissima comprensione, mostra la geografia dello scisma [↩]
- molti dei quali in punto di morte lasciarono in eredità alla chiesa quanto avevano con sé [↩]