Licio Gelli e le sue carte: la donazione all’archivio di Stato

di Marco Ottanelli

Pistoia, 11 febbraio ’06. La giornata comincia con un depistaggio, in puro stile P2: su tutti i giornali campeggia la notizia che Licio Gelli è malato, e quindi non interverrà alla cerimonia ufficiale con la quale l’archivio di Stato di Pistoia riceve in dono il suo archivio di libri, oggetti, carte, manoscritti, epistole e poesie. Ma, alla elegante cerimonia patrocinata dal Comune, Licio c’è, eccome. Arriva alle ore 15.15 in piazza del Duomo, scortato da una falange di amici (ci sono anche i figli), dalla giovanissima compagna, da qualche massone fedele, da un po’ di guardaspalle e da alcune televisioni. Ci sono anche (sic) le Jene…Ad accoglierlo, un drappello di contestatori, giovani, giovanissimi, meno giovani, non troppi, in verità (il depistaggio ha avuto effetto), ma decisi e battaglieri. Cerco invano i simboli dei grandi partiti popolari della sinistra democratica italiana, in questo drappello, ma, a parte striscioni e una bandiera con Guevara, c’è solo un- vessillo- uno dei Comunisti Italiani.

Il piccolo corteo si infila nella cattedrale, per una doverosa preghiera a diosantissimo, e poi sale le scale dell’antico palazzo adiacente, per accomodarsi nella sala “messa cortesemente a disposizione dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia”.

Sala che si riempie immediatamente di circa 200 persone, la metà delle quali è costretta a rimanere in piedi. Personalmente mi accomodo nelle primissime file, un po’ intimorito. Sono attorniato da gente particolare, con cravattoni azzurri, gemelli d’oro, spille e gagliardetti che non so interpretare. Noterò, per tutte le tre ore della cerimonia, un fitto scambio di cenni, occhiolini, gesti d’intesa e rare, ma ferme, pacche sulle spalle.

Giungono i relatori. La professoressa Linda Giuva, archivista d’eccezione e moglie di cotanto marito (Massimo D’Alema) arriva sorridente e leggera, intervistatissima dalla stampa presente, e baciata e abbracciata da un piccolo gruppo di diessini docg. Risponde a domande e sollecitazioni di simpatia, si destreggia con eleganza tra microfoni e telecamere, che, per un po’ dimenticano quasi il Venerabile. Chissà perché è così importante, così considerata, così corteggiata. “Poverino, è rimpicciolito”, mi fa un signore seduto accanto a me “sa…l’età…” rispondo imbarazzato “no, è lo stress…è lo stress, per tutto quello che ha passato…” mi dice. Non so trattenermi: “ma che ha passato?” faccio duro. Il signore non risponde, ma fa un gesto vago con la mano come per dirmi “eeeehhh!!”.

Si comincia. Prende la parola il prof. Carlo Vivoli, direttore dell’archivio. Saluta e annuncia l’adesione alla manifestazione del Prefetto (che però non c’è), e legge una lettera del sindaco Berti (DS), il quale, annunciando che “non c’è stato alcun ripensamento sul patrocinio” concesso dal Comune all’evento (nonostante le durissime reazioni di centinaia di pistoiesi e movimenti politici toscani dei giorni passati), evento che contribuirà a svelare “la bruciante storia” degli ultimi decenni, “nondimeno” né lui né alcun assessore sarà presente, visto il clima di contestazione alla decisione, appunto, di patrocinare la giornata. La giunta quindi, ringrazia Gelli e si scusa per l’assenza, assenza che, afferma Berti, “è per ricondurre le cose nel loro giusto ordine”. Mai sentito un atto di ipocrisia simile. Chissà perché i patrocini si possono generosamente concedere, e poi evitarne l’eventuale prezzo in fischi. Chissà.

Dopo il prof. Falace, della direzione generale dell’archivio di Stato, che spiega che è compito dello stesso proprio quello di acquisire materiale, parla la sovrintendente Paola Benigni. Con chiarezza estrema, spiega il perché l’archivio Gelli sia stato accettato, e enumera i passaggi della acquisizione, l’iter della stessa, calcando bene sulla “normalità” di tale operazione, e sulla similitudine con tutte le operazioni di questo tipo. In ogni caso, tiene a precisare, “l’archivio e collezione Gelli, al pari di altri archivi di esponenti della cultura e della politica, appare speculare della personalità, delle attività del suo produttore…questi ha proceduto ad un montaggio certamente non neutrale della propria immagine…e questa operazione può aver comportato, anche in questo specifico caso, scarti e distruzioni” Nonostante ciò “si ritiene che questo complesso di testimonianze, per quanto manipolate, possa risultare utile a ricostruire momenti importanti, ma per molti aspetti ancora oscuri, della storia più recente del nostro Paese” . Sarà vero? Sarà mai possibile? Chissà.

È più o meno in questo momento che un paio di ragazzi, dalla piazza, riescono a entrare nella sala, e a gridare “vergogna, vergogna!”. La risposta di quattro o cinque elegantoni delle prime file è similare, ma condita con i soliti “barboni, morti di fame”. Un grosso uomo davanti a me ringhia tra i denti “hanno anche la bandiera del Che! Morti di fame!”….aridaje…

Finalmente, attesa e omaggiata da tutti, prende la parola Linda Giuva D’Alema, che, dall’alto del suo incarico prestigiosissimo, descrive in grandi linee di cosa è composta la “Donazione Gelli” e poi parte in un lungo intervento fittissimo di citazioni (da Oietti a Le Goff, da Ginsburg a D’Annunzio) per spiegarci cosa sia, in realtà, un archivio privato. Mentre le sue definizioni mi scorrono addosso (“è una sorta di autobiografia, è come un album di ricordi”), mi sorprendo a notare la sua stupefacente somiglianza con l’augusto consorte. Non solo ha lo stesso volto affilato, la stessa bocca sottile, la stessa postura fisica, ma le è identica nell’espressione, nell’intonazione delle parole, nell’intercalare (“…diciamo…”), nelle piccole pause e nelle smorfie, se mi è concesso usare questo termine. Non so più se ho davanti la professoressa Giuva o l’imitazione di D’Alema di Sabina Guzzanti.

Ma non posso, né riesco a sorridere. Mi domando, (mentre in conclusione accenna appena all’archivio uruguayano della P2 e all’atto di democrazia che è l’acquisizione di queste carte), cosa ci faccia lei qui. Perché è sì un potentissimo luminare nel campo, ma è anche…altro. Mi frulla in mente, di continuo, quanto Gelli affermò il 16 aprile del 1997, quando, riferendosi alla Commissione Bicamerale per le Riforme presieduta da Massimo D’Alema, dichiarò ad un giornale: “Il mio piano di rinascita democratica? Vedo che, 20 anni dopo, questa bicamerale lo sta copiano pezzo per pezzo con la bozza Boato. Mi dovrebbero dare il copyright. Meglio tardi che mai.”  Chissà se il copyright glielo hanno dato, poi …forse per il Venerabile basta un gesto di cortesia? Una presenza? Perché i coniugi D’Alema non ci hanno pensato?

Interviene ora il prof. Aldo Mola, esperto di massoneria. Prima che cominci a parlare, un altro grosso uomo, in piedi da molto, a voce alta e agitando il ditone dice “non ci propini altre giustificazioni, adesso sul perché avete accettato l’archivio! Ne hanno già date tante, ringraziamo Licio Gelli, piuttosto”…piccolo momento di imbarazzo…Linda Giuva fa sì con la testa. il Prof. Mola comincia, e spiega che in Italia non è facile avere informazioni sulla massoneria (ma va?), e che gli archivi più ricchi, interessanti, completi e allo stesso tempo meno consultabili sul tema sono quelli della Santa Sede e di Civiltà Cattolica. Mi sento un po’ oppresso, forse per queste parole, forse per la folla accalcata. Ci sono giovani donne attorno a me dall’aspetto inquietante. Una bionda ha milioni di gioielli addosso, e uno scandaloso decolté. Dal volto di una bruna pendono paurosamente degli orecchini lunghissimi di corallo, e delle altrettanto lunghe labbra mal rifatte, dello stesso colore. Tendo l’orecchio all’esterno, per cogliere un po’ di conforto nella protesta che, imperterrita, va avanti.

Quando Mola finisce, lo stesso tizio di prima a vociona altissima protesta: “avreste dovuto applaudire di più il professore!” Il molestatore viene ripreso, e gli viene chiesto chi sia. Scatto di orgoglio: “Sono Picchiotti, tessera P2 495, Maestro!”… In un attimo, mi rendo conto di quel che avrei dovuto sapere subito: attorno a me ci sono moltissimi pidduisti. Veri, certificati. Fanno i complimenti al Maestro che si è rivelato, e, in un momento liberatorio, si stringono la mano, si (ri)presentano, si scambiano numeri (di tessera). Si fanno, come prima, l’occhiolino. Avverto, scioccamente,  un senso di irrealtà. Fuori continuano a gridare e a protestare.

Adesso però è il turno di Ferruccio Monterosso, presumo critico, incaricato di studiare poesie e poemi di Licio Gelli, che sono una parte della donazione. Commosso, Monterosso si spertica in complimenti ed esaltazioni. Dice che la lirica gelliana (la chiama così) “ si rifà ad auctores come Omero, Virgilio, Dante, Ariosto…” Mi scappa un “bum!”, un pidduista mi gela con lo sguardo. Monterosso continua: “queste liriche sono come un aplesso cosmico…”. Vorrei fare ri-bum!, ma taccio, mordendomi un labbro. Poi però aggiunge che la poesia gelliana è chiara e limpida, non come certa produzione modernista, che, come più o meno diceva San Bernardino, è oscura, e quindi è roba del demonio, e a quel punto colgo un ghigno di disgusto persino in Linda Giuva, mentre la platea applaude. Io inseguo i miei pensieri. Chissà se le Jene ci sono ancora, o se arriva il Gabibbo di rinforzo;  e chissà se l’affiliato alla P2 tessera 1816 permetterà la messa in onda del servizio sul suo Gran Maestro. Chissà quanta gente “normale” come me c’è, oggi, in questa stanza (non pochi, mi pare). Chissà se sapremo mai qualcosa di nuovo, da queste carte. Chissà.

L’ultimo a prendere la parola è uno storico, il professor Giorgio Petracchi. Ringrazia, sì, Licio Gelli per la donazione, ma, citando l’intervista piena di allusioni che lo stesso rilasciò a Concita de Gregorio, e ricordando ancora (e ancor meglio) la vicenda fumosissima dell’archivio di Montevideo, mai giunto in Italia, mai reso pubblico, mai visto da occhi indipendenti, invita il Venerabile a dire tutto, a colmare con una sua testimonianza davanti ad una commissione di specialisti i vuoti e le omissioni della vicenda

P2. Inoltre, sottolinea che le carte sono “vecchie”, arrivano cioè fino agli anni ’80, e invita Gelli a raccontare tutto quel che sa anche di tempi più recenti, quelli attuali.

Ed è allora che lui, Licio, l’innocuo 87enne ingobbito e canuto, sommesso e immobile per tutta la cerimonia, ha un lampo, un guizzo feroce nello sguardo, una luce diabolica, direbbe San Bernardino, che taglia la sala. Ma è questione di un attimo. Il figlio e gli amici sorridono, sornioni. Chissà se Licio accetterà di parlare, mi chiedo. Chissà.

Si giunge alla conclusione. Applausi, applausi, applausi. Vengo investito da giornalisti e cameramen, ma soprattutto da uomini e donne che vanno a baciare e a stringere la mano all’ospite d’onore. Prendo il largo. Ritrovo, fuori al freddo, i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne di Pistoia che non hanno mollato. Parlo un po’ con loro. Mi sento riavere. E giungo ad una conclusione, ad una certezza. Della loggia P2, delle stragi, di Sindona, dei golpes, dei generali e dei politici, delle trame e dei piani in attuazione, del fascismo e del neofascismo, dei poteri economici e dei contatti internazionali di cui Gelli ha saputo e sa tutto, io, i ragazzi di Pistoia, tutti voi che leggete questo pezzo, e i nostri figli, non sapremo mai nulla.

(foto originali)