Elezioni 2013: analisi e studio dei flussi del voto

di Marco Ottanelli

Il nuovo parlamento: la legge elettorale attualmente in vigore potrà avere mille difetti, ma di sicuro favorisce la semplificazione ed impedisce la frammentazione. A seguito di queste ultime elezioni, risultano essere stati eletti rappresentanti per una dozzina di liste (compresi gli autonomisti valdostani e altoatesini, e i meridionalisti di grande sud e megafono), e probabilmente non ci saranno più di otto- dieci gruppi parlamentari; una dozzina di liste passano il quorum anche alla Camera, comprese strambe liste per la circoscrizione estero, e anche in questo caso si presume che i gruppi saranno non più che al Senato. Non è il minimo assoluto, raggiunto nel 2008, ma vista la deflagrazione del bipolarismo-bipartitismo PD-PDL, è comunque un numero molto basso, simile od inferiore alla stragrande maggioranza dei gruppi nei parlamenti europei.

Dal 2008 al 2013, alcuni partiti si sono scissi, alti fusi, altri son spariti, alcuni sono nati dal nulla, o quasi. Questo ha comportato una diversa collocazione delle alleanze e delle reciproche influenze sull’elettorato, e rende un po’ più complesso il lavoro di chi voglia, come noi, fare una comparazione tra le due tornate. Si prenda ad esempio il PDL: in questi cinque anni ha perduto prima Fini (che si è candidato nell’alleanza con Monti) e poi i “Fratelli d’Italia”, che però sono rimasti suoi alleati; o l’arzigogolo Sel-Idv-Rifondazione: nel 2008 Sel e RC erano un unico partito, e si chiamavano Sinistra Arcobaleno, si presentavano contro l’alleanza veltroniana Idv-Pd; oggi sono separati, e mentre Vendola è in coalizione con l’ex nemico PD, Di Pietro è in coalizione con l’ex nemico comunista. Ma una parte dell’Idv è confluita con Tabacci in Centro Democratico…insomma, un caos politico che sfugge ad ogni analisi scientifica.

L’astensione è stata alta. Non una novità, sono anni che cresce, ma ha subito un’accelerazione.

20082013
Camera (esc. circ. estero)80,5170,2
Senato (esc. circ. estero)80,4770,2
(nostra rielaborazione dati del ministero dell’Interno, che sono diffusi conteggiando separatamente la Valle d’Aosta, per la Camera,
e la stessa Valle d’Aosta e il Trentino-Alto adige, per il Senato)

Il quasi 6% di voti in meno rispetto alle politiche del 2008 nonostante che in zone popolosissime si votasse anche per la Regione (con i traini del localismo, delle preferenze e della doppia campagna elettorale, che non sono bastati) è un segnale forte e importante non solo per la sua consistenza, ma, ripetiamo, per la velocità di progressione. Si è votato meno ovunque, e come al solito, più al nord che al sud, ma il divario tra le due zone d’Italia si è ulteriormente allargato, assistendosi al Meridione a cali di affluenza drammatici: Campania – 8%, Calabria – 8% e addirittura un -10% in Sicilia. Gran parte di questi astenuti meridionali, secondo gli istituti specializzati, sono ex elettori berlusconiani. Una propensione degli abitanti di queste regioni a non scegliere e delegare, che sarebbe il caso di far oggetto di studi sociologici più che (oltre che) politici.

Numeri e tendenze  sono caratterizzati, è inutile sottolinearlo, dalla novità e clamorosa affermazione del M5S. Dopo i discreti successi in varie tornate amministrative, il movimento di Grillo dimostra un’attrattività fragorosa, pescando indubbiamente nel precedente non voto, ma anche e soprattutto da ogni altro partito, anzi, indubbiamente, maggiormente dai partiti che hanno perso più consensi, cioè PD e Lega, e anche dal PDL ma, da quest’ultimo solo al sud e non al nord1. Inoltre ha letteralmente fagogitato l’IDV. L’istituto Cattaneo parla di un 75% di voti dipietristi fuggiti verso Grillo. Insomma, quando un italiano su quattro vota un movimento nuovo, converge su di esso una eterogeneità tale che difficilmente può essere compressa in un idem sentire, e l’elettorato a cinque stelle oggi è un po’ non tanto la somma, quanto il modello in scala dell’Italia tutta, rappresentandone quasi in modo proporzionale la distribuzione di cinque anni fa. Anche geograficamente, nord, centro e sud, il consenso è equamente distribuito. Un dato aggiuntivo: nei comuni amministrati dal M5S, i voti allo stesso sono aumentati.

Analizziamo i voti assoluti e non le percentuali perché, ad una prima lettura, il M5S è sembrato essere il primo partito italiano. Però in termini assoluti di voti le cose cambiano: noi non ci siamo limitati, come quasi tutti i giornali, a guardare il dato dell’Italia come somma delle circoscrizioni “normali”: abbiamo sommato, partito per partito, anche i suffragi della circoscrizione Trentino Alto Adige, di quella della Val d’Aosta, e della circoscrizione estero. Così facendo, è possibile vedere che, a prescindere dalle coalizioni, se il Movimento si accaparra la bellezza di 8 milioni e 886 mila voti, il Partito Democratico riesce ad ottenere più di 9.033.000 consensi, e si conferma essere la lista complessivamente più votata. La cosa non è questione secondaria, secondo noi, perché, al di là del premio di maggioranza e quindi dei seggi conquistati in coalizione con Sel e CD, sarebbe stato un po’ imbarazzante per il presidente della repubblica sorpassare, nella nomina del prossimo presidente del consiglio, proprio il partito più votato in assoluto. Questo da al PD un pizzico di valenza morale per rivendicare almeno il primo tentativo di formare il governo, oltre, ribadiamo, ai numeri parlamentari.

E quindi il PD…come si vede dal grafico, in termini di voti assoluti, ha preso comunque una bella scoppola, pur vincendo le elezioni. Milioni di voti sfuggiti in cinque anni, verso il M5S e verso le “sinistre”. Ma (e questo non contraddice quanto esposto prima) la sua coalizione prende i 340 seggi di premio solo grazie a Sel. Insomma, il PD bersaniano ha ben fallito molti obiettivi: nonostante le primarie, non ha galvanizzato il popolo, neanche il suo, perdendo 400 mila voti in Emilia e 300 mila in Toscana, le sue roccaforti. Non ha garantito al leader prescelto Bersani nessuna autonomia propria, neanche all’interno della coalizione; non ha sbaragliato la destra, che è arrivata ad un clamoroso 0,4% di differenza, un nulla. Non ha trovato una stampella nel centro, né in Monti né soprattutto nell’UDC, nonostante persino il programma del PD prevedesse una alleanza di governo con Casini e company, alleanza perseguita con caparbietà, e che oggi è o inutile, o impossibile, o tutt’e due. E la sua posizione generale è di grande debolezza, con più di un quarto dei voti lasciati sul campo ed una vertenza ancora aperta con Renzi. Perché la vertenza è aperta, eccome. E a questo proposito, si deve sottolineare come le perdite di voti più consistenti (in percentuale) il PD le ha subite in Puglia, Basilicata e Calabria, proprio quelle regioni dove Bersani era stato trionfatore alle primarie, e dove aveva candidato molti dei suoi fedelissimi, compresa la presidente del partito Rosy Bindi.

Il crollo del PDL. È interessante vedere come un partito che ha perduto più di sei milioni di voti e quasi il 50% dei suoi elettori sia costantemente presentato come il vincitore morale di queste elezioni, quello che ha fatto la “rimonta”, quello che le ha suonate a tutti. Perdere il 50% dei proprio voti, uno su due, in un qualsiasi altro mondo sarebbe chiamata debacle, disfatta, rovina…da noi si chiama rimonta…ma tant’è: mesi e mesi di campagne giornalistiche e di sondaggi volanti hanno fatto credere che Berlusconi fosse morto (politicamente!), il suo partito scomparso, ed i suoi ultraquindicennali fedelissimi si fossero raccolti in preghiera, pentiti, convertiti, e fossero assurti a nuova e splendida vita, secondo i parametri degli avversari. No, non era così, l’Italia di destra, di quella destra berlusconiana fatta anche dei suoi più evidenti contrasti e paradossi, eccessi e spettacolari difetti, esiste ancora. Quel quasi 30% di area berlusconiana, c’è, c’era, e crediamo ci sarà ancora per un po’, e non lo si può ignorare. Ma neanche esaltare come se fosse la madre di tutte le vittorie. Dove sono andati, quei 6.300.000 voti che mancano a Berlusconi? Si sono suddivisi soprattutto in due flussi, uno, meridionali, verso l’astensione o altri partiti di destra; l’altro, settentrionale, un po’ soprendentemente verso la Lista Monti. Anche in questo caso, siamo davanti ad una doppia sconfitta: numerica (non solo Berlusconi ha perso milioni di voti…) e politica (…ma li ha donati al suo più acerrimo competitore, contro il quale ha impostato tutta la campagna elettorale).

Questa falsa vittoria è dovuta anche alla concentrazione nelle circoscrizioni Piemonte Veneto e Lombardia della Lega Nord: ha vinto pure le regionali in Lombardia, si conferma spalla essenziale e territorialmente forte del PDL, ma anch’essa perde quasi la metà dei voti. In politica, in scienza politica, questa si definisce fuga elettorale, e punizione durissima verso i vertiti del partito. Ma la voce grossa di Salvini e Maroni, forti dei numeri parlamentari e della debolezza altrui, si ode dettare condizioni ed invocare scuri su quella magistratura che ha osato indagare su ruberie e lauree false, quasi come se 1 milione e trecento mila voti fossero una autorizzazione a procedere contro. Come abbiamo detto, la lega ha regalato moltissimi voti al M5S, e solo una parte alle altre formazioni, confermando quindi in modo indiretto che una consistente fetta di quell’elettorato è più propensa all’antisistema che non alla padania. Maroni gode di un potere locale che gli conferisce un ruolo nazionale sproporzionato rispetto alla piccola percentuale che si ritrova. Ma questa non è una novità.

La lista Scelta Civica di Monti ha avuto una buona affermazione, ma i suoi alleati UDC e FLI sono crollati e si sono quasi dissolti, penalizzando la coalizione ed eleggendo qualche esponente solo grazie alla lista unica del Senato. Non è però detto che Monti abbia assorbito l’UDC: la diversa distribuzione geografica dei due partiti fa pensare anzi il contrario: mentre l’Unione di Centro era forte al sud, quasi la metà dei voti di Scelta Civica sono concentrati nel solo Nord-Ovest, proveniente quasi tutti dal PDL, e solo in parte dal PD, nonostante l’iniezione in Scelta Civica di molti esponenti provenienti proprio dai Democratici, perlopiù ex renziani come Ichino. Insomma, la natura di destra di Scelta Civica appare più netta, e i renziani transfughi non hanno portato acqua al loro mulino. Al sud, Monti prende spiccioli.

Vendola può essere solo parzialmente soddisfatto della prestazione di Sel che è l’unico partito in lieve crescita (non essendo possibile il riscontro con il 2008, lo si fa qua con le europee del 2009). Certo, son minuzie, e neanche in Puglia c’è stato da festeggiare, anzi, il Presidente ha perso ben 3 punti rispetto alle regionali del 2010, ma il piccolo pacchetto di voti che Sinistra Ecologia e Libertà ha sottratto al PD gli ha permesso di essere determinante riguardo al premio di maggioranza, e ne fa una sorta di ala critica della coalizione. Quanto e come peserà nel futuro questo ruolo, è tutto da vedersi, anche perché al nord Sel non cresce, ed è lì che, come si è visto, si giocano le partite.

Appare netta la sconfitta della lista Rivoluzione Civile, perché nel suo complesso non raggiunge neppure la percentuale della sola Italia dei Valori. Buffa parabola, questa di una alleanza improbabile tra Rifondazione e Di Pietro, improbabile da ogni punto di vista politico, ma che aveva portato alla elezione trionfale di De Magistris a Napoli e di Orlando a Palermo (due delle maggiori città italiane) e che si è vista fuggir via una enormità di voti nello spazio di pochi mesi, in fondo.

Una menzione a parte meritano i voti della circoscrizione estero e della Sicilia:

nella prima, gli aventi diritto al voto erano circa 3 milioni e mezzo2; ha votato appena il 29% di costoro, rendendo, dal nostro punto di vista, assai dubbia la validità di questo sistema ideato da Tremaglia. La stragrande maggioranza degli “italiani all’estero” (magari di seconda o terza generazione, magari mai passati neanche in vacanza dal nostro Paese) se ne infischia di quel che accade sul suolo avito, e se ne infischia a ragion veduta: la loro vita, i loro interessi, i loro affetti, le loro case, i loro lavori, i loro studi, i loro risparmi, le loro pensioni, la loro sanità sono altrove.
Come se non bastasse, puntualmente il voto estero è di gran lunga diverso da quello in Italia, le percentuali sono tutte “sballate” (Grillo ha preso il 9%, Monti il 18!), dimostrando che non vi è né continuità né relazione con l’elettorato nostrano. Ognuno ha diritto al suo voto, ma il sistema va rivisto.

Nella seconda, si deve analizzare il voto alla luce della sussistenza di una strana alleanza in Regione, quella Regione amministrata da pochi mesi dal piddino Crocetta in coalizione con l’UDC, alla quale gestione partecipa attivamente la pattuglia di eletti del Movimento Cinque Stelle. Ecco, dopo questo esperimento fuori da ogni altro paragone, come sono andate le cose, in Sicilia, per i due partiti di governo e la lista che li appoggia esternamente?

Il M5S passa da 285 mila voti dell’ottobre scorso a 842 mila, più che triplicando i consensi.
L’UDC passa da 207 mila voti a meno di 71 mila, quindi solo un terzo dei precedenti.
Il PD passa dai 375 mila del “trionfo” di Crocetta agli attuali 467 mila.

Il patto PD-Grillo c’è già, e pare funzionare, elettoralmente parlando, paga. E paga bene. Che le schermaglie Bersani-Beppe siano solo una ostentata ostilità di facciata?

  1. I flussi elettorali sono il frutto dell’incrocio dei dati del Ministero dell’intero e di alcuni istituti di ricerca e di analisi del voto []
  2. Gli elettori residenti all’estero non concorrono ad eleggere i deputati come i cittadini residenti all’intero della Nazione, ma i voti all’estero hanno dei seggi parlamentari dedicati: 12 deputati e 6 senatori. Così impongono gli artt. 56 e 57 della Costituzione come modificati nel gennaio 2001. []