La riforma della prescrizione. Chi ha paura di una Giustizia che funzioni?

di Gabriele Pazzaglia

 

Ogni processo che si conclude con la prescrizione lede
il sentimento di giustizia della collettività e, in particolare,
le giuste aspettative delle vittime di reati anche gravi,

per effetto della sostanziale impunità dei loro autori.
Giorgio Santacroce,
Primo Presidente emerito Corte Cassazione
(Relazione anno giudiziario 2013)

La riforma Bonafede della prescrizione, approvata con la legge 3 del 2019, prevede che i reati commessi dal 1° gennaio dell’anno prossimo non potranno più estinguersi dopo la sentenza di primo grado. Ad oggi si può arrivare fino al terzo grado come stabilito dalla famigerata legge ex Cirielli approvata nel 2005 dalla maggioranza di centrodestra. Tale provvedimento fu duramente e platealmente contestato dal centrosinistra che ora – paradossalmente – lo difende come bandiera di libertà.

Infatti nelle ultime settimane si è riacceso il dibattito proprio perché il PD, e ancora più energicamente Italia Viva, hanno chiesto modifiche alle nuove norme. Il neo-partito renziano ha addirittura dichiarato di voler votare la proposta Costa, deputato eletto nell’UDC e passato in Forza Italia subito dopo l’inizio della legislatura, che abrogherebbe totalmente la riforma tornando al sistema che sarà vigente fino alla fine di questo 2019.

È curioso notare che l’idea di fermare la prescrizione con la sentenza di primo grado era stata proposta ufficialmente da una commissione di esperti voluta dal Governo Renzi nel 2014. Il gruppo di studio era presieduto dal Procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri che lo stesso Renzi aveva proposto come Ministro della Giustizia, incarico poi ricoperto da Orlando su pressione di Napolitano.

La proposta non fu approvata dalla allora maggioranza PD benché, a nostro avviso, fosse una riforma di buon senso che avrebbe contribuito a restituire effettività alla giustizia penale e tutela alle vittime di reato. Essa è stata recuperata dal nuovo Ministro della Giustizia Bonafede come primo atto di un processo di riforma complessivo che la cui conclusione era prevista per la fine del 2019 ma che ancora non è stata elaborata.

Come funziona la prescrizione.

Dato che la vecchia normativa è molto farraginosa, piena di deroghe ed eccezioni, ci limiteremo a spiegarne le regole fondamentali. Il tempo necessario ad estinguere un reato è proporzionato alla sua gravità. La prescrizione è infatti pari alla pena massima prevista per ogni singolo delitto, e comunque mai inferiore a 6 anni. Ad esempio, la rapina (art 629 del codice penale) si prescrive in 10 anni perché questa è la sanzione massima stabilita. Per le lesioni personali sono previsti solo 3 anni di carcere percui si prescrive in 6 anni((Una precisazione: il codice, oltre ai delitti, prevede un’altra categoria di reati minori, le contravvenzioni. Per queste ultime la prescrizione è minimo 4 anni, quindi ancora minore. Ma visto che sono pochissimi i processi per contravvenzione possiamo tralasciarle.)).

Se entro questo termine il colpevole non viene individuato non si può più procedere. Invece se nel frattempo si apre il procedimento il termine aumenta di un quarto. Ne caso della rapina diventa 12 anni e mezzo (10 diviso 4 fa due anni e mezzo che si sommano ai 10 di partenza). Per le lesioni personali 1 anno e mezzo si aggiunge ai 6 di base, per un totale di 7 e mezzo((Per la precisione il sistema è un po’ più complesso perché l’art. 160 del codice penale prevede che in caso di compimento di uno degli atti processuali previsti il termine ricominci da capo ma visto che l’aumento può essere massimo di un quarto il risultato finale è quello che abbiamo descritto.)).

Può sembrare tanto tempo per un cittadino indagato, ma non è così perché la normativa ha un diabolico dettaglio: il termine continua a scorrere anche dopo l’avvio del processo!

In base alla vecchia normativa, dal momento della commissione del reato inizia un vero e proprio conto alla rovescia che può essere bloccato solo con la sentenza definitiva che, in caso di appello, può essere anche quella di secondo o addirittura di terzo grado.

Le conseguenze della vecchia disciplina sulla prescrizione: l’ingolfamento del sistema.

Questa regola a nostro avviso è una delle principali cause della lunghezza dei processi.

Per capirlo è necessario fare un passo indietro e sapere che il processo penale è stato profondamente riformato nel 1989 quando venne tolto al giudice il potere di cercare le prove, rendendolo solo l’arbitro del processo. La nuova procedura, definita accusatoria, al fine di essere più favorevole per l’imputato finì anche per essere molto più lunga e complessa. E già dalla relazione alla riforma, effettuata dal Governo dell’epoca, emergeva chiaramente che per avere «una giustizia più rapida e un sistema più snello» fosse necessario che i casi di «minore complessità» e di scarsa «rilevanza penale» venissero risolti con procedure accelerate. Si tratta del cd patteggiamento, un accordo tra PM e indagato, e del rito abbreviato, nel quale la decisione si basa sulle dichiarazioni rese dai testimoni alla polizia giudiziaria, senza riascoltarli in giudizio. Solo se questi fossero stati utilizzati per risolvere la stragrande maggioranza dei casi, continuava la relazione governativa, si sarebbe evitato «il congestionamento della macchina giudiziaria(( Cfr. la relazione governativa pag. 5 http://legislature.camera.it/_dati/leg09/lavori/stampati/pdf/06910001.pdf))».

Ma i riti accelerati sono scarsamente utilizzati: nel 2015 solo il 20% dei casi sono stati risolti con il rito abbreviato o il patteggiamento; nel 2016 solo il 16,5% e nel 2017 il 21%. Il valore sembra tendenzialmente stabilizzarsi al 20% in notevole diminuzione rispetto al periodo 2005-10 in cui era almeno superiore al 30% (Qui è possibile consultare i valori assoluti)

Essi sono incentivati con la riduzione di un terzo delle pene, che non è poco ma… chi mai si accontenterebbe di una pena minore potendo avere la ben più allettante impunità in caso di prescrizione del reato?

Quanti processi si prescrivono ogni anno.

I dati sono desolanti: le prescrizioni durante il primo grado sono circa 30 mila. In questo caso è impedita anche una prima valutazione della colpevolezza ma, dai dati fornitici dal Ministero della Giustizia emerge che nel 2015 gli imputati assolti all’esito del primo grado sono stati il 45%, nel 2016 il 57%, nel 2017 e nel 2018 il 50%. Questo dato (disponibile anche suddiviso per tipo di procedura seguita), indica che circa 10-15 mila colpevoli ogni anno sfuggono a sanzione.

Relativamente al secondo grado, emerge che dal 2013 sono stati cancellati più di 20 mila processi ogni anno, 30 mila nel solo 2017, anno in cui si è raggiunta la cifra record. Ci risulta non esistano dati precisi che mostrino se gli appelli provengano più dal PM o dall’imputato ma, per comune esperienza, risulta siano soprattutto questi ultimi dopo la condanna in primo grado. Si può parlare di vero e proprio colpo di spugna.

Le prescrizioni dunque sono un numero enorme se si pensa che la popolazione carceraria è attualmente di circa 60 mila persone. Un indulto permanente.

Altro aspetto interessante è che negli ultimi 10 anni le prescrizioni in primo grado siano aumentate del 50% mentre quelle in secondo grado siano addirittura raddoppiate. Di contro quelle che scattano durante le indagini sono dimezzate.

Se ne deduce che le procure d’Italia hanno fatto uno sforzo di produttività passando dalle 179 mila estinzioni (!) del 2004 alle 75 mila circa del 2017. Il carico di lavoro però si è trasferito nei tribunali di primo grado e in quelli d’appello i quali si sono ritrovati ad essere l’anello debole della catena. Vanificando così buona parte dell’impegno non solo lavorativo dei magistrati ma anche economico di tutta la società: il costo sostenuto per le indagini e l’avvio del processo si rivela inutile, un mero spreco.

In questa tabella i dati completi sulla prescrizione((per i dati fino al 2005 cfr. il Dossier Camera n 167 del 26 maggio 2014 p 9; per i dati dal 2005 al 2017 cfr. Ministero della Giustizia – Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa)), qui è possibile consultare i valori assoluti:

 

 

Se ne trae un insegnamento semplice e sconfortante. In queste condizioni per far prescrivere un reato probabilmente non serve nemmeno una concreta e attiva azione dilatoria da parte degli avvocati, che comunque è sempre possibile: dato che le regole permettono alla prescrizione di scattare anche dopo l’avvio del processo, l’80% dei processi viene svolto con il rito più lungo per poterla raggiungere; così la massa di processi ingolfa il sistema rendendo la prescrizione, in un perfetto circolo vizioso, concretamente ottenibile. Questa conclusione è confermata da un altro dato: nei giudizi per omicidio, indica sempre la Cassazione nella sua relazione annuale, la richiesta di riti alternativi è quasi del 50% quindi molto più alta rispetto della media. Questa differenza è spiegabile proprio con il fatto che l’omicidio aggravato è imprescrivibile, essendo punito con l’ergastolo, mentre l’omicidio semplice si estingue in 21 anni prorogabili fino a quasi 30, rendendo l’estinzione comunque concretamente irraggiungibile. E guarda caso la metà degli imputati è improvvisamente attratta dallo sconto di pena previsto per i riti alternativi((ibidem)).

La conseguenza è un effetto a cascata negativo su quei soggetti imputati ma innocenti (ce ne sono), sia sulle vittime del reato stesso, che avrebbero entrambi l’interesse ad un celere ed approfondito giudizio di merito, che è impedito proprio per la dispersione di tempo e di energia da parte della macchina giudiziaria.

Infatti oltre al numero dei procedimenti prescritti in primo grado è aumentata anche la durata media del processo penale nello stesso grado: per i motivi che abbiamo esposto è probabile che i due fenomeni siano collegati non solo nel senso che la maggiore durata determina la prescrizione (come è ovvio), ma anche il contrario. Infatti all’ulteriore diminuzione dell’utilizzo dei riti accelerati avvenuta negli ultimi anni è corrisposto, da una parte, l’aumento delle prescrizioni e, dall’altra, l’aumento della durata media del processo. I dati possono essere consultati nel grafico sottostante o in questa tabella.

Ma da dove viene questa stranezza di premiare chi ha dimostrato di essere bravo a far perdere tempo alla Giustizia? Molti accusano i magistrati di essere lenti: ma se un magistrato non lavora deve essere punito lui, il magistrato, e non deve rimetterci la vittima che, dopo aver subito il reato, riceve anche la beffa di vedere il colpevole senza punizione.

Di contro se un magistrato lavora, e non riesce a concludere rapidamente il procedimento perché sovraccarico di fascicoli, o perché deve decidere fatti particolarmente complessi, o per la strategia dilatoria della difesa, perché mai un colpevole dovrebbe sol per questo ottenere la libertà?

Immaginiamo se un treno fosse in ritardo perché un viaggiatore abbia tirato senza motivo il freno d’emergenza: sarebbe folle se invece di punirlo gli si rimborsasse il biglietto e, scattata l’ora d’arrivo prevista si fermasse il treno in mezzo alla campagna, facendo scendere tutti gli altri viaggiatori. E invece è proprio quello che succede, ed è successo, nei nostri Tribunali. Ogni giorno.

La riforma Bonafede

Spieghiamo gli effetti della riforma partendo da un caso reale: nel 2017 l’opinione pubblica giustamente si scandalizzò per la prescrizione di abuso subito da una bambina di 7 anni commesso dal compagno di sua madre il quale venne condannato in primo grado a 12 anni. Ma per i ritardi del processo d’appello il reato si estinse. All’epoca, tutte le forze politiche si indignarono, anche quelle che oggi si oppongono alla riforma

Ma la legge Bonafede, ricalcando il sistema tedesco((Il § 78b, comma 3, del codice penale recita: Se una sentenza di primo grado è stata pronunciata prima della scadenza del termine di prescrizione esso cessa di decorrere fino alla conclusione definitiva del procedimento. (versione originale: Ist vor Ablauf der Verjährungsfrist ein Urteil des ersten Rechtszuges ergangen, so läuft die Verjährungsfrist nicht vor dem Zeitpunkt ab, in dem das Verfahren rechtskräftig abgeschlossen ist https://www.gesetze-im-internet.de/stgb/__78b.html).)), impedirebbe, impedirà, proprio che scatti la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Se queste norme fossero state già in vigore, quel violentatore sarebbe stato giudicato nel merito e non se la sarebbe cavata grazie al trascorrere del tempo. Sarebbe auspicabile che fosse impedita la prescrizione ancor prima, ad esempio dal momento del rinvio a giudizio: le sanzioni sarebbero veramente effettive e quindi deterrenti. Ma almeno viene corretto uno dei paradossi più eclatanti del vecchio sistema per il quale erano possibili appelli strumentali proprio per far scattare la prescrizione. L’imputato infatti non può aggravare la sua situazione (se non ricorre anche il PM), e l’unica conseguenza per un appello infondato è il pagamento delle spese processuali (oltretutto, beffa nella beffa, di modesto importo e raramente riscosse dallo Stato).

Come è giustificabile il fatto che un imputato che scelga di affrontare il secondo grado possa beneficiare dell’impunità se questo dura troppo!

Una critica, tra le tante, può essere plausibile: la prescrizione smetterà di decorrere anche in caso di assoluzione in primo grado e ricorso del PM con rischio che l’imputato resti appeso per un tempo indefinito. Ma è necessario anche tenere presente che, togliendo la speranza della impunità, si auspica una diminuzione del numero di ricorsi. Inoltre, già oggi, in caso di eccessiva durata dei processi, l’imputato può chiedere il risarcimento previsto dalla c.d. legge Pinto. Inoltre questa critica avrebbe potuto essere formulata anche nei confronti della riforma Orlando nel 2017 (legge 103): essa prevedeva la sospensione della prescrizione per un anno e mezzo sia dopo il primo grado che dopo il secondo. E si applicava anche alle sentenze di assoluzione. Perché oggi, per il PD, è diventato improvvisamente un problema?

Inoltre c’è un altro aspetto positivo della riforma, sconosciuto ai più, ma molto importante: con il vecchio sistema, in caso di commissione dello stesso reato più volte, la prescrizione decorreva per ogni singolo fatto. Un esempio fa capire l’ingiustizia: immaginiamo che ad un certo punto venga individuata una persona che abbia stabilmente passato i 10 anni precedenti a svaligiare appartamenti. Dato che la prescrizione per tale reato è di 8 anni, i reati commessi nei primi due non sono più perseguibili già al momento dell’individuazione del colpevole. Inoltre, se i tre gradi di giudizio durano 5 anni l’imputato rimane condannabile solo per i furti commessi negli ultimi tre anni di “attività”. Lo stesso meccanismo di impunità si verifica rispetto ad ogni reato commesso con continuità: corruzione, turbativa d’asta, estorsione, peculato, violenze (anche sessuali)…

Ma questo sistema contraddice(va) la regione stessa della prescrizione: essa mirerebbe ad evitare che siano comminate sanzioni per fatti commessi in un lontano passato, perché il reo nel frattempo potrebbe essere cambiato: oggi potrebbe essere un bravo cittadino pentito del suo errore. Ma se il comportamento criminale è costante, se ne deduce che il cambiamento non vi sia stato affatto, e sia quindi opportuno punire tutta la serie dei crimini, anche per rispetto delle vittime. Invece, nonostante la ripetizione nel tempo sia più grave di un singolo episodio, la vecchia normativa non faceva distinzioni. Fu una stortura introdotta nel 2005 con la già citata ex-Cirielli dalla maggioranza di centrodestra (Lega compresa): o essa legiferò con la precisa volontà di diminuire il livello di repressione penale, quindi di lasciare a piede libero malfattori e delinquenti seriali, o non si pensò a tale effetto, con sorprendente incompetenza. Per poi gridare, oggi, alla mancanza di sicurezza invece di assumersi la responsabilità dei propri errori.

In conclusione, la riforma della prescrizione, anche se da sola non fosse sufficiente ad abbattere la durata dei processi, è il presupposto necessario di ogni ulteriore modifica. In mancanza cambiare le procedure sarà inutile, come buttare vino buono in una botte piena d’aceto, perché il nostro sistema è stato pensato per poter funzionare solo se la maggior parte dei procedimenti sarà risolta con i riti accelerati.

Come funziona all’estero. La prescrizione non salva i colpevoli.

Una panoramica dei principali Paesi europei ed extra UE fa balzare agli occhi come gli Stati più sviluppati, in cui la giustizia è un servizio per i cittadini onesti e non uno spreco di risorse, ferma la prescrizione molto prima della sentenza di terzo grado.

In Francia, ogni volta che lo stato manifesta la volontà punitiva, il termine di prescrizione ricomincia da capo: ogni atto di indagine, di istruzione dibattimentale o sentenza impediscono la prescrizione la quale è inoltre sospesa quando il fatto illecito è occulto (cioè non può essere conosciuto né dalla vittima né dall’autorità giudiziaria) o è dissimulato (cioè l’autore si adopera per impedirne la scoperta)((Cfr. gli articoli 7 e ss del codice di procedura penale francese. L’art. 7 stabilisce che la prescrizione per i crimini (illeciti più gravi) è di 20 anni e quella dei delitti (meno gravi) è di 6.)). Anche nei Paesi Bassi ogni atto processuale fa ricominciare da capo il termine((Cfr gli articoli da 70 a 73 del codice penale dei Paesi Bassi, disponibile anche in inglese.)) il quale resta sospeso se è necessario risolvere una questione preliminare. In Belgio vige un sistema simile, con l’unica differenza che il termine ricomincia da capo non con qualunque atto del procedimento ma solo per quelli di istruzione (cioè l’assunzione delle prove)((Così stabilisce il codice di procedura penale del Belgio artt. da 20 a 24)).

In Spagna la prescrizione smette di decorrere quando inizia il processo e, in caso di assoluzione, il termine ricomincia da capo per dare modo alle Autorità di ricercare il colpevole((La disciplina si trova nell’art. 132 del codice penale spagnolo. Agli articoli precedenti è stabilito che la prescrizione va dai 5 ai 20 anni ed i reati più gravi sono imprescrittibili.)).

In svizzera la prescrizione cessa di decorrere con la sentenza di primo grado((Così stabilisce l’art. 97 del codice penale svizzero)) così come in Germania, ordinamento che ha ispirato la riforma Bonafede. In Austria le norme sono ancora più restrittive dato che la prescrizione smette di decorrere con il primo interrogatorio dell’indagato, prima ancora che inizi il processo(( Così stabilise il codice penale austriaco § 58 comma 3)).

Nel Regno Unito la prescrizione non esiste per tutti i reati puniti con più di sei mesi di detenzione((Così risulta sul sito ufficiale del governo)). Anche in Australia vige un sistema simile, con l’unica differenza che pena minima oltre la quale il reato è imprescrittibile, varia a seconda dello Stato federato((Così risulta dal sito ufficiale della Commissione per i servizi legali del sud Australia)).

Negli Stati Uniti, a livello federale, la prescrizione non può più scattare dopo la formulazione dell’accusa((Così stabilisce il capitolo 213 sezione sez §3282 del US Code)).

Quindi l’Italia è un vero e proprio unicum. Nessuno dei Paesi più avanzati del mondo rinuncia alla repressione dei reati dopo che è iniziato il processo. Chi difende la vecchia prescrizione come baluardo di civiltà afferma in sostanza che l’Italia sarebbe l’unico Paese civile in un continente di barbari. Molto più verosimile pensare che gli altri Paesi considerino civile non premiare gli imputati che fanno perdere tempo, non dare ai sospetti di reato gli strumenti per scappare alla legge, in definitiva non sprecare soldi pubblici.

Non c’è nessuna urgenza

In queste ultime settimane è stata sollevata, dagli stessi partiti che la vogliono stoppare, la necessità “di far presto”, di cancellare la riforma Bonfede prima del 1° gennaio 2020, paventando da quel giorno il rischio di processi infiniti. Ma è un’urgenza senza alcun fondamento.

Anche se la riforma entrerà in vigore, i primi effetti sulla durata dei processi si vedranno non prima di 6 anni, momento nel quale scatterebbe la prescrizione secondo la vecchia normativa. Quindi gli effetti pratici si vedranno solo dopo il 31/12/2025 perché da quel momento, se intervenuta la sentenza di primo grado, saranno perseguibili i delitti che altrimenti non lo sarebbero più((Nell’articolo abbiamo parlato dei delitti. Il codice prevede anche una categoria di reati minori, le contravvenzioni, che si prescrivevano e continueranno a prescriversi in 4 anni, quindi per esse gli effetti della riforma si manifesteranno dal 1 gennaio 2024.)). Inoltre una successiva riforma della prescrizione, se più favorevole agli imputati, avrà automaticamente effetti retroattivi. Quindi il Parlamento avrà sei anni per legiferare, e non due settimane.

Questa finta urgenza sembra solo un pretesto. La riforma invece può essere l’inizio di un percorso per aumentare la tutela delle vittime e della società.

 



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