Tra il MES e i coronabond, cosa conviene all’Italia (e all’Europa)? Tanta propaganda, poca economia

di Gabriele Pazzaglia

I nostri rappresentanti politici si stanno lanciando infuocate invettive l’uno contro l’altro sul come reperire i capitali necessari per rimettere in moto l’economia.

Da una parte vi è il possibile ricorso al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) che funziona come una cassa comune degli Stati che usano l’euro. Dall’altra c’è l’idea della creazione di una sorta di titolo di Stato europeo (eurobond in inglese, o coronabond se si vuole sottolineare che il virus sia l’occasione della sua creazione).

Due strumenti che hanno un identico obiettivo: fornire denaro per alimentare la spesa pubblica. Ma differiscono su un punto fondamentale: nel primo caso si tratta di un prestito che tutti gli Stati concedono ad uno di essi tramite il MES, che funziona da cassa comune, quindi sono tutti creditori verso un unico debitore; nel secondo gli Stati si indebitano tutti insieme, collettivamente, nei confronti del mercato. È proprio perché non vogliono passare da creditori a co-debitori che alcuni Stati – capeggiati dai Paesi Bassi – rifiutano gli eurobond.

Il dibattito pubblico italiano è stato come al solito confusionario. L’argomento sarebbe serissimo, visti gli importi in ballo, ma invece di parlare di cifre e condizioni del prestito abbiamo assistito al paradosso del Presidente del Consiglio e dei rappresentanti dell’opposizione darsi reciprocamente di “traditore” e “bugiardi” nonostante di fatto sostenessero la stessa linea politica: “no al MES”.

A nostro avviso tra le due soluzioni non vi è, per l’Italia, grande differenza dal punto di vista economico perché il tasso di interesse sugli ipotetici eurobond sarebbe inferiore dello 0,5-1% rispetto al finanziamento ottenibile dal MES. Quindi ogni cento miliardi di debito si risparmierebbero, con gli eurobond, tra i 500 milioni e il miliardo di euro, una cifra che, sull’immenso totale, non giustifica tutta questa animosità e drammaticità.

Come si arriva a questa cifra?

Nel corso del 2020 il Tesoro prevedeva, oltre al rinnovamento integrale dei titoli in scadenza, anche di emetterne di nuovi per 78 miliardi, come formalmente autorizzato nel bilancio dello Stato((Cfr la voce indebitamento netto dell’ultimo bilancio di previsione.)). Ma, data la prevedibile caduta del PIL e le minori imposte riscosse sarà emesso sicuramente più debito anche se è difficile dire quanto: secondo l’Unicredit research si potrebbe arrivare ad un totale di nuove emissioni tra i 121 e i 158 miliardi di €, una forchetta molto ampia dovuta all’incertezza degli sviluppi dell’epidemia e della fine del confinamento. Alcuni sostengono che, vista la debolezza strutturale dell’Italia, vi sia il rischio che questi titoli siano piazzati sul mercato solo ad un tasso molto alto, che significa una spesa colossale per i prossimi decenni. Per ovviare a ciò, una parte del finanziamento necessario potrebbe essere ottenuto, come dicevamo, o contraendo un debito con il famoso MES, oppure emettendo sì titoli di stato, ma non come “Italia”, bensì ma collettivamente come Europa, gli eurobond, appunto. Quanto costerebbe l’una o l’altra delle due soluzioni?

Se venisse utilizzato il MES: in base alle dichiarazioni dell’Eurogruppo verrebbero finanziati gli Stati richiedenti per importi fino al 2% del loro PIL. L’Italia potrebbe ricevere dunque circa 37 miliardi. Il tasso del MES è molto conveniente perché in media è dello 0,76% (media riportata ufficialmente sul suo sito frutto dei 5 finanziamenti ad oggi concessi). Quindi circa 300 milioni di interessi.

Il restante dovrebbe essere finanziato tramite il debito nazionale che sarebbe venduto sul mercato a tassi di interesse non così bassi ma comunque contenuti: la BCE ha infatti avviato un nuovo programma di acquisto in massa dei titoli degli Stato dell’area euro sulla falsariga del famoso Quantitative Easing iniziato nel 2015. Esso abbassò così il tasso di interesse medio pagato dall’Italia all’1,4%, poi ulteriormente sceso all’1,2 nei due anni successivi, e all’1% nel 2018, anno in cui il programma è terminato((Qui i dati ufficiali forniti dall’Ufficio parlamentare del bilancio)).

Ovviamente non tutti i nuovi titoli saranno acquistati dalla BCE, ma il suo intervento contribuirà a tenere bassi i tassi anche per gli altri acquirenti. Dunque, se dopo i 37 miliardi del MES avessimo ancora bisogno di 120 miliardi e questi fossero ottenuti ad un tasso dell’1,4% quale era nel 2015, costerebbero all’erario 1,7 miliardi di euro. Se il tasso fosse invece dell’1% il costo del prestito scenderebbe a 1,2 miliardi. Che sommati ai 300 che pagheremmo al MES, permetterebbe un finanziamento integrale ad un costo complessivo che andrebbe dal miliardo e mezzo ai 2 miliardi di euro.

E se invece fossero emessi eurobond in comune con i partners UE? È difficile dire che tasso di interesse potrebbe ottenere questo fantomatico titolo. Secondo alcune previsioni sarebbe una media dei tassi di interesse dei titoli di Stato dell’area euro oggi in circolazione rappresentati in questo grafico((Estratto da pag 25 del Report IFO A Fragmenting Europe in a Changing Worldhttps://www.ifo.de/DocDL/EEAG_2019.pdf)), secondo altri “strapperebbe” il migliore tra tali tassi, che variano in base alla solidità ed affidabilità delle varie economie, cioè dal tasso negativo della Germania al quasi 4% della Grecia.

 

Ma la verità è che nessuno lo sa con certezza visto che il risultato dipende da variabili quali le future decisioni dei Governi, l’andamento dell’economia e la psicologia dei compratori. Da uno studio del 2011 del prestigioso Istituto di ricerca dell’Università di Monaco di Baviera, traspare tutta l’incertezza del caso: “Paesi come Germania, Finalndia e Paesi Bassi oggi godono di un rating tripla A che gli consente le migliori condizioni di prestito…non è inconcepibile che aderendo ad un titolo di debito comune possano dover pagare un interesse maggiore.” Alla fine, come è logico, il tasso di interesse lo decide il mercato, cioè l’insieme di tutti noi che compriamo bot e btp secondo la nostra convenienza alle aste periodiche.

Dunque, usando gli eurobond, possiamo ipotizzare un tasso di interesse:

  • zero, nella più ottimista delle ipotesi,

  • 0,76%, uguale a quello offerto dal Meccanismo Europeo di Stabilità,

  • ancora superiore se il mercato non gradisse, come ad esempio l’1% dei nostri bond nazionali nel 2018 o oltre il 2% quale è mentre scriviamo.

E questa maggiorazione sarebbe pagata tanto da noi italiani, che abbiamo richiesto il prestito, quanto da Finlandia, Paesi Bassi, Germania ecc ecc.((Tale tasso potrebbe, nella più pessimistica delle ipotesi, arrivare anche al citato 4% della Grecia, ma visto lo scarso peso della economia ellenica, tale ipotesi è improbabile. Ma attenzione: improbabile non significa impossibile, ed il rischio va comunque considerato.)).

Quindi lo stesso prestito dell’esempio precedente, 150 miliardi, avrebbe un costo da zero fino al miliardo e mezzo di euro. Questa cifra va comparata con l’alternativa del prestito ottenuto tramite MES+bond nazionali che, come abbiamo calcolato sopra, va dal miliardo e mezzo ai 2 miliardi di euro.

E le “condizionalità”?

Certo, c’è il problema dei vincoli di politica economica che accompagnerebbero il finanziamento. Come spiegheremo nel nostro articolo, i governi europei sembrano orientati a dare finanziamenti agli Stati in difficoltà tramite il MES. Dopo un intenso dibattito sembra che sarà escluso ogni vincolo che non sia l’obbligo di destinare i fondi ricevuti a sostenere «costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria, delle cure e della prevenzione» dovuti al virus.

Ma varie forze politiche di opposizione (Lega e FdI) e di maggioranza (M5S) sono critici perché temono che queste condizionalità riemergeranno in futuro, quando sarà riattivato il Patto di stabilità e crescita che vieta deficit eccessivi (che per il 2020 è stato sospeso). Con il rischio di causare in Italia gli stesse conseguenze della Grecia, esperienza da più parti invocata come metro negativo di paragone.

Ogni posizione è legittima ma bisogna fare alcune precisazioni: il piano di aiuti alla Grecia è stato approvato dai Governi dell’Unione nel 2010 prima che il MES fosse istituito nel 2012. Il salvataggio avvenne in parte tramite prestiti bilaterali (l’Italia contribuì con 15 miliardi) e in parte con l’apporto del Fondo monetario internazionale il quale fu coinvolto perché specializzato in tali operazioni, mentre l’Europa non aveva all’epoca né strutture né conoscenze al riguardo. Molti sostennero che proprio al FMI erano da riferire le più draconiane misure che hanno fatto avvitare la Grecia in una spirale recessiva e, proprio per non dipendere più dalla partecipazione di tale istituto internazionale è stato creato il MES. Questo ha solo successivamente “assorbito” il piano di aiuti della Grecia e le relative condizioni che ad essa erano state poste… dai Governi europei. Non tecnocrati svincolati da ogni responsabilità, ma i Governi dell’area euro democraticamente legittimati, nel 2010 come abbiamo detto, decisero all’unanimità le condizioni del prestito. È possibile che molti errori siano stati fatti ma bisognerebbe in primo luogo dire quali e in secondo specificare quali azioni alternative sarebbero state possibili in una economia disastrata come quella Greca, sulla quale l’allora governo Karamanlīs (Centrodestra) aveva fornito cifre false raccontando di un deficit sul PIL, nel 2009, del 3,7% rispetto al reale 12,7%; e infine i partiti che componevano l’allora Governo Berlusconi dovrebbero spiegare cosa fecero in quel frangente per “ammorbidire” le condizioni. Sembra troppo facile scaricare le colpe, di scelte alle quali si è concorso, su un istituto che all’epoca neanche esisteva.

La verità è che non c’è un manualetto per salvare Paesi dalle economie distrutte a causa di inefficienze e clientelismo decennali. Infatti bisogna anche notare che alcuni piani di assistenza finanziaria hanno funzionato: Spagna, Irlanda, Cipro e Portogallo hanno ricevuto liquidità ed hanno con successo restituito il prestito. È giusto sottolineare gli aspetti negativi, ma per una valutazione corretta di una forma di finanziamento bisogna anche tenere in conto le esperienze positive.

Questo ci permette di concludere che non è il MES in sé il problema, il suo nome, o il fatto che ci siano condizioni. Semmai il problema è quali condizioni. Chi è pregiudizialmente contrario dovrebbe spiegare quali sarebbero le vie alternative e perché sarebbero migliori.

In questo modo ogni cittadino potrebbe elaborare la propria posizione. La nostra è che il dibattito sia eccessivamente drammatizzato rispetto alla comparazione dei costi tra i due finanziamenti. E le “condizionalità” sembrano un falso problema: da una parte i Capi di Stato e di Governo europei si stanno orientando ad eliminarle, dall’altra questo continuo additare le condizioni ai quali sarebbero soggetti eventuali prestiti sembrano sempre pretesti per evitare di parlare delle grandi sacche di inefficienza e clientelismo del nostro Paese.


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