l candidati alla presidenza della commissione europea.

di Marco Ottanelli

Mercoledì 15 maggio, al parlamento europeo di Bruxelles, si è tenuto un dibattito tra i candidati alla presidenza della Commissione Europea prossima ventura. Il Presidente della Commissione non è eletto direttamente dai cittadini, bensì nominato dal Consiglio d’Europa, quindi dai governi, ma ogni gruppo politico indica fin da prima delle elezioni il suo designato, e questi ha un rapporto molto più diretto con gli elettori, ai quali offre un programma ed un indirizzo politico da valutare. È una novità introdotta solo nel 2014, ma è importante, così come importante è stato il dibattito stesso.

Proviamo ad analizzarlo a grandi linee.

I candidati

Manfred Weber, candidato del Partito Popolare Europeo che comprende i partiti democristiani, di centro e cosiddetti moderati, con due eccezioni di peso quali Forza Italia e l’Unione Civica Ungherese, le cui politiche non sono prettamente moderate ed i cui capi, Berlusconi e Orban, sono personaggi diciamo peculiari. Weber è tedesco della CSU, la formazione bavarese consorella della CDU, tradizionalmente conservatrice e profondamente cattolica, più di destra che di centro. Giovane, ingegnere, contrario alla direttiva europea antidiscriminazione, la sua designazione rappresenta una svolta di tutto il PPE.

Frans Timmermans, candidato del gruppo Socialisti e Democratici Europei, che storicamente era il Partito Socialista Europeo, ma che nel recente passato ha cambiato in parte natura per accogliere nel suo seno il Partito Democratico italiano (che, come ben si sa, è composto in buona parte da ex democristiani e/o Margherita, che erano nell’alde), il Partito Conservatore rumeno ed altre formazioni non prettamente socialiste. Timmermans stesso è un laburista, neerlandese nato a Maasticht e di ampia cultura internazionale (ha vissuto a lungo a Roma). Il suo partito è stato duramente sconfitto nelle passate elezioni nazionali, ma pare essere in forte recupero oggi.

Jan Zahardil, candidato dell’Alleanza dei Conservatori e Riformisti, gruppo europeo alquanto eterogeneo ma sostanzialmente di destra, raggruppando i Conservatori britannici (quelli della Prima Ministra May), i clerical-conservatori polacchi, il partito nazionalista dei Veri Finlandesi, e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Zahardil è cèco, del Partito Democratico Civico, una formazione liberista, conservatrice ed euroscettica.

Margrethe Vestager, candidata della Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa. I liberali europei, molto ben rappresentati nei paesi del centro-nord del continente hanno attualmente allargato il loro spettro ideologico accogliendo tra di essi anche il partito nazionalista basco, alcuni indipendentisti catalani, +Europa (cioè i radicali italiani) ed il nuovo movimento francese di Macron. La Vestager, danese del partito Sinistra Radicale (che in realtà è un partito liberal democratico) è, o dovrebbe, essere famosa per aver promosso le azioni europee contro i privilegi fiscali di colossi come Google, Apple, Facebook, Amazon, ma anche Fiat-FCA e la russa Gazprom.

Fanziska Maria “Ska” Keller, candidata del Partito Europeo dei Verdi, il quale appare essere il gruppo più ideologicamente compatto, almeno per quanto riguarda la grande questione ambientalista, dato che tutti i suoi membri sono appunto i Verdi di questo o quel paese. La formazione preponderante è sicuramente quella tedesca, ed infatti la Keller è del Brandemburgo. Formatasi nella Germania dell’Est, fa parte di quei Grunen che si sono affermati nelle ultime elezioni col classico programma ecologista e libertario, ma anche puntando molto sui temi del rigore della legge e della sicurezza.

Nico Cuè, candidato del Partito della Sinistra Europea, che raggruppa tutti (o quasi) i partiti comunisti, ex comunisti, post comunisti d’Europa, o le sinistre cosiddette alternative, spesso assai critiche verso la UE, compreso il Podemos spagnolo, e quella confederazione di partiti (ex comunisti o post comunisti o alternativi) italiani che si sono riconosciuti nella Lista Tsipras. Cuè, belga di origine spagnola, è un dirigente del sindacato vallone dei metallurgici, il potente (almeno un tempo) e determinato FGBT , colonna di una sinistra radicale belga invero un po’ in crisi.

Manca qualcuno

Come ben si vede dall’elenco precedente, tra gli aspiranti presidenti della Commissione Europa non figurano designati dei partiti palesemente anti-europei, di ultradestra e cosiddetti “populisti”. Infatti, il Movimento per un’Europa delle Nazioni e l’Alleanza per la Libertà, che rappresenta il Raggruppamento Nazionale di Mariene Le Pen, gli ultranazionalisti tedeschi, la destra austriaca, i populisti olandesi e la Lega di Salvini non ha voluto presentare alcuna candidatura per la carica in questione, dimostrando in questo modo un totale rifiuto dell’impianto istituzionale e costituzionale europeo. Neanche il Movimento Cinque Stelle ed alleati della Europa delle libertà e della Democrazia Diretta hanno un proprio candidato. Sembra proprio che coloro che più si battono per una Unione Europea completamente diversa vogliano rinunciare a governarla, a priori. O non siano in grado di farlo.

Poi ci sono altri assenti: tutti gli esponenti dei paesi “periferici”. Non solo mancano i rappresentati dei paesi mediterranei (non c’è un greco, un portoghese, non un italiano, non uno spagnolo), non solo mancano i rappresentanti dei paesi dell’est (Polonia, Romania, e gli altri), ma non c’è neanche uno svedese, un irlandese, uno svedese. C’è un blocco centro-europeo, mitteleuropeo, forte e compatto geograficamente (ricomprendiamo in questo anche la Repubblica Cèca) di radice culturale germanico che sicuramente, nella geopolitca mondiale, ha una sua simbolica importanza.

Differenze e similitudini

Toltisi da soli, quindi, quasi tutti gli estremisti dal dibattito, questo ha visto il confronto solo tra le formazioni europee più compatibili, ma non per questo non si sono udite e registrate profonde differenze. La prima, e politicamente più importante, è probabilmente quella che si è aperta tra il PPE di Weber e il PSE di Timmermans. I due leaders delle grandi componenti che storicamente hanno sempre guidato la UE si sono notevolmente punzecchiati su temi forti come l’immigrazione, la disoccupazione e la politica estera; Timmermans è arrivato ad evocare una larga convergenza nel prossimo parlamento europeo, e nella gestione della Commissione, di tutte le forze alternative proprio al PPE, ipotizzando una alleanza “che vada da Macron a Tsipras”. In realtà è lo stesso slogan lanciato dal PD di Zingaretti in Italia, al quale però Cuè ha già risposto criticamente, ricordando che nessun eletto del PD o dintorni si iscriverà al suo gruppo di sinistra, quello nel quale c’è proprio Syriza, il partito di Tsipras.

Neanche la convergenza con i liberali appare una strada semplice, per il PSE, trovandosi i due gruppi su fronti opposti riguardo al salario minimo, cavallo di battaglia di Timmermans (che, da olandese, lo conosce bene da decenni): la Vestager ha detto seccamente di no, tantomeno ad un salario “europeo”, perché, sostiene, non è compito della Commissione legiferare su questo, e che il concetto stesso di salario minimo, rispetto a salario giusto, non le piace. Eppure Macron, suo alleato, lo vorrebbe.

Su fronti opposti anche i Verdi ed il PPE riguardo gli interventi per contrastare il cambiamento climatico: Weber ha voluto chiamare in ballo i sindacati (con ideale strizzatina d’occhio a Cuè), che avrebbero sottolineato la perdita di un enorme numero di posti di lavoro se le politiche volute dai Verdi fossero applicate. Timmermans ha proposto una tassa su carburanti (anche per aerei) e CO2; Cuè ha rifiutato queste misure simil-iva perché ricadono sui più poveri, rimproverando all’esponente socialista di voler fare la stessa politica antipopolare di Macron che ha scatenato la protesta dei gilet gialli. La Keller ha inoltre chiesto la fine delle sovvenzioni ai combustibili fossili.

Convergenze e divergenze anche sulla tassazione delle grandi multinazionali: sia i Liberali che i Popolari hanno richiesto che i giganti del web e della economia mondiale paghino le imposte, ma con prudenza per non farle fuggire e delocalizzare altrove, e lasciando libero ogni stato di decidere in proposito. Timmermans ha invece chiesto una imposta minima del 18%. Meno deciso e netto è stato quando i giornalisti gli hanno ricordato che la sua patria, i Paesi Bassi, siano una sorta di paradiso fiscale per le grandi compagnie, così come Lussemburgo e Irlanda.

Sulla politica estera, ed i trattati commerciali, siamo quasi all’ordine sparso: Cuè li considera in genere un male, che indeboliscono, a suo dire, i produttori e lavoratori europei; Weber vuole più collaborazione con gli USA e Trump; Timmermans rimprovera sia i filo-Trump che i filo-Putin; Keller chiede che se si firma un trattato, esso debba contenere clausole sui diritti umani e contro il commercio delle armi. Zahardil e Vestager sono, da liberoscambisti, i più aperti sul tema, anche nei confronti dei paesi asiatici. Sulla Brexit e sulla struttura dell’Unione, se ci son stati rimproveri al particolarismo britannico, tutti hanno, più o meno, e scambiandosi velate accuse reciproche, criticato anche la rigidità e la durezza delle regole comunitarie, come le politiche di austerità che hanno allontanato i cittadini dall’Europa e schiacciato le necessità locali.

Il grande nodo immigrazione

Sulla immigrazione, il discorso merita più spazio, perché il tema è caldissimo e divisivo. Per questo, per illustrare la posizione dei partiti e candidati europei riguardo alle regole e gli strumenti per affrontare i flussi di migranti e profughi, abbiamo attinto non solo al confronto di Bruxelles, ma anche ad interviste e dichiarazioni rilasciate dagli stessi candidati a diversi media1. Cosa risulta? tutti criticano la situazione esistente. Pur riconoscendo il dramma dei barconi e della disperazione dei migranti, tutti vogliono fare in modo che non ne arrivino più. Il che crea delle belle contraddizioni tra la polemica politica (e quella verso l’Italia), e la pratica in uso nei singoli paesi, che in fatto di clandestinità ed espulsioni sono in genere assai più severi di noi. I candidati ed i loro sostenitori lo sanno, e provano a suggerire azioni e soluzioni non sempre così lontane da quelle dei “sovranisti” (verso i quali la Vestager ha un atteggiamento molto più propositivo del suo capogruppo all’Alde, Verhofstadt )

Timmermans, ad esempio, ha attaccato Salvini, perché “Dobbiamo rimanere umani, rimanere un rifugio sicuro per i veri rifugiati”, “ma”, sostiene, dobbiamo anche dire a chi non ha il diritto di asilo che deve ritornare nel suo Paese”; in poche parole chiede e pretende che i clandestini, i falsi rifugiati, coloro che hanno visto respinta la domanda di protezione internazionale siano espulsi senza esitazione ( e sfidiamo chiunque a trovare un clandestino per le strade delle città dei sui ordinatissimi e rigorosi Paesi Bassi).

La Vestager, per i liberali, vuole solo ingressi legali con visti concessi fuori dai confini europei; Quindi, no a sbarchi e clandestini. Macron, che nei liberali schiera la sua formazione, nel suo manifesto rivolto ai popoli europei, chiede non solo di garantire le frontiere dello spazio Schengen con una forza di polizia comune, con “obblighi stringenti di controllo” per fermare gli irregolari, ma chiede addirittura che Schengen venga rivisto, che sia eventualmente ridotto il suo spazio, escludendone i paesi che non garantiscono un rigoroso controllo degli ingressi. Afferma Macron: “credo, di fronte alle migrazioni, in un’Europa che protegge al contempo i suoi valori e le sue frontiere ” I popolari chiedono di rafforzare le frontiere comuni con ben 10.000 uomini sui fronti caldi per fermare i clandestini; Anzi, proprio Weber, in interviste rilasciate nei mesi scorsi ai media, anche italiani, aveva dichiarato di non sgradire le decisioni di Salvini in questo tema (mentre ne aborrisce il programma economico). Sul sito del PPE si trova il concetto più esteso: “Proteggeremo i confini europei. Entro il 2022 doteremo l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) di almeno 10.000 nuovi agenti e delle tecnologie più avanzate, tra cui i droni, attribuendogli il diritto di intervento diretto lungo i nostri confini. Solamente restando uniti fermeremo definitivamente il cinico business di trafficanti di esseri umani, combatteremo l’immigrazione clandestina e aiuteremo coloro i quali ne hanno bisogno. “

I socialisti (in questo d’accordo con Weber) chiedono un grande piano Marshall per l’Africa, per evitare che le popolazioni prendano i barconi (un po’ di sano “aiutiamoli a casa loro”). Il trattato di Dublino è per tutti superato. Non chiaro, però, come debba essere emendato. Inoltre, dicono i socialisti, “dobbiamo aprire canali sicuri e legali, sostenere le capacità di protezione nelle regioni adiacenti e affrontare le cause profonde della migrazione, compresi i cambiamenti climatici. Ciò richiederà una nuova partnership con l’Africa e un piano di investimenti europeo completo. Promuoveremo un migliore finanziamento delle politiche di integrazione e sosterremo città e comunità ospitanti.”

Anche la verde Keller parla chiaro: pur criticando la chiusura dei porti (ha promesso “mai più neanche un morto in mare”), afferma che “Sui rifugiati non si può porre un limite, sui migranti si può. I rifugiati sono persone bisognose e non si può tenerli fuori. L’immigrazione e i migranti economici sono una storia completamente diversa. Uno Stato può decidere quante persone – e con quali competenze – accogliere in un determinato anno e cambiare tutto l’anno successivo. Va benissimo, si tratta di un discorso diverso da quello dei rifugiati”.

È Cuè, per la sinistra europea, che sostiene che “la migrazione è un’opportunità, io sono un esempio vivente di questo (Cuè emigrò in Belgio dalla Spagna franchista), non possiamo parlare di invasione, è lo 0.5% della popolazione: può contribuire a ringiovanire l’Europa, sono scandalose le dichiarazione di Weber!”. La sua co-candidata, la slovena Tomic, aggiunge che non è tollerabile sopportare le migliaia di morti in mare, e che i migranti vanno integrati “il prima possibile nella società”, garantendo a tutti corsi di lingua.

 

  1. Le affermazioni che riportiamo sono tratte dal dibattito di Bruxells, da interviste a Euronews.com, dalla trasmissione de La7 Piazza Pulita, da el Pais, dalla lettera di Macron all’Europa pubblicata sul sito dell’Eliseo. []