Le carceri sono piene per…? il concetto di “troppo”

di Marco Ottanelli

Dopo il messaggio del Presidente della Repubblica su amnistia ed indulto, si è ripresentata, ciclica come la pasqua, la questione del “ le carceri scoppiano”. In altre parole, si dice che ci sono troppi detenuti e che le prigioni sono sovraffollate. Ma perché sono troppi? Cosa causa il sovraffollamento?

È necessario innanzi tutto precisare che troppo o poco sono sempre concetti relativi, cioè qualsiasi elemento può essere troppo o troppo poco solo rispetto a qualcos’altro. Ma a cosa?

Le risposte, da un punto di vista scientifico, possono essere molteplici, e tutte giuste. Tutte allo stesso livello di verità e quindi tutte rispettabili, ma che comportano diverse conseguenze e soluzioni al problema perché ci sono più fattori da esaminare.

Cominciamo dai dati certi. Quanti sono i detenuti, oggi? Secondo gli ultimi dati (aggiornati al 30 settembre 2013) del Ministero della Giustizia, sono 64.758

Ci sono poi 10.755 condannati in affidamento in prova (quindi, liberi, con obblighi e prestazioni obbligatorie nei termini imposti loro dal servizio sociale al quale sono applicati) e 10.255 condannati alla detenzione domiciliare. Per un totale di di 21.010 persone che, pur avendo commesso reati, non scontano la pena in carcere.

Insomma, ogni quattro condannati, uno non è negli istituti penitenziari. Non ci pare essere questa una proporzione tipica da stato di polizia, da manettari, da regime cieco e senza alternative, anche e soprattutto tenendo presente che, a questi numeri va aggiunta la cifra (sconosciuta ma molto alta), di quelli che, avendo ricevuto una condanna inferiore ai due anni godono della sospensione condizionale della pena (cioè chi commette un reato cosidetto “minore” non solo non rischia il carcere ma non rischia proprio nessuna sanzione. L’unica conseguenza è l’affrontare il processo).

 

Si arresta più gente? Si arresta troppa gente? Si arresta poca gente?

Grazie a sedimentate esperienze, innovazioni nei metodi e agli apparati scientifici moderni, oggi acchiappare un delinquente è in genere molto più facile di prima. E il fenomeno dei collaboratori di giustizia, e le intercettazioni…Non hanno forse permesso retate e arresti di masse di mafiosi, camorristi, delinquenti organizzati?

(Napoli, decapitato un clan: 22 arresti; Droga, gruppi in affari con camorra e ‘ndrangheta: 50 arresti a Roma; Camorra Napoli, clan Di Lauro: 110 arresti; Rimini: Le mani della camorra sulla Riviera. Venti arresti; Camorra, retata in Campania ed altre regioni, 46 arresti; Boss camorra in vacanza a Montecarlo: Arrestati in 14; Camorra, casalesi a Roma, 15 arresti …Sono titoli di vari quotidiani dal giugno scorso ad oggi: solo cinque notizie, solo relative alla camorra, e siamo già a 257 arrestati…dovevano forse essere lasciati a piede libero?)

Qualcuno potrebbe obiettare che in realtà il complesso dei responsabili del totale dei reati assicurato alla giustizia è molto basso, in percentuale. Questo significherebbe che in realtà si arresta troppo poco. Qualche numero:

Prendiamo gli ultimi dati disponibili che abbiamo trovato relativi alla percentuale di colpevoli di reati commessi nel 2009 ed assicurati alla giustizia entro quell’anno, ed esaminiamo le tre più popolose regioni di nord, centro e sud: Lombardia, Lazio, Campania.

Tipo di reato% di colpevoli individuati ed arrestati
LombardiaLazioCampania
Furto2,83,32,9
Omicidio colposo78,479,575,5
Omicidio preterintenz.10083,3100
Omicidio volontario71,762,743,2
Pedofilia58,86464,4
Rapina27,422,79,8
Sequestro persona6058,754,5
Tentato omicidio78,381,478
Violenza sessuale48,457,659,9

Come si può vedere, commettere un omicidio assicura (o almeno ha assicurato nel 2009) di cavarsela nel 30% dei casi in Lombardia e quasi nel 60% in Campania. Un 60% di assassini liberi a scorrazzare per Napoli e dintorni non è rassicurante. Non sarebbe meglio che fossero in galera? Rubare, poi, è quasi l’equivalente dell’impunità: fare un furto od una rapina significa non patirne le conseguenze in una percentuale che va dal 73 al 93% dei casi. Si rischia meno che giocando in borsa. È così ovvio, normale, giusto, che quasi nessuno di questi ladri e rapinatori finisca mai in carcere?

E lo stesso ci potremmo domandare rispetto ai sequestri di persona, o alle violenze sessuali, e alla pedofilia…quote altissime di responsabili che rimangono impuniti.

Nessuno di noi si augura che questo andazzo continui, e tutti vogliamo che i colpevoli paghino, siano fermati, siano impossibilitati dal ripetere il delitto. Ma l’arresto di tutti i colpevoli comporterebbe inevitabilmente un aumento della popolazione carceraria. Quindi, dire che “ci sono troppi detenuti” è una frase senza senso, se non rapportata ad altri parametri, in questo caso alla quantità di reati commessi perché, anche per reati efferati, a vedere i numeri, molti mancano all’appello.

Quindi, se diciamo che i detenuti sono troppi rispetto ai reati commessi, ecco, non solo non è vero, ma anzi sono troppo pochi.

Sono troppi rispetto alla popolazione?

Mistici ed idealisti direbbero che anche un solo carcerato è troppo per tutta l’umanità. Ma poiché siamo tutti figli di Caino e di una sconosciuta sua compagna, siamo anche realisti e sappiamo che un certo tasso di delinquenza è onnipresente, e con lo stesso dobbiamo avere a che fare. Dunque la domanda non è se i carcerati siano troppi o pochi ma se lo siano (anche) rispetto alla popolazione residente.

Sappiamo che oggi abbiamo circa 108 detenuti ogni 100 mila abitanti.

A quanto ammonta questo rapporto negli altri paesi del mondo?

Secondo l’attendibile sito http://www.prisonstudies.org/info/worldbrief/, l’Italia si trova al 139° posto, su 223 paesi, per tasso di detenuti. Ben altri 138 stati hanno quindi più detenuti di noi, in proporzione ai residenti. A parte il quasi mostruoso dato degli USA (716 detenuti ogni 100 mila ab.), gli altri paesi euro atlantici (Canada –113, Portogallo – 134, Regno Unito – 148, Spagna – 149, Repubblica Ceca – 154, Romania- 156, Polonia –222) incarcerano più di noi o (Austria – 103, Francia – 101, Belgio- 100) appena un po’ meno di noi.

Certo, c’è chi ne ha sufficientemente meno (Paesi Bassi – 82, Germania – 80, i paesi nordici tutti intorno a 70), ma insomma, da questo punto di vista, non si può parlare di troppe detenzioni rispetto ad resto del mondo: siamo perfettamente nella media.

E per ben capire poi quanto questo tasso di dentenzione sia alto o basso, si dovrebbe considerare anche il tasso di delinquenza. È abbastanza normale che un paese che abbia un elevatissimo numero di omicidi, reato ben definito ed identificabile ad ogni latitudine, ad esempio, abbia allo stesso tempo più carcerati.

Ma vanno considerate una serie incredibile di variabili: quanti e quali sono i reati punibili con il carcere, in ogni paese? Vi sono nazioni in cui certi comportamenti costituiscono reato, altri dove sono legittimi, altri dove sono sanzionabili con una semplice ammenda. E quanto ogni singolo reato viene commesso, nelle diverse parti del mondo?


Pochi posti per un mondo diverso.

Uno dei motivi possibili per i quali le carceri sono così affollate, è, ad esempio, il fatto che siano state concepite e costruite nel secolo scorso, o addirittura nel XIX; esse erano relative ad una popolazione nettamente inferiore, 30-40 milioni di persone; ecco, oggi, che siamo 60 milioni di residenti e diverse milioni di stranieri, che vivono o che transitano in Italia (la delinquenza pendolare è diventata, grazie alla rapidità dei trasporti, un fenomeno diffusissimo del tutto impensabile fino a pochi anni fa: si parte la mattina da un paese straniero, si compie il delitto in Italia, si torna a casa la sera, o il giorno dopo) esse, la carceri, sono giocoforza troppo poche e troppo piccole. Il famigerato carcere di Poggioreale, per esempio, fu costruito nel 1914. In quel periodo la Campania aveva circa 3 milioni di abitanti, oggi ne ha 5 milioni e 700 mila, quasi il doppio. Il numero dichiarato di posti di quell’istituto è di 1600, ma i detenuti presenti sono circa 2800. È quindi del tutto evidente che dal 1914 ad oggi non si è fatto quasi nulla, ed infatti uno dei fattori determinanti che provocano il sovraffollamento è l’inadeguatezza delle strutture.

Questo porta all’argomento successivo: le carceri sono sufficienti? l’Ufficio Statistico del Dap calcolava fossero 47.045 i posti “regolamentari” nelle carceri italiane (dati diffusi il 31 marzo 2013); dall’altra, l’Ufficio Tecnico per l’Edilizia penitenziaria, in una circolare “riservata” (datata 10 aprile 2013), dice che i posti sono 45.000 e molti sono inutilizzati perché in sezioni chiuse e inagibili.

Date le due cifre (45 mila posti effettivamente disponibili; 64 mila detenuti), il concetto di troppo o troppo poco può essere attribuito, evidentemente con una scelta di carattere politico, o etico, se vogliamo, in due sensi: o troppe carcerazioni, o pochi carceri. Dipende!

Ricorriamo ai dati forniti da prisonstudies.org e notiamo che, stavolta, a differenza del tasso di carcerazione, il tasso di affollamento (cioè quanti detenuti sono costretti a stare in spazi ufficialmente riservati a 100 di loro) ci pone molto in alto, nella classifica. Con 135 detenuti ogni 100 posti (ma altri dati, che sono comunque variabili di mese in mese se non di giorno in girono, indicano un ancor più drammatico 147) siamo il 69° paese del mondo, e, peggio di noi, a parte la Grecia, ci sono solo stati africani, asiatici, sudamericani. Tutti i paesi occidentali, tutti gli altri paesi di civiltà giuridica simile alla nostra, e tantissime altre nazioni di ogni angolo del pianeta, hanno una situazione migliore di noi.

Gli Stati Uniti, con il loro enorme numero di detenuti, hanno un tasso di affollamento inferiore a 100, il che significa dunque che in qualche prigione ci sono dei letti vuoti, delle celle libere. Inferiore al nostro è l’affollamento in Francia, Belgio, Portogallo. Molto più basso ancora il tasso in Spagna, Germania, paesi scandinavi.

Questo nuovo ed allarmante dato va necessariamente incrociato con quello precedente del numero di carcerati: il fatto che l’Italia non ne abbia poi molti rispetto al resto del mondo, ma che abbia un affollamento superiore, significa senza alcun’ombra di dubbio che il problema della disumana condizione delle prigioni è sicuramente più sbilanciato sul profilo della carenza di strutture che sull’eccesso di arresti.

Un elemento del quale tenere assolutamente conto per il presente e per il futuro, per evitare di cadere in equivoci e false soluzioni.

 

Ci sono troppi detenuti a causa di leggi sbagliate?

Ovviamente non esiste una definizione possibile per “legge giusta” o “sbagliata”; giuridicamente possiamo solo parlare di leggi costituzionali ed incostituzionali, e quindi non possiamo distaccarci da quelle categorie.

Innegabilmente alcune legislazioni tendono a reprimere con il carcere molto poco, ed altre molto di più. Innegabilmente, ancora, queste sono conseguenze di scelte politiche che possono essere modificate dalla volontà del Parlamento e dei partiti.

È quindi loro responsabilità quella di decidere se modificare o lasciar così come sono leggi che hanno come effetto l’arresto o meno di chi le violi.

Ad esempio, detenuti per aver commesso reati contro la economia pubblica ce ne sono solo 675; per aver commesso reati contro la personalità dello stato solo 132; e per prostituzione (sfruttamento e/o favoreggiamento, s’intende) 985.

Le cifre salgono quando si parla di reati contro la pubblica amministrazione, e cioè quella sfilza di comportamenti che connotano la malversazione, il peculato, la concussione e la corruzione, per la qual sfilza sono in cella più di 8.300 persone.

Per reati contro la persona, quelli violenti, quali aggressioni e lesioni, violenza carnale tentato omicidio e omicidio, sono detenute ben 24.345 persone, e nessuna di loro, crediamo, meriti di andare impunemente a piede libero. Quindi riesce difficile dire che siano troppi, perché arrestare un assassino è un atto doveroso.

Veramente tanti sono i presenti per reati contro il patrimonio, cioè ladri, scassinatori, rapinatori: addirittura 35.272. Ed ovviamente si parla solo di coloro che hanno commesso un reato relativo alla categoria “contro il patrimonio” che comporti una pena superiore ai due anni, perché per tutti gli altri (i Borseggiatori1, ad esempio), le porte del carcere non si aprono, come ricordato in precedenza.

Questi 24mila, questi 35mila sono tanti, ma sono dunque anche troppi? Difficile sostenerlo, se, come abbiamo dimostrato nei primi paragrafi, quasi il 50% degli assassini ed il 90% dei colpevoli di furti e rapine la fa franca. Significa che, per questi 24mila, per questi 35mila arrestati, ci sono altre migliaia e migliaia di colpevoli e responsabili che si son dati felicemente alla macchia.

E le famose leggi sulla droga (la Fini-Giovanardi) e sulla immigrazione (Turco-Napolitano e Bossi-Fini)? Quante persone portano alla galera?

Partiamo dalla seconda questione, quella sulla immigrazione. Il discorso merita un approfondimento. Innanzi tutto è bene ricordare una serie di cose essenziali:

  1. la legge Bossi-Fini (legge n. 189/2002) non prevede il cosiddetto reato di clandestinità
  2. la legge sulla cosiddetta clandestinità come status personale perseguibile, in effetti non esiste; esiste la legge che punisce l’atto di ingresso ed il soggiorno illegale sul suolo nazionale (legge n. 94/2009) , ed è stata introdotta sette anni dopo la Bossi-Fini.
  3. Tale legge non prevede il carcere per nessuno, in quanto come sanzione comminabile prevede solo una ammenda dai 5mila ai 10mila euro. Quindi, lo ripetiamo per chiarezza, la cosiddetta legge sulla clandestinità non prevede il carcere ma solo una ammenda pecuniaria.
  4. Quali immigrati oggi vanno in carcere per il solo fatto di essere immigrati? Nessuno.
  5. Infatti c’erano due reati che erano stati approvati ma che oggi non esistono più.

Di quali reati si tratta(va)?

Il primo era previsto dal Decreto Turco-Napolitano (D lgs 286/1998): «3. Lo straniero che…non esibisce… il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, è punito etc…». La Corte di Cassazione nel 2003 aveva stabilito che tale reato si applicava anche agli irregolari. Ma nel 2011 con una nuova sentenza cambia giurisprudenza: il reato non punisce più i clandestini . Tra gli argomenti: era stato introdotto, dalla stessa legge, il reato di immigrazione clandestina che prevede solo la pena pecuniaria.
Insomma, il centrodestra, ha diminuito la pena per l’immigrazione clandestina: dal carcere alla sola pena pecuniaria.

Il secondo reato introdotto, questo sì, dalla Bossi-Fini (che ha modificato l’art 14 del decreto Turco-Napolitano): prevedeva che quando non si riuscisse a rimpatriare lo straniero il Questore gli ordinasse di lasciare il territorio nazionale. Se non lo faceva era punito. Ma tale reato non può più essere applicato dall’aprile 2011 quando la Corte di Giustizia Europea ha detto cheviolava la Direttiva rimpatri perché impediva il rimpatrio, obbiettivo stabilito dalle norme europee.

Fatte le necessarie precisazioni, a questo punto, rimane da chiedersi, visto che molto si è discusso su questo, quanti sono i detenuti per immigrazione clandestina ai sensi di questo art. 14 del TU 286/98?

Nessuno. Nessuno. Neanche uno. Zero

Come precisa il Ministero di Giustizia, “Non risultano attualmente ristretti detenuti con ascritto esclusivamente il reato di cui all’art. 14 del T.U. 286/98”. Dei 1.205 detenuti per violazione delle leggi sulle immigrazione, dei quali 123 sono italiani, nessuno è in prigione semplicemente per essere un clandestino, ma per favoreggiamento o sfruttamento o della stessa, per traffico di esseri umani e simili, o, al limite, per un altro reato in aggiunta a quello di permanenza illegale sul suolo dello Stato.

Questi dati incontrovertibili smontano, o almeno, dovrebbero smontare centinaia di titoli di giornali, ore e ore di propaganda e una radicata convinzione di una parte dell’opinione pubblica, che, sicuramente in buonafede, si immagina le patrie galere colme di poveracci senza permesso di soggiorno. Ripetiamo fino alla nausea: per questo motivo in carcere non c’è nessuno. Né per il reato di clandestinità del 2009, né per la Fini-Bossi del 2005, né per la Turco-Napolitano del 1998 (l’unica tra le tre che prevederebbe il carcere). E di questo siamo contenti.

Le leggi sulle droghe invece portano in galera una gran quantità di persone: sono 26 mila e più i detenuti per reati concernenti il traffico e lo spaccio di stupefacenti. Moltissimi.

Ovviamente anche qua si deve distinguere il grano dal loglio. La vulgata sostiene che la legge Fini-Giovanardi permette l’arresto per i consumatori e di costoro sian piene le celle; ecco, questo non è vero. Non è previsto in nessun testo che il mero consumo sia punito con il carcere. Anzi: la punibilità del consumatore era prevista nella normativa precedente, il Testo Unico sulla droga, il D.P.R. n° 309 , del 09.10.1990. Ci volle un referendum, tre anni dopo, per abrogarne quelle parti così dure e punitive. La “Fini-Giovanardi” è del 2006, e non prevede, né potrebbe prevederlo, dato appunto il risultato del referendum, né il carcere né alcuna altra pena per il mero consumo.

Ripetiamo, anche stavolta, per evitare di non essere capiti: nessuno , dal 1993, va in prigione per il consumo o il possesso ad uso personale di droghe. Nessuno. Semplicemente perché non è previsto. In realtà, l’art. 75 del TU prevede, per l’uso personale di sostanze stupefacenti alcune sanzioni amministrative, come, la sospensione del passaporto, la sospensione della patente di guida, o il divieto di conseguirla, nonché la sospensione del porto d’armi. L’interessato, inoltre, “ricorrendone i presupposti, dovrà seguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo”. Tali sanzioni devono, oggi, avere durata compresa tra un minimo di un mese ed un massimo di un anno. In passato, erano ugualmente previste, ma le sanzioni amministrative avevano durata compresa tra uno e tre mesi nel caso di droghe leggere e tra due e quattro mesi, nel caso di droghe pesanti;

Il nodo della questione, dunque, quale è? È il comma 1-bis dell’art. 73, che disciplina le condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo e detenzione di sostanza stupefacente. Si tratta di condotte che possono essere compiute tanto dallo spacciatore, quanto dal consumatore.
Il giudice dovrà stabilire quindi, caso per caso, se le condotte in esame costituiscano un mero uso personale della sostanza (punito con la sola sanzione amministrativa), oppure se siano preordinate alla successiva vendita (in questo caso la condotta è punita con la sanzione penale).

C’è poi la questione della coltivazione di poche piantine di cannabis: mentre la coltivazione di molte piante è un reato punibile con il carcere tanto in Italia quanto nel resto del mondo (nei liberali Paesi Bassi il limite è fissato a cinque piantine), da noi la zona grigia ed equivoca di un testo di legge poco pensato e poco logico (fu inserito in fretta e furia nel decreto di finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino.) è stata, seppur dopo lunghe e tormentate contraddizioni, superata dalla Corte di Cassazione grazie ad una serie di sentenze, l’ultima delle quali, applicando il principio nullum crimen sine iniuria, ha stabilito che la coltivazione di una piantuccia di cannabis non costitituisce pericolo per la società, e quindi non è reato.

Insomma, chi è in prigione per reati connessi alla droga, è uno spacciatore (così definisce la legge anche colui che divide poche dosi tra gli amici), un trafficante, un grande-medio produttore di droga stessa. Ovviamente, la legge attualmente in vigore è piuttosto severa, e soprattutto non distingue tra droghe leggere e pesanti, e questo sicuramente aumenta il numero di pesci nella rete, ma la leggenda delle retate di fumatori di spinelli va sicuramente ridimensionata.

È indubbio che la Fini-Giovanardi sia una legge severa, ma ha realmente inciso così tanto sul numero complessivo dei carcerati? Fino ad un certo punto, perché, come dice la stessa Associazione Antigone nel suo Libro Bianco2nel 2006 gli ingressi in carcere in violazione della legge antidroga sono stati 25.399, mentre nel 2011 sono state incarcerate per gli stessi motivi 22.677 persone. Gli arresti sono quindi diminuiti nel tempo. Un altro piccolo mito che va, è il caso di dirlo, in fumo.

Si può evitare tutto questo, comunque, in qualche modo? Ovviamente sì, legalizzando e/o liberalizzando la produzione e la vendita di alcune (poche, molte, tutte) sostanze stupefacenti; ma non è questo l’argomento, oltretutto vastissimo, di questo articolo.

 

Custodia cautelare e Detenzione definitiva.

Ma quanti dei detenuti oggi presenti sono in carcere in seguito ad una sentenza definitiva? Sappiamo che ci sono troppi detenuti in attesa di giudizio, e questo è un problema noto e riconosciuto che ha le sue radici nell’altro grande incubo italiano, la lentezza della giustizia, dei processi, che a sua volta trova la sua origine in quel caos amministrativo e organizzativo nel quale ci si ostina a far rimanere i nostri tribunali, con carenze di ogni genere (dal personale alla carta, dai magistrati in ruolo alle strutture edilizie).
Leggi e codici sembrano fatti apposta per complicare le cose, ed ogni anno in Italia si celebra un numero enorme di processi, enorme. Come ha reso noto il Presidente della Corte di Cassazione nella annuale Relazione sull’amministrazione della giustizia, “in base ai dati comunicati dal Ministero, nel settore della giustizia penale di merito, nel periodo 1° luglio 2011-30 giugno 2012, i procedimenti complessivamente iscritti (con autori noti) sono stati 3.271.301

Per quanto si sia verificato un lieve calo (-3,1%) rispetto all’anno precedente, la cifra fa quasi paura. E si accumulano di anno in anno.

Tutto questo, ed altro ancora, hanno come terribile prodotto il dover (voler, secondo alcuni) mantenere in condizione di custodia cautelare un altissimo numero di persone, che, ricordiamolo, dal punto di vista giuridico sono solo presunti colpevoli di un reato. Anche stavolta facciamo ricorso ai numeri:

In attesa del primo giudizioCondannati in I grado appellanti in IICondannati in appello ricorrenti in cassazioneCon vari procedimenti aperti in vari gradi
12.3336.3594.6001.643
Totale condannati in attesa sentenza definitiva: 12.302

 

Quindi, tra condannati in primo e secondo grado e trattenuti in attesa addirittura della prima sentenza, ci sono ben 24.635 persone in custodia cautelare3

[3]. I condannati in via definitiva sono 38.845. Il rapporto dunque è molto alto, oltre il 42%. Questo è sicuramente un elemento che ci caratterizza in modo estremamente netto rispetto ad altri paesi. Scriveva Giovanna Baer: “con il nostro 42% siamo secondi solo alla Turchia (60%), e ben al di sopra della Francia (23,5%), della Spagna (20,8%), del Regno Unito (16,7%), e della Germania (16,2%)”.

È vero. Ma è pur vero che non è agevole alcuna comparazione con i sistemi stranieri, in quanto non tutti i paesi del mondo occidentale prevedono i tre gradi di giudizio, oppure non prevedono un automatismo al ricorso, oppure ostacolano in modo fattivo i ricorsi, per evitare quelli inutili, avventati, pretestuosi. Molto rigidi ed inflessibili i sistemi spagnolo e tedesco. Per fare un esempio, mentre in Italia gli avvocati cassazionisti sono circa 50 mila, in Francia sono solo trecento, perché arrivare alla Cassazione lì è una eccezione; da noi, è la regola.

Nei sistemi anglosassoni, poi, le cose sono ancora più radicali; come ha scritto C. Nunziata in un suo articolo per La Voce, “in Inghilterra le impugnazioni sono scarsamente praticate. L’appello, istituto estraneo alla tradizione storica di quel paese, fu introdotto solo nel 1907 e con limiti molto rigorosi, al contrario di quanto avviene nel nostro sistema… Al giudizio d’appello si perviene non tanto per rivedere “in toto” quello di primo grado, quanto per porre rimedio a eventuali manchevolezze riconducibili alla categoria degli “errores in procedendo”.
Nel nostro sistema, invece, l’appello è uno strumento di rivalutazione completa dei fatti da parte di un giudice cui è consentito di esaminarli attraverso la lettura delle carte. In Inghilterra, di fatto la “cross-examination” (insomma, il processo, nda) davanti alla “Crown Court”, ove si seguono rigorosamente i criteri della oralità, della immediatezza e del contraddittorio, non viene quasi mai utilizzata. Si ricorre in prevalenza al patteggiamento o ad altre procedure sommarie (in Inghilterra nell’82% dei casi, negli Stati Uniti nel 95%!): in questi casi l’appello non è affatto consentito.
Nei paesi anglosassoni, anche dove si svolga il dibattimento, nel 64 per cento di tali casi il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado dichiara l’appello improponibile se vi è stata confessione o se è ritenuto pretestuoso (“frivolous”) o di esito improbabile (“unsafe”)”.

Sono delle belle differenze, e pesano, pesano pesantemente, sui troppo facili raffronti a spanne.
In ogni modo, quel preoccupante dato di 12 mila in attesa di un giudizio definitivo ed altri 12 mila in attesa anche solo del primo grado, va assolutamente aggredito e ridotto, fino a portarlo ad essere il più basso in assoluto compatibilmente con la fisiologia del nostro sistema. Si è parlato spesso, da parte di alcune forze politiche (Radicali e Popolo della Libertà in particolare) di un abuso della custodia cautelare. È conveniente prendere in seria considerazione, da parte di chi ha il modo di farlo (Ministero della Giustizia, CSM, istituti di studi giuridici), tale accusa, e addivenire ad una risposta scientifica al fine di confutarla, o confermarla, per prendere i provvedimenti eventualmente necessari. Perché, se è vero che in Italia vi è un abuso generalizzato di tale provvedimento, l’andazzo va stroncato. Ma se non è vero, vanno stroncati gli attacchi immotivati alla Magistratura.

 

Rapidissime conclusioni.

Da quando abbiamo cominciato ad addentrarci nella questione “troppi detenuti”, abbiamo avuto alcune sorprese.

Abbiamo scoperto di non avere un numero di detenuti eccessivo, rispetto agli altri paesi normali, abbiamo tanti detenuti in linea con i tassi di criminalità e le doverose operazioni di repressione del crimine (anche organizzato) del nostro paese.

Abbiamo, anzi, visto come migliaia di crimini rimangano impuniti, e migliaia di criminali rimangano a piede libero.

Abbiamo visto che non è vero che l’Italia sia così restia ad applicare le pene alternative e le detenzioni domiciliari.

Abbiamo visto come le leggi sulla immigrazione clandestina non portino in galera nessuno.

Abbiamo visto come le nuove leggi antidroga non abbiano prodotto quell’effetto-valanga da tanti raccontato, anche se a causa della droga i carcerati siano moltissimi. Ma nessuno va dentro per consumo personale. Non più.

Abbiamo visto come siano particolarmente numerosi i detenuti in attesa di giudizio definitivo, e come questo sia dovuto a molteplici cause, che si spingono ben oltre le facili soluzioni.

Abbiamo visto come le nostre strutture carcerarie siano poche, troppo poche, e necessitino di essere potenziate, per abbattere quel vergognoso tasso di affollamento che le caratterizza.

Non abbiamo visto, perché non era tema di questo articolo, quanto orrende siano le condizioni, all’interno delle carceri, dove chi sconta la pena è costretto a subire carenze, difetti, disorganizzazione, mancanze, burocrazia, in condizioni igieniche, sanitarie, umane sempre insufficienti, spesso riprovevoli, talvolta intollerabili, al limite della tortura. Ma, ripetiamo, non è questo il tema del nostro articolo.

Lo stato deve investire grossi capitali in strutture, edifici, servizi, personale, qualificazione, assistenza. Ecco l’unico consiglio che ci sentiamo di dare.

 

  1. È necessaria una precisazione, tecnica ma importante. Il borseggio è un furto aggravato perché «commesso con destrezza» (art 625 codice penale) e quindi punito teoricamente da 1 a 6 anni. È difficile, però, prevedere la pena in concreto perché essa dipende (anche) dalla applicazione, da parte del giudice, delle circostanze attenunati generiche (che possono portare ad eliminare l’aggravante, e spostando la pena in una forchetta da 6 mesi a 3 anni, art. 624, oppure, se considerate prevalenti determinare una diminuzione di un terzo della pena) e, inoltre, varia in base al comportamento processuale dell’imputato che, accedendo al giudizio abbreviato ottenere una (ulteriore) diminuzione di un terzo. []
  2. Il Libro Bianco di Antigone denunciava un aumento del numero di detenuti (non degli ingressi in carcere) per motivi di droga, confrontando i dati del 2006-2007 con quelli del 2011-2012; essendoci in quel primo arco di tempo solo 15 mila detenuti per spaccio e produzione di stupefacenti, se ne deduceva che la legge producesse un aumento, quasi un raddoppio, di arresti e detenzioni; ma il rapporto, un po’ capziosamente, non sottolineava, tuttavia, come il periodo a cavallo tra il 2006 e il 2007 fosse proprio quello di applicazione dell’indulto, con un conseguente crollo generale delle presenze nei penitenziari italiani. []
  3. La costituzione italiana contiene il principio di non colpevolezza (art. 27, comma 2): “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Attenzione: questo non significa che l’imputato sia considerato innocente, neppure presunto; perché, se così fosse, come fatto notare fin dal dibattito in Costituente, sarebbe illogico persino aprire una indagine su di lui.
    Secondo quanto disposto dall’art. 273 cpp, nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza e, qualora questa condizione di base si verifichi (ex art. 274) se vi è “pericolo di inquinamento delle prove”, “pericolo di fuga” e “pericolo di reiterazione del reato”. []