Le elezioni greche e la via europea per l’uscita dalla crisi

di Marco Ottanelli

Sarà capitato anche a voi, di avere una musica in testa, sentire suonare un’orchestra? E quando gli elementi dell’orchestra suonano tutti la stessa canzone, non vi è capitato di canticchiarla anche a voi?

Ecco, per mesi, per anni, abbiamo tutti ascoltato l’orchestra degli eurocatastrofisti, di destra e di sinistra, uniti spesso dall’odio verso l’euro, che suonava la marcia funebre per la moneta unica, per l’Europa, e per la Grecia stessa, paventando rovina, rivolta, rivoluzioni e, comunque, lacrime sangue e naturalmente crudeli istituzioni internazionali pronte al golpe o al boicottaggio.

No, niente è andato così, e, vogliamo dirlo, per fortuna. I risultati delle elezioni greche non sono né la panacea né la fine rispetto ai problemi di quel paese, ma non ci sono stati i traumi che molti si aspettavano. I greci, hanno scelto. Possiamo dire anzi, usando un po’ di psicologia di massa, che hanno corretto le loro scelte di appena un mese fa, scelte che avevano portato a maggio ad una relativa parcellizzazione susseguente alla rottura del bipartitismo storico Nuova Democrazia-Partito Socialista, e che invece nel giugno 2012 ha ricompattato gli elettori come ben si evince dal grafico in due fronti più equilibrati ma più netti di prima.

Risultati elezioni Grecia 2012
Risultati elezioni Grecia 2012

 

Da notare come e quanto fosse diverso il parlamento greco nel 2009 (colonne blu), il quale oltretutto comprendeva anche partiti (gli ortodossi ed i verdi, per esempio) che oggi non esistono più.

Il grafico rende bene l’idea: dopo il crollo verticale dei due centri di potere e anche di malagestione, un crollo che è indubbiamente anche una punizione inflitta ai responsabili della crisi, i voti si sono distribuiti tra partiti nuovi, tra costole scisse dei vecchi apparati in cerca di rinnovamento, e sono anche – purtroppo – caduti nella tentazione neonazista.

Ma in maggio, complice una legge elettorale con un premio di maggioranza troppo debole per assicurare la governabilità, e troppo forte per assicurare la rappresentatività (un po’ come quelli che ci trasciniamo dietro noi dal 1993…), il risultato delle urne ha portato alla impossibilità di formare una maggioranza. O perlomeno, ha dato ad ognuno dei partiti potere di ricatto nei confronti dell’altro. È per quello che nessuno dei presidenti incaricati ha potuto e voluto accettare di formare un esecutivo, al di là delle incompatibilità programmatiche di facciata.

Perché, diciamocelo chiaro: l’uscita dall’euro e dalla UE sarebbe stata per la Grecia un suicidio e anche piuttosto doloroso. Solo degli irresponsabili (e non mancano neanche loro, in parlamento, ma per fortuna sono pochi) potrebbero aver preso sul serio la propaganda anti-BCE. I politici greci sanno perfettamente quello che sanno gli altri europei: la Grecia ha barato sui conti; ha speso tutto quello che arrivava dall’estero per inconcludenti sperperi; ha smesso di produrre alcunché ed importa persino olive e feta; ha ottenuto uno degli sconti più formidabili sul debito mai accordato ad un paese in simili condizioni; senza l’Europa ed il FMI internazionale, non ci sono speranze.

La ardita sfida posta Syrizia, che ha sempre parlato di rinegoziazione, è un modo, è solo un modo per stare dentro alle regole. Non un modo per uscirne o ignorarle. E sappiamo come son fatte le sfide: promettono tanto, a volte l’impossibile (ricordate il milione di posti di lavoro nostrani?), chiedono 100 per ottenere 50, esibiscono totale e ferma intransigenza, fanno mostrare qualche muscolo e persino i denti. Poi, la realtà, è ben diversa. Tsipras, il leader di questo raggruppamento, ha detto di voler rimanere nella UE, nell’Euro, e che non intende respingere alcun trattato o accordo. Syrizia ha visto premiato il suo programma conquistando quasi un elettore su tre. Non poco, e naturalmente non senza peso politico, anche se questo peso dovesse essere esercitato dall’opposizione. Dove pare voglia rimanere, per conservare il patrimonio acquisito.

Stupisce, forse, ma forse no, il ritorno dei greci tra le braccia dei conservatori di Nuova Democrazia. Accusati (molte ragioni ma anche con inspiegabili ritardi di un decennio) di aver truccato i conti pubblici per fare ammettere la Grecia nell’euro (“Più siamo e più la moneta unica sarà forte. Prima o poi entrerà anche la Gran Bretagna” dichiarava tutto contento il presidente del consiglio italiano, il professor Giuliano Amato, alla notizia che anche gli ellenici sarebbero entrati nella moneta unica; ah, ‘sti professori, ne azzeccassero una…), i conservatori hanno saputo raccogliere molti sentimenti e pulsioni del popolo greco: la certezza, la voglia di uscire dalla emergenza, la voglia di ricominciare su un terreno magari non perfetto, ma conosciuto, la fiducia che Samaras, il nuovo leader, ha saputo infondere, e anche, certamente, la paura. La paura di peggiorare le cose, la paura di sfidare un mondo al quale la Grecia (nonostante la musica di sottofondo della solita orchestra) deve tanto, la paura di avventure senza ritorno, la paura di un effettivo e drammatico ritorno alla dracma, con conseguenze inimmaginabili, la paura di alcuni eccessi visti in piazza, sentiti in tv, letti sui giornali. E non c’è niente di male, in questo: la paura non è forse un sentimento, una pulsione, un moto mentale come tutti gli altri?

Fa riflettere anche l’ulteriore calo del Pasok, quel partito socialista che ha avuto anch’esso una parte di responsabilità nella crisi, nella gestione dei conti pubblici e nella incapacità di far subito quanto richiesto dai partners europei. Il Pasok paga ben due scissioni, la fuga dei quadri, la lotta interna tra i vecchi ed i nuovi dirigenti, e forse paga più di quel che merita rispetto al suo programma, che però è una via di mezzo tra quello di Nuova Democrazia e quello di Syrizia, troppo prudente e troppo poco attraente per suscitare emozioni in chi ne vive di ben più forti giorno dopo giorno, come appunto i greci. Ciononostante, si appresta a fare da alleato indispensabile a ND, e non è detto che la sua capacità negoziale, in patria e all’estero, sia scomparsa tanto quanto il suo peso elettorale.

Da chi hanno preso voti, i due partiti vincenti? Dai partiti minori, abbiamo detto, compreso il partito comunista che non si distacca dai suoi risultati storici (lo zoccolo duro…) e che forse avrebbe dovuto giocarsi meglio la carta del provvisorio successo del maggio scorso, invece di cercare un consenso estremista al quale, evidentemente, aveva già dato fondo…

Rimane, anzi, cresce il fascino dei neonazisti, nonostante le loro performances criminali pubbliche di queste ultime settimane. Si legge che sono un sintomo, un segno di una malattia sociale. Pensiamo invece che essi siano semplicemente una parte concreta di quella società, che si è alimentata per decenni di feroce nazionalismo, di revanscismo, di irredentismo guerrafondaio, di anticomunismo violento e di mai negata ammirazione per il regime dei colonnelli, con Cipro sullo sfondo. Alba Dorata non è nata ora, c’era, nascosta tra le pieghe dei partiti di fede ortodossa e nell’ala destra di Nuova Democrazia. Ora ha un logo, un nome, una autonomia che la fanno più feroce e più violenta. Ma per “espellerla” dal parlamento va prima espulsa dalle teste dei greci. E in Italia, in quanto a neo o vetero fascismi, ne sappiamo più di chiunque altro.

E ora, responsabilità, da parte di tutti.

Con buona pace di chi nella deflagrazione greca ci sperava davvero (un bel mazzo di asparagi paracomplottisti, antioccidentali, signoraggisti avidi di tragedie, idealisti sulla pelle degli altri ecc ecc ecc), il popolo greco si è espresso democraticamente. E ad una buona analisi, possiamo dire che, nel suo complesso, quello che chiameremmo “sinistra” ha preso circa il 50% dei consensi. E una buona parte di questi consensi, quasi tutti, sono andati a partiti nettamente pro-europa. La destra assomma a circa l’altro 50%, e anche in questo caso gli euroscettici sono pochi davvero. Il governo che sta nascendo ha basi parlamentari solide (stavolta il premio di maggioranza è stato comodo), ma se i politici greci non si dimostreranno pazzi come in passato, si prospetta la ricerca di una altrettanto larga base sociale. E qui sta alle opposizioni, ed in particolare a Syrizia, che ha il dovere di essere responsabile e di aiutare, dai banchi dell’opposizione, il governo a prendere la via più dolce per il popolo ma anche la più utile a livello internazionale.

Lo scenario, quello internazionale, è infatti notevolmente cambiato, con la vittoria piena dei socialisti francesi e con la consapevolezza da parte degli stessi USA che la linea rigida e un po’ egoistica della Merkel non hanno dato grandi risultati. Ora è il momento, ora, di provare a rimettere in discussione non i principi, ma i metodi, i tempi, i ritmi e le circostanze del risanamento dei paesi dell’euro; con altre voci in campo, i greci, così come noi italiani, e come gli spagnoli ed i portoghesi, hanno la seria opportunità di avviarsi all’uscita della crisi in modo meno traumatico, e più giusto.

Europa.

E a questo punto è necessario introdurre un argomento che ci ripromettiamo di approfondire in seguito: il ruolo dell’Europa in quanto istituzione politica. La presidenza Barroso, fino ad oggi, si è dimostrata debole, impacciata, assente. La UE negli ultimi anni è stata retta e diretta da un direttorio Sarkozy-Merkel del tutto al di fuori della legalità comunitaria. La Commissione è sparita in un ruolo del tutto insignificante, incapace di far valere quel bene comune che è la ragione sociale stessa della comunità europea. Barroso e la Commissione hanno delegato tutto ai rapporti tra governi e tra gli stessi governi e la BCE. No, non va bene. Questo susseguirsi di vertici bi-tri laterali sta minando la funzione stessa dell’Europa e la sua credibilità a livello interno e a livello globale.

Nulla fa, e nulla può fare, se non costarci un accidente, il Parlamento Europeo. Lunedì 18 giugno 2012, l’europarlamentare democratico italiano Sergio Cofferati, dichiarava ad un programma de La7 che molti suoi colleghi europarlamentari democristiani tedeschi votavano in aula a Bruxelles atti che erano “contrari alle idee della Merkel”. Cofferati lo diceva visibilmente contento, ma forse non si rendeva conto di quanto questo fosse il tragico riconoscimento di quanto quei voti, nella situazione attuale, non valgano niente. Niente di niente. È per questo che i democristiani tedeschi si permettono di fare quel che fanno, ed è per questo che il partito e la Merkel glielo fanno fare.

Ormai a livello generale si parla di come uscire dalla crisi, con quali strumenti, ed economisti, politici, esperti ne hanno individuati due, che sono l’uno la conseguenza dell’altro: cambiare lo statuto della Bce e rafforzare l’unione politica della Comunità. Il primo passo per raggiungere questi risultati passa attraverso una presa di posizione determinatissima e fortissima dei paesi membri (anche quelli che non fanno parte dell’eurozona!) che imponga le immediate dimissioni della Commissione Barroso e la sua sostituzione con un Presidente forte, determinato, con grande prestigio e che abbia come unico programma l’interesse dell’Unione. E che questo parlamento, a maggioranza conservatrice e, a ben vedere, eletto in un’altra era storica, si rimetta in discussione.

Ps: l’urgenza di una presa di posizione europea è assoluta, visto quel che sta accadendo alla Spagna.