Finanze allo sbando . E chi è senza peccato…

di Marco Ottanelli

Le Regioni e gli enti locali non hanno digerito la “manovra” del Governo, e si sono duramente scontrare con il Ministro Tremoti, appellandosi al Presidente del Consiglio Berlusconi, evidentemente ritenuto di manica molto più larga. Il giorno 24 giugno 2010, i Presidenti di tutte le Regioni italiane hanno assai duramente contestato tagli e contenimento dei trasferimenti minacciando lo Stato centrale di restituire tutte le funzioni e deleghe che, in termini di devolution e federalismo, erano state loro assegnate con la legge Bassanini, dicendo, in sostanza ai governati: “con i pochi soldi che ci lasciate, non possiamo garantire i servizi, pensateci voi.”

Una scena drammatica, e molto pathos che si spande dalla Puglia del “comunista” Vendola, su su fino al Piemonte del leghista Cota, passando per il Lazio in quota ad AN e alla Toscana ed Emilia piddine. Un vero fronte unito dei virtuosi amministratori contro l’esoso, egoista e avido Governo. Bravi.

Però, nelle stesse ore, la Corte dei Conti presentava la sua annuale relazione, ed illustrava quanto, a livello di spese e di bilancio, era stato fatto nell’ultimo anno, e ne sono uscite interessanti e non parziali attribuzioni di responsabilità. Proviamo a riassumere per i nostri lettori il lungo documento del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, dott. Mario Ristuccia.

Crisi e provvedimenti.

Alla luce dell’analisi dei conti (è questo che fa la Corte), come ha reagito l’Italia alla grave crisi economica? Male, a quanto pare, dato che i conti pubblici sono peggiorati e così pure il debito. La pressione fiscale è aumentate ulteriormente, fino a raggiungere quota 43,2%, ma sgravi fiscali e riduzione del reddito degli italiani ha rallentato le entrate fiscali. In parole più semplici, chi ha qualche reddito, viene massacrato, ma nonostante questo, lo Stato non trova abbastanza soldi perché aumenta chi non ha più una lira da tassare.

La “spesa corrente”, cioè la spesa di ordinaria amministrazione, è cresciuta ancora, il che vuol dire che tutti i piani di risparmio si sono rivelati velleitari.

Grosse uscite si sono avute anche per l’aumento di assegni di sostegno, della cassa integrazione e di altre misure mirate verso i poveri, che, lo si dice ancora una volta, sono in costante crescita. Si perde il lavoro, si perde lo stipendio, lo Stato è costretto ad intervenire, e i conti pubblici saltano. Un crollo social-economico: Secondo le stime del Governatore della Banca d’Italia, nel biennio 2008-09 il PIL è sceso di 6 punti e mezzo, gli investimenti del 16 per cento, le esportazioni del 22 per cento, mentre l’incidenza della Cassa integrazione guadagni è salita del 12 per cento.

Eppure qualcosa ha funzionato, almeno un po’: la lotta all’evasione fiscale. Talune misure del Governo, dice la Corte dei Conti, hanno permesso di individuare molti più evasori del passato, e si è arrivati ad un incremento del 60% della cifra recuperata all’evasione. Importanti incrementi, fino al 33%, si sono avuti, sempre rispetto al 2008, delle somme sottratte alla “economia illegale”

Povere Regioni

Insomma, una situazione grave, pesante, ma non ancora, diciamo, definita. Dove sta, allora, il vulnus, dove si è aperto il baratro? La Corte non ha dubbi: “è l’ampio segmento della finanza decentrata – con particolare riferimento ai suoi attori principali (Regioni, Province e Comuni) – che è andata assumendo una sempre maggiore rilevanza, sia per la sua vasta dimensione nei diversificati ruoli che svolge, sia per i notevoli segni di criticità che hanno via via caratterizzato qualità ed efficienza della relativa spesa.”

E cosa, da parte di Regioni, Province e Comuni, ha provocato questo “dissesto finanziario” in un “panorama poco lusinghiero”, come nettamente si esprime Ristuccia? Forse importanti e decisivi investimenti per il bene pubblico? Forse un coraggioso aumento delle spese per la sanità e l’assistenza ai più deboli? Forse un avventato ma necessario aprirsi delle borse per la cura delle infrastrutture? Forse un oneroso ma inevitabile miglioramento qualitativo dei servizi? No.

Inutili centri di spesa.

Le Regioni, le Province ed i Comuni hanno sperperato denari pubblici per mantenere ed allargare “tutta la pletorica struttura amministrativa delle Regioni e degli enti locali, ripartita in numerosissimi, e spesso inutili, centri, autorità, enti, agenzie, commissioni, comunità, società miste, istituti, scuole ecc., tutti, o quasi, autonomi centri di spesa, che richiedono soprattutto erogazione di stipendi, gettoni ed emolumenti vari per una moltitudine di amministratori, manager pubblici, consiglieri e consulenti”

E’ necessario tradurre? È necessario specificare? No, ma facciamolo lo stesso. Siccome dalla relazione della Corte emerge che ‘sta roba ci costa circa 20 miliardi di euro all’anno, e siccome chi li riceve sono quegli stessi enti che cantano miseria e indicono mediatiche manifestazioni di resistenza contro il Potere Centrale brutto e cattivo, vorremmo sapere con che faccia si presentano ai cittadini con la loro pletorica struttura amministrativa, e come possono mostrarsi in pubblico con la loro moltitudine di manager consiglieri e consulenti pagati con fior di stipendi, generosi emolumenti e immancabili gettoni per gestire enti, commissioni e società numerosissimi e spessoinutili, che, come compito principale altro non hanno se non quello di erogarsi fondi l’un l’altro.

E siccome specificando attingiamo ancora alla relazione del dott. Ristuccia, veniamo a scoprire, per esempio, che le Province vengono a costare, in media, circa 43 euro l’anno ad ogni singolo cittadino italiano, e non per svolgere compiti sociali, ma solo per il mantenimento del loro apparato burocratico. Cioè per pagare stipendi e diarie ad assessori, consiglieri, funzionari ed impiegati. 43 euro a testa, in media. Con la curiosa ed ingiustificabile eccezione della Calabria, nella quale le province costano il doppio, cioè 83,5 € a cittadino. E, lo ripetiamo, solo per il loro apparato burocratico.

Non è nei poteri e nei compiti della Corte dei Conti, ma sarebbe interessante andare a chiedere a coloro che hanno governato le cinque province Calabresi, e ai loro partiti e schieramenti di riferimento, cosa e come diavolo hanno fatto per spendere il doppio della media italiana, e magari chiedergli di risponderne politicamente, amministrativamente e giudiziariamente davanti al Popolo Sovrano.

S.p.a, municipalizzate, controllate, privatizzazioni

Ma non è finita: sulla spesa pubblica nel suo complesso incide, ci informa la Corte, quella selva di società partecipate, le società pubblico-privato, quelle privatizzazioni che ogni bravo sindaco, presidente di provincia e di regione ha raccontato ai suoi amministrati come il migliore, anzi, l’unico modo per risparmare.

Ed ecco che si scopre che quello della costituzione di spa è un fiume inarrestabile: i soli consorzi sono aumentati del 5% rispetto ad un anno prima, raggiungendo la cifra di più di 7.000, mentre le partecipate dagli enti locali sono già oltre 3600, il che comporta l’astronomico numero di 39.604 cariche di componenti di consigli di amministrazione e collegi sindacali, riferite ad un numero di 26.331 persone. La differenza tra le due cifre ha un significato evidente: tra le 26.331 persone individuate, alcune hanno un doppio o triplo incarico.

Ad esse si devono aggiungere i circa 4.000 dirigenti e tecnici.

“Dunque”, prosegue la Corte, “un numero assolutamente rilevante di presidenti e consiglieri di società e consorzi che attendono alla gestione dei servizi idrici, di raccolta di rifiuti, di produzione e distribuzione di energia e gas, di trasporto, di consulenza e formazione, di gestione di case-vacanze, di informatica e di telecomunicazioni, ecc.. Un elenco di attività utili sovente a procurare unicamente opportunità di comoda collocazione a soggetti collegati con gli ambienti della politica”.

Rileggiamo, scandendole, queste parole: attività – utili – a procurare – UNICAMENTE opportunità – di COMODA – collocazione – a soggetti – collegati – con gli ambienti della politica.

Poi ci sono le privatizzazioni in senso stretto, che, a dire della Corte, che se ne intende, sono operazioni che hanno provocato una dismissione onerosa di beni, funzioni e attività a favore di privati. Cioè, non solo le “dismissioni” sono state fatte a favore dei privati contro l’interesse della collettività, ma sono state pure onerose! Gli enti locali, sì, sempre quelli che piangono in TV contro Tremonti, hanno dato beni e servizi a condizioni di favore a privati (di solito banche, grandi gruppi industriali, grandi gruppi finanziari) non solo facendo far loro un ottimo affare, ma pure rimettendoci soldi!

Un caos normativo dal centro alla periferia

Ma la “colpa” di chi è? A che punto del percorso si perde il Buon Governo, e diventa spreco, arbitrio?

A giudizio della Corte, il nodo è tra dello Stato, che ha fissato comunque le regole e “l’inverarsi”, cioè, il concretizzarsi di quelle regole da parte degli enti locali, i quali, navigando con scioltezza nel mare magnum della massa immane e non sempre chiara delle leggi, e tutto questo può diventare “fattore agevola l’elusione di regole e garanzie pubblicistiche generali oppure favorisce le opacità gestionali.”

Insomma: troppe e stratificate norme portano ad uno sperpero del tutto incontrollabile.

Il Procuratore Genarle, in conclusione, avverte che le aree problematiche sono sicuramente anche altre, e rimanda ad un documento ulteriore una più ampia trattazione della spesa sanitaria, dei rapporti con l’Unione Europea, della politica del personale pubblico, la spesa previdenziale e la gestione del patrimonio pubblico.

Tutti aspetti importantissimi, senza dubbio. Ma non è certo un caso che la Corte dei Conti abbia voluto sviluppare la sua relazione pubblica, quella che si svolge davanti a tutti i più importanti esponenti dello Stato e delle amministrazioni centrali e locali, focalizzandosi proprio sul disastro delle Regioni e degli altri enti periferici.

L’avvertimento al Governo di Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, che ha paventato, a nome dei suoi colleghi Presidenti, la restituzione allo Stato delle competenze in fatto di “Trasporto pubblico locale, mercato del lavoro, polizia, incentivi alle imprese, protezione civile, demanio, energia, invalidi, opere pubbliche, agricoltura, viabilità e ambiente” suona, alla luce della severa ed inequivocabile relazione della Corte dei Conti, più come un auspicio che come una minaccia.

PS: il TG3 del 24 giugno ha riferito che, davanti alla sede ove si svolgeva la relazione appena illustrata, si trovava uno spropositato numero di “auto blu”. Amen.