Le nomine europee: un rallentamento dell’integrazione.

di Marco Ottanelli

Quando, il 2 luglio scorso, i capi di governo dei 28 paesi UE si sono accordati per la nomina della Lagarde alla BCE e della von der Leyen alla presidenza della Commissione, il quotidiano italiano La Repubblica, tutto giulivo, titolava nella sua home page web: “L’Europa è delle donne”, e ci ricordava come la Lagarde fosse la “lady delle monete, che domina con charme”.

Contemporaneamente, il quotidiano spagnolo El Pais titolava: “Due donne consevatrici presedieranno la Commissione e la BCE”, e aggiungeva che la Merkel aveva imposta la sua ministra della difesa, e Macron aveva ottenuto che proprio la francese guidasse la banca centrale.

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Ecco, riteniamo che il giornale spagnolo abbia azzeccato, e chiarito con poche righe, assai meglio di quello italiano il senso ed il significato dell’accordo europeo, e ne abbia anche sottolineata la cifra principale: è un accordo tra conservatori, nel senso storicamente depositato, per conservatori, e che perseguirà politiche conservatrici. E i due artefici e dominatori di queste politiche sono la DC tedesca e il sempre meno liberal-progressista partito presidenziale francese. Poco charme, e tanta concretezza, hanno portato ai posti chiave della nostra Europa due figure che sono in grado di garantire quel tanto di destra che basta a guadagnarsi anche l’approvazione delle destre-destre di tutto il continente, dai polacchi agli ungheresi agli italiani.

Assieme a queste due cariche, sono stati concordati i nomi dell’italiano David Sassoli come Presidente del Parlamento, e dello spagnolo Josep Borrell come Alto Rappresentante della politica estera, entrambi appartenenti al PSE.

L’insieme di queste scelte, nel metodo, nel merito, e nelle persone, non ci entusiasma, affatto. Proviamo a spiegare il perché.

Il metodo.

Il Trattato sull’Unione Europea, nell’ultima versione firmata a Lisbona nel 2007, che funziona in sostanza come una Costituzione Europea, dice:

Articolo 14 paragrafo 1
Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente della Commissione.

Prima di Lisbona era previsto che il Presidente fosse semplicemente “approvato” dal Parlamento.

Articolo 17 paragrafo 7
Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. 

 

Per ottemperare a questo doppio livello di democrazia, prima assente nei meccanismi della UE, si era introdotta la prassi della presentazione, agli elettori, di “candidati presidenti” scelti dai partiti europei, i quali, sostenendo la campagna elettorale, si proponevano con programmi, intenzioni, scelte e con la loro stessa personalità alla guida della UE.

La loro forza politica derivava dalla stessa partecipazione alla campagna elettorale e dal riconoscimento che le forze politiche accettassero che il “vincitore”, ovvero il candidato espresso dal gruppo politico maggiore, fosse automaticamente il nome proposto dal Consiglio (cioè dagli Stati) al Parlamento, che effettivamente lo eleggerà.[1]

Sembrava, con tutti i limiti, una buona pratica di integrazione e di superamento dei particolarismo nazionali, che è stata attuata nella passata legislatura, con la elezione di Junker, candidato dei Popolari vincitori nel 2014.

Ma in questo 2019, nonostante i partiti abbiano schierato i loro candidati, nonostante i candidati si siano confrontati tra loro, e nonostante questi candidati e questi confronti siano stati alla base della campagna elettorale europea (l’abbiamo analizzata in questo articolo), e nonostante il vincitore sia stato Weber, ancora una volta del PPE, il Consiglio europeo, cioè i capi di Stato e di governo riuniti, non hanno voluto seguire l’indicazione popolare, né rispettare la lettera e soprattutto lo spirito dei Trattati, e hanno deciso di proporre ad un Parlamento inequivocabilmente sminuito la von der Leyen, scelta e sostanzialmente imposta da un paese (la Germania) persino contro un suo proprio esponente, Weber, appunto. Un vero e proprio atto di dis-integrazione: sovranismo si direbbe oggi. E noi, che sovranisti non siamo, vi guardiamo con molta amarezza e come un grave ritorno al passato, agli anni ‘90.

Ancor peggio è stata la dinamica che ha portato alla scelta di Sassoli come Presidente del Parlamento, che si è trovato doppiamente sminuito nelle sue funzioni: invece di lasciare all’Assemblea, la naturale scelta del suo presidente (pro tempore, sarà sostituito a metà mandato da un popolare), il nome di Sassoli è stato scelto e imposto dai capi di governo in un tanto complesso quanto delicato gioco del do ut des collettivo. Che il Consiglio influenzasse, diciamo così, la determinazione di quella carica, non è mai stato un mistero, ma il Parlamento si è sempre riservato un largo spazio di autonomia su chi doveva presiederlo, anche in nome della separazione (in erba) dei poteri all’interno della UE. Oltre per rispetto degli elettori. Ma in questo 2019, ecco, con la regia di Germania e Francia ed il benestare di tutti gli altri, un altro bel colpo sovranista alle deboli istituzioni sovranazionali. Lo dice chiaro e tondo, in varie interviste, persino Tajani, il presidente uscente: “Ho sempre difeso l’autonomia del Parlamento europeo. La mia elezione non è stata il frutto di un accordo imposto dagli Stati membri. Mentre l’elezione di Sassoli è il risultato di un accordo che prevedeva anche la presidenza del Parlamento Ue. C’è stata un’ingerenza del Consiglio europeo che ha indebitamente detto chi dovesse essere il presidente e per quanto tempo”. Sassoli ha ottenuto 345 voti ma la maggioranza sulla quale contava, Partito Popolare (PPE), socialdemocratici (S&D) e liberali (RE), sono 443 deputati. Quindi con la votazione segreta circa 100 di essi hanno manifestato il loro dissenso al metodo, al pacchetto dei nomi o entrambi. Tra questi anche la stessa Forza Italia che si è astenuta dal voto.

Ed il terzo colpo, sferrato stavolta da Macron, arriva con la scelta di Christine Lagarde alla BCE, non tanto, o non solo, in quanto francese, ma in quanto ex ministra di un governo nazionale, una politica invece di una banchiera, a differenza di tutti i suoi predecessori (Duisemberg, governatore della Banca dei Paesi Bassi, Trichet, governatore della Banca di Francia, e Draghi, governatore della Banca d’Italia), grave ingerenza perlomeno concettuale al principio sacro della totale indipendenza dei presidenti delle banche centrali e soprattutto ed in special modo della Banca Centrale Europea, ente che governa tassi e politica monetaria per 19 diversi paesi ed economie. La Lagarde ha un passato forte di appartenenza, non di indipendenza, da un Paese preciso, da un governo preciso, da uno schieramento preciso. Tanto è vero che la ex sarkoziana (ma di questo riparleremo…) è stata chiamata a questo incarico da un Macron bisognoso di una copertura ai suoi “sforamenti” di bilancio, e che non voleva, in nessun modo, un tedesco (come nei mesi scorsi era stato largamente prospettato). Questo per noi non è europeismo ma, ancora sovranismo.

Il merito.

Alla componente socialista, e ad un paese di media grandezza come la Spagna, è andato anche il ruolo di Alto Rappresentante della politica estera, nella persona di Borrell. Non è un grandissimo risultato per Sanchez, dato che quello è, fra tutti, l’incarico di minor peso, nella UE (infatti chi si occupa di politica estera non è neanche un Commissario, è un mero… rappresentante, per quanto lo si cerchi di nobilitare con l’aggettivo Alto). Infatti, in Politica Estera, è necessaria la unanimità dei governi, ed il Parlamento ha un ruolo puramente consultivo (art 36 del Trattato). Quindi se tutti i governi sono d’accordo, l’Alto Rappresentate diventa il loro portavoce, altrimenti, deve rimanere in silenzio. Ma non ci si poteva aspettare di più, a Madrid e nel PSE, dato che Sanchez ha sì vinto le elezioni, ma per adesso non è ancora riuscito a formare un governo, e se lo formerà sarà giocoforza di larga coalizione o più probabilmente di minoranza. D’altronde, anche super vincitore del 2014, il PD renziano che, in un grande Paese come l’Italia, raggiunse ben il 40%, non ottenne neanche un commissario “vero”, nonostante le materie economiche o l’immigrazione sarebbero state molto utili, ma solo la Alta Rappresentante Mogherini.

E tutto questo perché l’accordo, come abbiamo detto, è fondamentalmente, apertamente di stampo conservatore, e come tale, per avere l’appoggio anche dei socialisti, doveva pur concedere loro qualcosa. Ma, ovviamente, non troppo.

E conservatrici sono, come detto fin da subito, le due donne ai posti principali. Ma in base a quali criteri son state scelte, perché sono state scelte, nel merito?

La von der Leyen è stata famosa per clamorose politiche di progresso civile e di allargamento del welfare in Germania: su famiglia, lavoro, retribuzioni, previdenza, matrimonio e diritti gay, assistenza sociale, ha proposto, ottenuto, voluto e votato molto ma molto di più di tutta la sinistra italiana messa insieme. Quindi in che senso è conservatrice? Soprattutto in due: sul fronte del rigore verso i partners euro, e nel suo anti-russismo (se si può dire così). Temi sui quali ha avuto, ed ha, posizioni da vero falco, al punto che lo stesso Schäuble noto alle cronache per esser stato spietato verso Grecia, Portogallo e gli altri paesi del sud, quando era Ministro delle finanze, ne temeva gli eccessi: “parlare di Grecia con lei era come passare in una stanza piena di nitroglicerina con una candela accesa in mano”, ebbe a dire. Al punto che i suoi stessi colleghi popolari la allontanarono dal tavolo decisionale sulle crisi dell’area euro.

Nei rapporti con la Russia, poi, ha un atteggiamento di chiusura totale, e di esplicita ostilità, riscuotendo per questo la solida ed entusiasta approvazione di Polonia, paesi Baltici e altri stati dell’est, quasi tutti fortemente (notare bene) sovranisti . Von der Leyen è l’ufficiale di collegamento tra Germania, Nato e Usa, e quindi è quanto di più atlantista il nostro continente potesse aspettarsi. Anche l’uscente UK ha quindi apprezzato.

Tali determinate ed estreme posizioni sono state, non a caso, fortemente criticate da un ampio fronte della politica europea. E no, non populisti e comunisti, ma dallo stesso partito socialdemocratico tedesco che, ricordiamolo, forma un governo di coalizione con la Merkel, governo del quale proprio la von der Leyen è ministra della difesa. Le critiche sono arrivate non appena si è sparsa la voce della sua candidatura a Presidente della Commissione, ed immediatamente hanno raggiunto il calor bianco: i socialdemocratici hanno minacciato una crisi di governo, hanno paventato di passare all’opposizione, hanno ritenuto scandaloso il non essere stati consultati ed hanno imposto alla Merkel di assumere un atteggiamento ufficiale che riassumesse anche le loro perplessità. Così, quando tutti i capi di governo hanno votato per la candidatura della Leyen, c’è stato un solo astenuto: la Merkel! Ma non è finita qua, perché non è detto che i deputati socialdemocratici a Strasburgo votino il loro assenso. Un bel pasticcio.

La decisione di chiamare a dirigere la BCE proprio Christine Lagarde presenta un aspetto, nel merito, estremamente delicato: ella è, attualmente, Direttrice Generale del Fondo Monetario Internazionale (per chi volesse sapere come è strutturato e come funziona, consigliamo questo nostro articolo). Per quanto breve sia la storia della BCE, alla sua direzione è sempre stato designato chi aveva retto una banca centrale nazionale. Lo spostamento di una pedina dal FMI alla BCE ci sembra un elemento di novità di non poco conto, e che non stenteremmo a definire destabilizzante, non solo per il curriculum della Lagarde, ma perché ella, finora, dalla sua poltrona, ha rappresentato gli interessi soprattutto dei paesi più ricchi e potenti della Terra. In un giorno futuro, dovrà invece difendere gli interessi dell’Europa (e dei suoi stati più poveri) in contrapposizione proprio con le potenze economico-finanziarie che fino a ieri sono state le sue sostenitrici. Per quanto sia trapelato, sappiamo che Christine Lagarde non cambierà molto la strategia di Draghi, ma non possiamo ad oggi sapere come reagirà a pressioni e strategie eterodirette contro l’euro o la nostra stabilità economica. Perché BCE e FMI sono state spesso parti contrapposte, e hanno collaborato sì in casi delicatissimi, ma con ruoli e da posizioni assai diversi. La famosa troika, ad esempio, quella che è intervenuta nella già citata crisi greca ed in altre ancora, era composta da UE , BCE e Fondo Monetario. E spesso è stato quest’ultimo a voler imporre misure ultraliberiste e sacrifici sociali pesantissimi ai popoli europei. Non a caso il Fondo ha sede a Washington, e nessun suo direttore può essere sgradito agli USA. È un dato di fatto noto e arcinoto. Siamo quindi, anche in questo secondo caso, davanti ad un processo di americanizzazione delle istituzioni UE. D’altra parte, lo diciamo per completezza di informazione, proprio la sua pluriennale frequentazione di quel mondo, la renderebbe adatta ad interloquire con la finanza e le istituzioni internazionali, e forse proprio per questo è stata scelta.

Ricordiamo tutti come la politica del FMI sia cambiata con la Lagarde (donna di destra, era stata ministro con Sarkozy) rispetto a quella promossa dal suo predecessore, il socialista francese Dominique Strauss-Kahn, eliminato nel 2011 da una serie di scandali sessuali e, in particolare un’accusa di violenza, per la quale fu clamorosamente arrestato davanti alle telecamere e, prima ancora del processo, prosciolto per la contraddittorietà del racconto dell’accusatrice[2]. Oltre al suo convintissimo europeismo, europeismo vero che lo ha visto anche messo in minoranza nel suo paese Strauss-Khan portava in dote la sua formazione e cultura keynesiana. In quell’organismo tradizionalmente liberista, le sue idee erano viste con diffidenza, come nel caso del suo noto discorso per l’abolizione della povertà, considerato quasi eretico. E forse non fu un caso che la sua defenestrazione, sulla quale da sempre si è parlato come di una mossa di Sarkozy per eliminare un concorrente alle elezioni venture, sia avvenuta nel bel mezzo della crisi euro, e delle crisi greca, spagnola, portoghese e irlandese, sulle quali e per le quali lui avrebbe fatto scelte e piani assai diversi dalla ex ministra proprio di Sarkozy, Christine Lagarde il cui atteggiamento cinico verso la Grecia è ben riassunto in una intervista al Guardian nella quale, in uno strambo parellelo coi bambini africani, finì per dare tutta la colpa della crisi ellenica ai greci che evadevano le tasse[3]. Un po’ sempliciotta, come analisi macroeconomica.

C’è poi un elemento che fa dubitare della autorevolezza della Lagarde: quando era al governo fu processata e condannata dalla Corte di giustizia della Francia (un Tribunale speciale per i ministri) per negligenza un affaire di finanziamenti e rimborsi di Stato non dovuti a favore di un amico di Sarkozy. Nel corso dell’inchiesta, durante una perquisizione, emerse una sua lettera manoscritta (non datata) nella quale madame Christine non dà esattamente prova di essere quella donna di ferro che dovrebbe resistere a richieste e pressioni di governi e politici di ogni tendenza.

Caro Nicolas,
molto brevemente e rispettosamente:1) Sono al tuo fianco per servire te e i tuoi progetti per la Francia
2) Ho fatto del mio meglio e posso aver fallito, qualche volta. Te ne chiedo perdono
3)Non ho ambizioni politiche personali e non desidero diventare un’ambiziosa servile come molti di coloro che ti circondano: la loro lealtà è recente e talvolta poco durevole
4) Usami (Utilise-moi) per il tempo che serve a te, alla tua azione e al tuo casting
Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno: senza guida, rischio di essere inefficace; senza sostegno, rischio di essere poco credibile.Con la mia immensa ammirazione, Christine L.
(qui il testo in francese)

Sì, fa più ridere che tremare, ma la misura di un uomo, e di una donna, è fatta anche di questi particolari. Fa un po’ ridere anche la scusa che la Lagarde ha avanzato per chiedere un ulteriore rinvio della sua testimonianza nel processo Bankia, che si sta svolgendo a Madrid, e che tratta del fallimento più importante e fragoroso tra tutti quelli avvenuti durante la crisi spagnola. Ssecondo le accuse il crack sarebbe stato accellerato proprio da un report del Fondo monetario eccessivamente critico. La Lagarde dopo aver dato disponibilità a comparire in videoconferenza, ha infine richiesto di ricevere le domande tramite un questionario, privilegio ottenuto grazie allo status di capo di Stato di cui gode in quando Direttrice del FMI. La richiesta di rinvio però non è stata accettata perché il Tribunale non si è fatto persuadere dalla lamentela della Lagarde di aver ricevuto la documentazione rovinata perché la busta in cui viaggiava si è bagnata durante il viaggio. Avendole inviato di nuovo l’incartamento non dovrebbro esserci più scuse, ma anche asciugare e stirare le pagine non sarebbe stato gravoso, se fatto con il dovuto “charme”…

Mentre la misura di Sassoli, giornalista figlio di un giornalista amico e collaboratore di La Pira, di famiglia democristiana, la dà la sua fede religiosa. Scelto non a caso all’interno del PD proprio per la sua posizione non propriamente socialista, Sassoli rappresenta quel moderato che ai conservatori va benissimo, in questa fase. Un moderato cattolico che poteva benissimo sedere nel gruppo PPE, e forse pure oltre, dato che si è reso protagonista di iniziative non proprio di sinistra, come quando prese carta e penna e si mise a scrivere una bella dichiarazione in favore del crocifisso nelle aule scolastiche, dichiarazione che era contro la sentenza della Corte di Strasburgo che allora, in primo grado, si era espressa a favore della laicità delle scuole. In quella dichiarazione, che poi fu presentata al Parlamento Europeo, chiedeva di “riconoscere il pieno diritto di tutti gli stati membri ad esporre anche simboli religiosi all’interno dei luoghi pubblici o delle sedi istituzionali, laddove tali simboli siano rappresentativi della tradizione e identità di tutto il paese e dunque elementi unificati dell’intera comunità nazionale“. Un simile documento poteva essere scritto anche da un leghista o un ultrademocristiano, ed infatti fu redatto assieme a Gianni Pittella, Sergio Silvestris di Forza Italia, da Giancarlo Casini e, tanto per dare la misura delle identità ideali, da Mario Borghezio della Lega e da Cristiano Magdi Allam.

Al parlamento lo ricordano anche per il suo voto contrario al Rapporto Estrela (dal nome della deputata socialista portoghese) che, assieme con quello di altri cinque eurodeputati renziani, tutti dissidenti dalla linea ufficiale del PSE, andò a sommarsi a quelli di tutte le destre, e provocò la bocciatura del rapporto stesso. Era un documento importante, che voleva garantire la parità di genere, la condanna delle discriminazioni sessuali, il diritto all’aborto e la salute delle donne, l’accesso per tutti alla sanità. Ma bastarono due citazioni, una dei gay (parola che appare una sola volta nel lunghissimo rapporto, laddove si dice oggi le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali (LGBTI) continuano a essere vittima di discriminazione, violenza e rappresentazioni non obiettive della loro sessualità e identità di genere in tutti gli Stati membri; ) e l’altra sull’obiezione dei medici in caso di aborto ( il diritto all’obiezione di coscienza è un diritto individuale e non una politica collettiva) per scatenare le più furibonde polemiche di ultracattolici integralisti, che riempirono i giornali di concetti falsi e inesistenti come “teoria del gender” e “induzione all’aborto”. Erano assurdità, ma qualcuno, dunque, li ascoltò. Con grande soddisfazione, ad esempio, della associazione ProVita, sapete, quella del congresso di Verona, quella di Pillon.

Ma anche recentemente, a nostro avviso, Sassoli ha dato un po’ il senso di non essere particolarmente liberale: poco prima delle elezioni europee, presente in uno studio Rai (Agorà, 11 aprile 2019), ha commentato con soddisfatto compiacimento la notizia dell’arresto di Julian Assange dipingendolo come un pericolo per la democrazia e come amico e complice dei Cattivi del Mondo. Una posizione, più che violenta, molto triste, tenendo conto che Sassoli sarebbe un giornalista, e come tale dovrebbe difendere a spada tratta la libertà di espressione, di informazione e di divulgazione. La libertà, ricordiamolo, è stata conquistata proprio per poter dire quello che il Governo vorrebbe non si sapesse, anche tramite documenti e fonti riservate. Perché per riportare solo notizie, documenti e dati graditi al potere, la libertà e i giornalisti non servono affatto. Bastano i velinari.

La sua posizione di Presidente di un Parlamento come quello europeo, dove la democrazia e la libertà di parola, e l’espressione più vasta di ogni pensiero, sono la base ed il motivo stesso di esistenza di tale consesso, ci paiono stridere un po’ con i suoi giudizi sulla carcerazione di un uomo che altro non ha fatto se non dirci la verità. E che a “sinistra”, dopo le lotte contro le cosìddette leggi bavaglio, il clima sia cambiato, se ne sono accorti in tanti.

In conclusione, la pretesa vittoria dell’europeismo sul sovranismo ci pare (purtroppo) del tutto velleitaria. Il partito conservatore, che ha vinto, ha giustamente espresso i vertici delle istituzioni. L’unica carica di peso finora ottenuta dal partito socialista, la presidenza del Parlamento, è andata a uno degli esponenti più di destra dell’intera sinistra. Non a caso negli altri grandi Paesi europei come Spagna, Francia, e Germania si è molto più sottolineato il dato della virata a destra della politica europea (qualcuno si è accordo che in Grecia ha vinto il partito di destra Nuova Democrazia).
La vera partita è sui singoli commissari sui quali tutti i Paesi, anche quelli sovranisti, hanno messo una opzione. Il risultato finale della spartizione detterà il reale peso delle singole forze e dei singoli governi nella globalità della trattativa. Esaltare ed esaltarsi per una pretesa sconfitta di Lega e Movimento 5 stelle che “anche a questo giro non portano a casa niente” (come detto dal sindaco di Firenze) è quantomeno prematuro e ingenuo: Conte ha assicurato incarichi di peso. Solo dopo si potrà giudicare.

Note:

[1] Per la Precisione Il Parlamento europeo ha chiesto in almeno un paio di risoluzioni che i candidati presidenti fossero legalizzati, nel 2012 e nel 2015. Ma il testo finale della riforma delle norme comuni per l’elezione del Parlamento europeo, approvato nel 2018, non ne fa cenno. L’unico riferimento è contenuto in un accordo istituzionale tra il Parlamento e la Commissione per permettere ai componenti di quest’ultima di essere spitzencandidat, ma non è obbligatorio che un partito indichi un candidato.

[2] Nel processo civile l’accusatrice e Strauss-khan (che nel frattempo aveva controdenunciato per calunnia) hanno trovato un accordo economico la cui cifra non è stata resa pubblica.
Strauss-Khan ha affrontato anche un processo per sfruttamento della prostituzione in Francia dal quale è stato assolto in Cassazione perché ne era cliente, attività non punita penalmente.

[3] Un significativo estratto dell’intervista:D: Quindi, quando studia il bilancio greco e chiede misure che lei sappia potrebbe significare che le donne non avranno accesso a un’ostetrica quando partoriranno, e che i pazienti non otterranno farmaci salvavita, e gli anziani moriranno soli per mancanza di cure, non pensa che sia più importante del bilancio?
R: “No, penso di più ai ragazzini di una scuola di un piccolo villaggio del Niger che studiano due ore al giorno, dividendo una sedia per tre di loro e che sono molto desiderosi di ricevere un’istruzione. Ho loro in mente tutto il tempo, perché penso che abbiano bisogno di più aiuto della gente di Atene “.Si interrompe per una pausa decisamente significativa, prima di sporgersi in avanti.
“Sa cosa? Per quanto riguarda Atene, penso anche a tutte quelle persone che stanno cercando di sfuggire alle tasse tutto il tempo. Tutte queste persone in Grecia che stanno cercando di sfuggire alle tasse”.Pensa a loro più che a tutti quelli che ora lottano per sopravvivere senza lavoro o servizi pubblici?
“Penso a loro allo stesso modo e penso che dovrebbero anche aiutarsi collettivamente”.Come?
“Pagando le tasse. Sì.”Sembra che lei stia essenzialmente dicendo ai greci e agli altri in Europa, “ti sei divertito e ora è tempo di resa dei conti economica”.
“Giusto.” Annuisce calma. “Si.”E i loro figli, che non possono essere ritenuti responsabili?
“Beh, hey, i genitori sono responsabili, giusto? Quindi i genitori devono pagare le tasse”.9 luglio 2019