Covid-19: Le previsioni ignorate. Nessun complotto ma disorganizzazione.

di Marco Ottanelli

In queste settimane di emergenza covid19, giornali, siti internet e singoli utenti stanno inondandoci di presunte profezie di presunti profeti che “avevano previsto tutto”. Si va dal santone seminalfabeta alla suora morta in odor di santità, dal grafomane compulsivo che ha scritto migliaia di pagine nelle quali scavare, all’ermetico che ha lasciato due righe nonsense da interpretare, dai romanzieri inventori di testi futuribili che l’hanno azzeccata, fino all’immarcescibile Nostradamus, pessimo medico ma grandissimo promoter di sé stesso.

Non c’è bisogno di tutto questo pastone per sapere che sapevamo. Perché l’attuale pandemia era stata scientificamente e ufficialmente prevista e descritta dalle massime autorità sanitarie, che, seppur sbagliando qualche dettaglio (sono scienziati, appunto, non visionari illuminati dal Divino), ci avevano messo in guardia ed invitato a prepararci.

Nel 2005, il professor Michael Osterholm – direttore del Centro per la ricerca e la gestione delle malattie infettive dell’ Ufficio affari esteri degli Usa – pubblicava, sulla prestigiosa rivista Foreing Affairs la sua relazione dall’inequivocabile titolo “Preparasi alla prossima pandemia”. Il documento, a suo tempo tradotto in italiano, e reso disponibile sul sito dell’Istituto superiore di Sanità, è denso di notizie, informazioni, e proiezioni di scenari futuri (per l’epoca). Analizziamo questo testo di quindici anni fa.

Le premesse

Osterholm iniziava ricordando non solo le tre ultime pandemie influenzali ad altissimo tasso di mortalità e letalità, quella del 1918-19, la “spagnola”, quella del 1957-58 e quella del 1968-69, che sono poi state seguite da altre più recenti (la “aviaria” causata dal virus H5N1 su tutte), ma facendo anche presente che negli ultimi 300 anni si sono susseguite 10 pandemie influenzali umane. Si tratta, come ben facilmente ricavabile, di una crisi epidemica grave ogni 30 anni in media.

Poichè il documento è del 2005, il mondo sapeva che, nello spazio prevedibile di massimo un trentennio, sarebbe avvenuto quanto sta avvenendo oggi. D’altronde, pochi paragrafi dopo, la relazione precisava che “una serie di studi scientifici ha messo in evidenza che una pandemia è attesa a breve termine”, ed infatti son passati solo 15 anni. L’influenza virale non era ipotetica, era certa: “Non è possibile sapere esattamente quando questa colpirà, o se sarà grave come quella del 1918((Nel 1918 la popolazione era di circa 1,8-2,1 miliardi; i morti furono 80-100 milioni; nel 2005, era di 6,5; oggi è di 7,8. La percentuale di coloro che vivono in centri urbani, che comprendono anche affollatissime megalopoli, attualmente si avvicina al 58-60% del totale. I morti anche di un virus meno aggressivo sarebbero molti milioni, senza provvedimenti adeguati)) o più simile a quelle del 1957 o del 1968. Non si possono prevederne gli effetti, ma prepararsi a questo evento è indispensabile, e c’è bisogno di molto lavoro da parte delle istituzioni”.

Epidemie ed effetti

Nel 2005, quando il documento che analizziamo fu divulgato, si era appena esaurita la grande paura della Sars, causata anch’essa da un coronavirus che attaccava il sistema respiratorio. La Sars imperversò dal novembre 2002 al maggio 2004, caratterizzata da una alta letalità e dalla resistenza alle cure. Nonostante i lunghi mesi nei quali si diffuse, non fu possibile trovare un vaccino. Nata in Cina, nella provincia di Guandong (forse più conosciuta come Canton), provocò un forte panico internazionale. Migliaia di persone furono infettate, e il sistema turistico prima, e socioeconomico immediatamente dopo, subirono un crollo ed una crisi dalle gravissime conseguenze.

La relazione di Osterholm elencava dati, numeri e conseguenze di quella pandemia, e sottolineava come, a fronte della incertezza delle autorità cinesi prima e di quelle sanitarie e politiche mondiali poi, la Sars corse per il globo con una velocità impressionante: in sole 24 ore dal suo primo manifestarsi, aveva già raggiunto cinque paesi del mondo. Ma – attenzione alla comparazione tra il 2005 e quanto avvenuto nel 2019-20 – “nel giro di qualche mese” il virus fu riscontrato in trenta nazioni (il sito dell’OMS dice ventisei) di tutti i continenti. Poi, improvvisamente, si fermò.
Oggi, e questo dovrebbe farci riflettere su come il mondo sia andato accelerando e interconnettendosi in soli tre lustri, il Covid19 in un paio di mesi ha raggiunto praticamente ogni angolo della terra((Il 7 aprile 2020 si dichiarano a livello “contagio zero” le isole Salomone, Samoa, Kiribati, gli Stati Federati di Micronesia, Tonga, Tuvalu, Palau e, in Africa, São Tomé e Príncipe e le Comore. Paesi devastati da guerra e miseria come Sud Sudan e Yemen non sono in grado di registrare l’infezione. Assai poco credibile è la immunità dichiarata da Corea del Nord, Turkmenistan e Tagikistan, i cui regimi dovrebbero essere indotti a maggior sincerità e responsabilità.)), con una velocità e pervasività al tempo stesso terribile e sorprendente. Dalla Groenlandia alle Falkland, dalle Hawaii al Sudafrica, la pandemia ha colpito l’umanità intera, imponendo il confinamento di miliardi di persone e la più impressionante paralisi economica mai registrata.

A fronte di quanto nel 2005 sembrava la massima diffusione e con il contagio di soli 8096 esseri umani e la morte di neanche il 10% degli stessi (774 in totale), la Sars venne presa come esempio di quanto pericoloso fosse il rischio che correvamo. Oggi quei numeri sono quelli di contagi rilevati e di decessi in un solo giorno ed in un solo paese.

La sproporzione dovrebbe ammutolire per sempre chiunque, nei mesi passati, osò parlare del covid19 come di “poco più di una banale influenza”.

È su questa velocità e pervasività che il messaggio lanciato ai governi e alle strutture sanitarie insisteva con, si può dire, veemenza. Il genere umano è afflitto da malattie virali incurabili, dal semplice raffreddore (anche esso dovuto ad un coronavirus per il quale a tutt’oggi non esiste ancora un vaccino) fino all’Aids.

Ecco, prendiamo il caso dell’Aids, così come nel 2005 lo citò Osterholm, ed attualizziamolo ai più recenti dati disponibili: dal 1981 si stima che circa 98 milioni di persone siano state infettate dall’HIV, e che ne siano morte dai 24 ai 44 milioni. Perché 44.000.000 di morti (in 40 anni, si badi bene!) non paralizzano e terrorizzano il mondo, e poche decine di migliaia sì? Perché, quella era la stima del professore, una influenza stile Sars o stile aviaria avrebbe potuto avere un impatto di 360 milioni di vittime. Oggi, tenendo conto dell’aumento della popolazione, la cifra salirebbe a 540 milioni di morti. Più di dieci volte quelli causati dall’Aids, ed in un anno o due solamente.

E questo anche per l’impossibilità di curare adeguatamente tutti: con toni che appaiono quasi profetici, leggiamo nel rapporto che “Recenti studi in fatto di clinica, epidemiologia ed esami di laboratorio suggeriscono che l’impatto causato da una pandemia da H5N1 [o simili] potrebbe essere come quello della Spagnola. Nel 1918-1919 la maggior parte delle morti era causata da una risposta immunitaria abnorme nei confronti del virus (una tempesta di citochine) che portava a una sindrome respiratoria acuta. In altre parole il sistema immunitario del paziente, per combattere il virus, finiva per danneggiare i polmoni in modo mortale. Le vittime dell’H5N1 che abbiamo già avuto sono morte per lo stesso problema polmonare, e il mondo oggi non è pronto ad affrontare milioni di casi di crisi respiratoria acuta, così come non lo era 85 [102, adesso] anni fa; in caso di pandemia ci sarebbero scarse possibilità di avere il trattamento farmacologico ed ospedaliero pronto a breve e per tutti. L’arrivo di una pandemia influenzale cambierebbe il mondo nel giro di una notte. 

Già. Quella notte, era per noi occidentali la notte di Capodanno 2020, il mondo è cambiato. Ed è successo quel che, purtroppo, doveva succedere.

“Un vaccino non sarebbe pronto prima di qualche mese e ci sarebbero scarse riserve. In più solo le zone più ricche del pianeta avrebbero accesso ai vaccini alle cure specifiche. I commerci e gli spostamenti sarebbero ridotti o addirittura sospesi per evitare il diffondersi del virus tra i paesi, anche se probabilmente questo tentativo fallirebbe. Le economie regionali, nazionali e globali subirebbero un tracollo, tutto l’equipaggiamento medico degli ospedali potrebbe essere insufficiente entro qualche giorno. Anche le organizzazioni sanitarie e i medici sono impreparati all’eventualità. Ci sarà bisogno di un enorme quantità di assistenza medica. Nuovi ospedali sarebbero improvvisati all’interno di scuole e centri sportivi. I medici si ammaleranno e moriranno come chiunque altro, anzi probabilmente in percentuale maggiore se non avranno la possibilità di usufruire di equipaggiamento di protezione. È probabile che si arruolino allora come aiuto-medico dei volontari. Si deciderebbe di chiudere i confini almeno in alcuni Stati, senza nessuna indicazione di quando potrebbero essere riaperti. Le industrie di beni non indispensabili potrebbero subire un tracollo per l’assenza di domanda e chiuderebbero. Le attività che implicano uno stretto rapporto umano come le scuole, i teatri e i ristoranti sarebbero chiusi.”

Come si vede, non importa essere visionari mistici o romanzieri catastrofisti per azzeccare il futuro con precisione quasi chirurgica: basta avere la misura della realtà. E la realtà che tanto esplicitamente si lascia osservare, pretende però sempre il pagamento di un dazio, se ignorata.

Appena scampato il pericolo della sars e della aviaria, le istituzioni sanitarie e gli ambienti scientifici ammonirono i governanti: la prossima pandemia arriverà. È inevitabile. Potrebbe accadere tutto “stanotte, tra un anno, tra dieci anni”, come scritto nella relazione pubblicata da Foreing Affairs. E tutti e tre gli scenari venivano prospettati, con le relative necessità di intervento e di preparazione.

Ovviamente, nonostante i toni, stiamo esaminando un testo di probabilità scientificamente elaborato, e non una profezia. Non deve quindi stupire che l’autore, parlando delle difficoltà che si sarebbero riscontrate, si riferisca spesso al vaccino come soluzione (nel 2005 si ipotizzava potesse arrivare per l’H5N1) e come, contemporaneamente, emergenza umanitaria, data la sua inevitabile scarsità: non ce ne sarebbe stato per tutti, almeno non per i primi mesi. Ma basta sostituire il termine “vaccini” con “mascherine”((“Due industrie statunitensi forniscono in tutto il mondo la maggior parte delle mascherine di protezione per chi lavora nella sanità . Ma queste non sarebbero in grado di sopperire all’aumento di domanda” si legge nel testo del 2005. Sarà ancora così, la produzione è prettamente americana o oggi è un primato della Cina? In ogni modo, ben poco cambia: le mascherine non sono prodotte in quantità sufficiente.)), “terapia intensiva” o “respiratori” e tutto torna di immediata attualità. In poche parole, l’ammonimento era quello di predisporre un piano fattibile e di pronta applicazione per fronteggiare almeno le più prevedibili criticità. E di farlo immaginando di avere a disposizione tempo zero, tempo un anno, tempo dieci anni.
Ne abbiamo invece avuti quindici. Cosa abbiamo fatto?

A quanto pare, nulla. Nessun paese si è trovato pronto non solo a fermare, ma persino a contenere l’infezione. Nessun paese del mondo, tranne forse la Germania, ha avuto letti di terapia intensiva sufficienti. Nessun paese del mondo ha coordinato al suo interno azioni e reazioni, dimostrando piuttosto caos e sovrapposizioni, contraddizioni e vuoti di potere in un intreccio pernicioso di competenze tra governanti, autorità locali, istituzioni mediche e politiche. Quel che più stupisce è proprio il ruolo confuso e non attivo delle autorità sanitarie centrali: a differenza di governi, presidenti e ministri, che sono per natura democratica solo provvisoriamente ai posti di comando, esse sono strutture permanenti, e perfettamente a conoscenza di tutto quanto sia necessario provvedere. Il documento di Osterholm che citiamo, come abbiamo detto, è stato scritto nel 2005 per la più prestigiosa rivista statunitense di relazioni internazionali e fu a suo tempo tradotto e pubblicato sul sito dell’ ISS, l’Istituto Superiore di Sanità, dove lo abbiamo recuperato. Ma né l’Italia, né alcun altro paese ha fatto scorte di prodotti di bassissimo costo di facile produzione e di facile stoccaggio come reagenti e mascherine, che sono mancati ovunque fin dal primo giorno.

Nessun paese ha predisposto piani di quarantena dei non sintomatici, di isolamento degli infetti e neanche, purtroppo, di smaltimento ordinato dei cadaveri. Nessun esercito è stato in grado di montare ospedali da campo con strumentazione d’emergenza, lasciando questa complessa realizzazione ad alpini in pensione, curve calcistiche e beneficenza. Nessun paese ha cooperato con altri in modo strutturale, anzi, si son chiuse frontiere e bloccate esportazioni in un clima di dispetto reciproco. Nessuno sapeva cosa fare, la comunicazione è rimasta incastrata in un pandemonio di minimizzazioni ed allarmismi. Dopo quattro mesi dallo scoppio della epidemia, ancora non è giunta la parola definitiva sull’opportunità o meno dell’uso delle solite mascherine, ed alcune nazioni ancora non hanno effettuato nessuna quarantena, mentre in altre vige il coprifuoco militare. Dal punto di vista economico, nonostante l’esistenza di UE, ONU, FMI e tutti gli altri organismi sovranazionali, siamo al tutti contro tutti.

No, le profezie, dunque, non c’entrano affatto. C’entra la capacità dei governi, dei popoli e dei singoli di guardare oltre l’ombra del proprio naso, dello stretto contingente, del misero oggi e del vacuo domani. Ancora una volta, stiamo dimostrando di non capire, e di ignorare quel poco che capiamo.

Lo studio del prof. Osterholm si concludeva col periodo che riportiamo, e terminava con un quesito per i posteri: “Il tempo scorre e la prossima pandemia potrebbe essere sempre più vicina. Dobbiamo agire con decisione e cognizione di causa. Un giorno, dopo che la prossima pandemia sarà avvenuta e passata, una commissione sarà interpellata per valutare quanto i governi, le imprese, i dirigenti della salute pubblica abbiano preparato il mondo per la catastrofe, una volta avuto chiaro il pericolo. Quale sarà il verdetto?”

I posteri siamo noi. Il verdetto che saremo tenuti ad emettere riguarda ognuno in prima persona. Ma aspettiamo la fine della tormenta: ancora c’è molto da giudicare.