I lemuri: la giungla della riforma elettorale. Come districarsi in un dibattito soffocante.

di Marco Ottanelli

Nelle notti del Madagascar si odono, a tratti, risa scomposte, grida raccapriccianti, atroci ululati: sono i versi dei lemuri, primati non scimmie, non uomo, con grandi occhi, code lunghe, dita deformi o altre curiose peculiarità di specie in specie. Quelle risa, quelle grida, quegli ululati, che a orecchio umano paiono urli impressionanti senza significato, sono in realtà messaggi e informazioni che essi, i lemuri, si scambiano incessantemente.

Il dibattito sulla legge elettorale, a chi si avventurasse nella soffocante giungla delle riforme, assume sempre più caratteristiche di scompostezza, raccapriccio, atrocità, ma il linguaggio è criptato dalle rispettive propagande e dalla astrusità del tema, per cui, a noi uomini e donne comuni, quel che arriva è solo rumore.
Su questo sito si è spesso parlato di questo tema, la legge elettorale, e pur non avendo pretesa alcuna di “insegnare”, lo sconforto ci coglie, ogniqualvolta siamo costretti a ripetere e ribadire concetti e dati che sono di una tale palese evidenza che si assomigliano alla più sciocca banalità.
Ma i “popoli” di destra e di sinistra, quelli delle primarie e quelli delle conventions, continuano ad arrampicarsi su liane viscide e ricadere sempre sulla stessa fanghiglia. Esaminiamo un po’ la storia della legge elettorale, e le proposte in campo.

All’inizio fu il proporzionale semplice, il metodo universalmente riconosciuto come il più democratico: a tot voti, corrisponde un tot di seggi. In modo che, in una democrazia rappresentativa, ognuno si potesse far rappresentare, ed ogni partito rappresentasse, secondo il peso che la sua idea era in grado di raccogliere. Se alla Camera questo sistema era piuttosto lineare, al Senato (che, avendo metà membri, e per certe variabili del calcolo del rapporto voti-circoscrizioni-seggi, poteva e può matematicamente rappresentare in modo perfettamente proporzionale solo oltre un certo limite) sussisteva una sorta di quorum minimo da superare, tanto più che, spesso, i partiti più piccoli evitavano di presentare proprie liste per quel ramo del Parlamento. Si pensi che per avere un senatore in Liguria, nelle elezioni del 1979, alla DC bastarono 87 mila voti; il PCI ebbe bisogno di 90.500 voti, mentre il PRI ne dovette raccogliere 206.000 e il piccolo Partito Liberale ben 345.700.quindi chi sostiene che il proporzionale favorisce il proliferare di partitini mente la prima volta.

Nel 1991, la prima grande riforma: il referendum sulla preferenza unica. Fino a quel momento, con grande spirito democratico, la legge permetteva la “preferenza multipla” (strumento tuttora in vigore nelle elezioni europee e in quasi tutte le amministrative), ovvero la scelta di un certo numero di nomi dalla lista dei candidati. Con il loro solito spirito opportunistico, mafie, camorre e malaffare si impossessarono, in certune plaghe del paese, di tale strumento, per “controllare il voto”, ovvero per avere uno strumento in più rispetto a tutti i brogli che in Italia sono stati perpetrati impunemente e nel silenzio generale per decenni. Il modo era semplice: io ti dico quali nomi, ed in quale perfetto ordine, devi scrivere sulla scheda. Ad un altro, dico gli stessi nomi, ma variandone l’ordine. Se, a urne aperte, non trovo almeno una scheda votata (contraddistinta) da quei precisi nomi, in quel preciso ordine, ti riempio di mazzate. Facile, e gratis. Per questo ed altri motivi, il Movimento di Mario Segni e tutta una serie di associazioni e partiti si mobilitò, portando sulla posizione del “Sì” quasi tutto lo schieramento politico. Unico ad opporsi fu il PSI, che subì, nel suo isolamento, una batosta notevole: ben il 95% dei voti validi risultò per il SI, per l’abolizione delle preferenze multiple. Da quel momento, i cittadini festanti si erano tolti un diritto sacrosanto per contrastare “la partitocrazia”. Da ora in poi, sentenziò il Popolo, non potremo più scegliere e favorire 3/4 persone, ma solo una tra le tante. A quel punto, la diga era aperta: sotto la spinta di Segni e di Tangentopoli, con l’appoggio determinante del neonato PDS, agli italiani venne insegnata un’altra verità: maggioritario è meglio. Il referendum abrogativo del 18/19 aprile 1993 , eliminando alcuni pezzi della legge elettorale in vigore, costrinse il parlamento ad elaborare un nuovo sistema che, secondo alcuni, avrebbe dovuto significare la “Seconda Repubblica”.

Il maggioritario all’Italiana, meglio conosciuto come Mattarellum, dal nome del suo estensore, era un incredibile sistema di pesi e contrappesi, di trappole e di controtrappole, di livellamenti e di controlivellamenti che ha stupito i più scafati tra i commentatori internazionali.
All’apparenza, era un maggioritario uninominale: l’Italia fu divisa in collegi (oltretutto spesso divisa malissimo, secondo gli interessi reciproci dei partiti e non secondo una naturale contiguità territoriale o sociale) ognuno dei quali doveva eleggere 1 deputato o senatore. The winner takes all, come dicono gli anglossassoni: passa il primo e tutti gli altri, con il loro carico di voti, vanno a casa. Meno democratico, meno rappresentativo, più spietatamente selettivo ma – ci dicevano – più stabilizzante. Purtroppo questo non era vero affatto: proprio nel maggioritario, proprio nei collegi uninominali, proprio anzi nei cosiddetti “collegi blindati”, dove questa o quella coalizione si sentiva più sicura, proprio in questo sistema si candidarono, furono piazzati, e vennero eletti i più incredibili, impresentabili e meno rappresentativi personaggi, con il risultato che, alla Camera dei Deputati, il numero dei gruppi parlamentari aumentò rispetto alle legislature passate. L’ultimo governo della “prima Repubblica” era composto da una coalizione di 4 partiti. Il primo governo Berlusconi, del 1994, già da 5. Il Governo D’Alema, il Governo Amato, e l’attuale Governo Prodi sono stati composti rispettivamente da 7, 8 e 9 partiti (per tacer di Follini).
Quindi, quindi chi sostiene che il proporzionale favorisce il proliferare di partitini, mente la seconda volta.

Nell’uninominale secco, la preferenza è ovviamente scomparsa: la scheda riportava due o più nomi, con accanto il simbolo del partito/coalizione, e nulla da aggiungere da parte dell’elettore.
In aggiunta a questo, il Mattarellum prevedeva un 25% di seggi eletti con il sistema proporzionale, in un gioco folle di premi, scorpori, ripescaggi, grazie al quale tanti più voti un partito riceveva nella circoscrizione, tanto più “sconto” sarebbe stato fatto agli altri partiti, consentendogli di recuperare qualcuno dei bocciati nell’uninominale. In poche parole, votato per Tizio, in una certa parte votavo anche per Caio. Comunque, nella parte proporzionale, si inventò il cosiddetto “listino”, con non più di 5 nomi, dove mancava del tutto la possibilità di esprimere la preferenza. Quindi, chi denuncia l’attuale legge elettorale come una porcata, uno scippo, il golpe, una lesa maestà al popolo sovrano, mente, imbroglia o dimentica che le preferenze non ci sono più in Italia dal 1993, e che per ben tre legislature abbiamo già votato senza poter scegliere nessuno dei nostri rappresentanti, che erano, invece, tutti nominati dai partiti. Esattamente come adesso.

Al Senato, peraltro, la cosa era ancora più semplice, e i senatori erano eletti solo con il sistema uninominale: un nome, scelto chissà da chi chissà dove chissà perché, e zitti.
Il maggioritario era stato presentato come fautore di stabilità. Stupisce la faccia tosta dei propagandisti e l’ingenuità degli italiani, che, invero, vi hanno creduto: la stabilità di un Paese e dei suoi governi è dovuto non certo alla legge elettorale, neanche alla composizione del Parlamento o del Governo, ma alla convergenza sui temi più importanti. La Germania, la Spagna, l’Olanda, ecc ecc ecc hanno grande stabilità (pur essendo paesi proporzionalisti) perché le loro maggioranze governative son d’accordo su tutti i punti determinanti del Paese: economia, laicità, politica estera, ordine pubblico, legalità….in Italia, al contrario, ognuno di questi temi è terreno di battaglie asprissime e devastanti, e di posizioni inconciliabili, all’interno della stessa coalizione o dello addirittura dello stesso partito! Afghanistan, Pacs, tassazioni, riforma della giustizia sono solo alcuni esempi delle spaccature trasversali che spaccano la politica italiana. A questo, e non alle formulette, sono dovute le crisi di governo, i rimpasti, la farraginosità del sistema. Infatti, la prima legislatura post-riforma elettorale, durò due anni scarsi, e portò alle elezioni anticipate; la seconda, quella dell’Ulivo, vide ben quattro governi (se non consideriamo il rimpasto di Prodi); la passata legislatura ha visto l’onnipotente Berlusconi costretto a formare due governi e a tenere la propria maggioranza coesa solo a patto di continui rimpasti e di imposizioni al limite della costrizione. Insomma, un risultato molto poco in linea con le premesse. Proprio a fine della passata legislatura, si è arrivati alla “porcata” di Calderoli. Perché era una porcata? Prodi e l’Unione hanno detto che è una legge brutta-e-cattiva perché non aveva le preferenze, scusa buffonesca visto che le preferenze non ci sono da 14 anni, e perché non consentiva alle coalizioni di funzionare: termini assai equivoci, perché, se da un lato il proporzionale ha favorito, sì, i piccoli partiti, che hanno potuto presentare liste autonome senza chiedere il permesso al babbo, dall’altro il nucleo della nuova norma è costituito dal premio di maggioranza da attribuire alla coalizione in quanto tale.

Anzi, a ben vedere, tra un “maggioritario” e un “ premio di maggioranza” le differenze sono veramente risibili, visto che il risultato è sempre quello che il vincitore ottiene un numero di seggi più che proporzionale rispetto ai voti. Quindi Prodi e l’Unione hanno sbagliato clamorosamente le loro accuse. Calderoli (ed il centrodestra) ha definito da solo la sua creatura una porcata perché fu pensata, ad hoc, per impedire a Prodi di vincere e di presentarsi sotto il vago simbolo dell’Unione, quindi godendo di una sorta di investitura solenne. Anche in questo caso, i termini sono ambigui, perché se è vero, come è vero, che Prodi è stato costretto a candidarsi nel raggruppamento ristretto denominato Ulivo (DS+Margherita+ Bobo Craxi), allo stesso tempo l’Unione ha vinto, facendo fallire i piani del Polo, che, con la vecchia legge, facendo man bassa nel Nord, avrebbe vinto ancora le elezioni. Quindi, Calderoli e il Polo hanno sbagliato clamorosamente le loro accuse.La verità è che l’attuale legge elettorale non è né migliore né peggiore di tante altre. Senza guardare all’estero, è indubbiamente migliore della sua precedente progenitrice, la legge elettorale della Regione Toscana, che, eliminando le preferenze, bloccando le liste e regalando il premio di maggioranza, è identica, ed è stata approvata da un inciucio DS-Margherita-An-Forza Italia.

Ora, sul piatto, sono state calate le carte delle “bozze”, bozze di riforma elaborate nell’oscurità degli incontri bilaterali e delle conventicole segrete. In TV e suoi giornali arrivano solo le grida e gli incomprensibili messaggi incrociati, ma i lemuri si riconoscono tra loro, nella notte, e si annusano, si studiano, si fanno favori reciproci.

I lemuri le pensano tutte pur di assicurare alla loro specie, anzi, alla razza che li accomuna, la sopravvivenza: immaginano sbarramenti a 3, 5 o qualcos’altro per cento; immaginano l’indicazione del nome del premier designato sulla scheda; immaginano premi di coalizione e soprattutto sono sicuri sull’eliminare definitivamente le preferenze, quella appendice di libertà che potrebbe (pensate!) portare gli elettori a scegliere. Calderoli della Lega, ancora lui, e Vannino Chiti dei DS hanno presentato le loro bozze con la convinzione di aver fatto un ottimo lavoro. Tranne Amato, che rivorrebbe i collegi uninominali, quasi tutti hanno plaudito sia a Calderoli che a Chiti. La caratteristica che accomuna e affratella i due progetti è che “rafforzano il bipolarismo”, come se la parola bipolarismo possa avere un senso in un Paese e in Parlamento che vede continui cambi di casacche, trasformismi ed “aperture al centro”, “tavola dei volenterosi”, “maggioranze allargate”.

Che poi tali riforme non riformino alcunché ma servano solo a conservare, quanto al fatto che tali provvedimenti farebbero rientrare dalla finestra premierato ed altri fardelli che avevamo respinto con un referendum costituzionale (non con un televoto, un referendum costituzionale!), quanto al particolare che tutte le accuse di golpe e porcata vengano non solo dimenticate ma abrase dalla nostra memoria, riproponendole pari pari in salsa diessina, ebbene, nulla di questo ha importanza, nulla di questo ha un significato intellegibile, per gli italiani, assordati dalle grida dei lemuri e talvolta un po’ atterriti dai loro sguardi nel buio.

Rimarrebbe una soluzione: non credere, non fidarsi, della propaganda. Accendere la luce. E con un solo gesto, con la consapevolezza, avremmo una immagine immediata dei lemuri che saltano da un ramo all’altro sulle nostre teste: brutti ceffi, è vero, ma anche piccole, ridicole creature pelose, da scacciare con uno “sciò”.



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