Che fine ha fatto il referendum sull'acqua? Il punto della situazione

di Gabriele Pazzaglia

Il 21 marzo scorso è stata depositata una sentenza del Tribunale Amministrativo della Toscana((Sentenza 436/2013 del Tribunale Amministrativo della regione Toscana)) (TAR) che ha stabilito che dal tariffario dell’acqua, in un parte della Toscana stessa, deve essere cancellata la voce relativa alla “remunerazione del capitale investito” perché eliminata dal referendum del 2011.

Che effetti avrà questa sentenza? Per spiegarlo dobbiamo riepilogare il percorso che ci ha portato fin qui: il momento in cui è si è entrati nel vivo della privatizzazione della gestione dei servizi idrici è stata la legge Galli del 1994((Legge 36/1994)). Infatti, anche se già da qualche anno erano stati inseriti criteri imprenditoriali nelle allora aziende municipalizzate((Legge 142/1990)), nel 1994 è stata introdotta la possibilità di gestione dell’acqua da parte di privati (attenzione, la gestione dell’acqua e non la sua proprietà che, per la stessa legge è pubblica). La conclusione del percorso è stato il noto Decreto Ronchi del 2008((Art 23-bis Decreto legge 112/2008 convertito con la legge 133/2008)) che prevedeva per i servizi pubblici che erano, al contempo, sia di rilevanza economica, sia remunerati da una tariffa pagata dagli utenti (come lo è la gestione dell’acqua), l’obbligo della privatizzazione della gestione.

La legge Galli prevedeva inoltre che il territorio fosse diviso in ATO (Ambiti territoriali ottimali), raggruppamenti di comuni i quali, per diminuire i costi, erano obbligati a gestire il servizio idrico insieme. Ogni zona aveva la propria Autorità (nella cui assemblea, organo decisionale, siedono i sindaci con un numero di voti in proporzione alla popolazione del loro comune) che doveva, tra le altre cose, sia decidere se il servizio doveva essere affidato a privati o riservato al pubblico, sia determinare le tariffe. E queste dovevano comprendere anche la “remunerazione del capitale investito” perché così imponeva la stessa legge Galli con una norma (art. 13) che è poi stata “trasferita” nel cosiddetto Codice dell’Ambiente (art. 154) emanato nella legislatura del centrosinistra, 2006-08. Non deve sorprendere che tale norma sia stata conservata dal centrosinistra perché, già nel 1996, il Governo Prodi aveva fissato questa remunerazione al 7% con il Decreto del Ministero dei lavori pubblici del 1996 (Ministro Di Pietro)((Si tratta del Decreto 1 agosto 1996)).

Come è noto, poi, circa due anni fa, il popolo italiano è stato chiamato a votare, tra gli altri, due referendum comunemente noti come “i referendum sull’acqua”. E il risultato è stato per l’abrogazione sia dell’obbligo di privatizzazione della gestione (previsto della Decreto Ronchi), sia della remunerazione fissa del capitale al 7%.

Ma, nonostante la vittoria referendaria, possiamo dire che i risultati siano stati conseguiti?

Quanto al primo quesito, la modalità di gestione, dipende quale fosse l’obbiettivo: tecnicamente, la vittoria del referendum ha mantenuto la libertà dei comuni nella scelta della gestione dell’acqua e, quindi qualunque fosse stata la scelta fino a quel momento compiuta dagli enti locali, azienda pubblica o in parte privata, questa poteva essere mantenuta o cambiata a loro piacimento.

Certo, i promotori del referendum, hanno voluto esplicitamente manifestare la loro netta preferenza per la gestione pubblica dell’acqua, tanto che, chiedendo con il secondo quesito l’eliminazione del capitale investito, tendevano a cancellare di fatto l’interesse dei privati a restare nella gestione dell’acqua. Ma per conseguire effettivamente questo risultato servirebbe una legge che lo imponga. Ma da quali forze politiche può arrivare tale impulso? Di sicuro non dal PDL/Lega che aveva votato addirittura per l’obbligo contrario, per la privatizzazione. Difficilmente verrà dalla coalizione del centrosinistra perché anche se SEL ha questo obiettivo nel programma (e ci ha già provato in Puglia, presieduta da Vendola, salvo poi vedersi annullare la legge dalla Corte costituzionale che ha stabilito che la competenza appartiene ai Comuni raggruppati in ATO((Sentenza 62 del 2012))) la forza preponderante della coalizione è notoriamente il PD il quale, nella campagna referendaria, ha sostenuto il “sì” esplicitamente al fine di ridare la libertà di scelta agli enti locali e là, nei territori dove ha governi consolidati (Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Umbria) ha praticamente ovunque scelto la formula misto pubblico-privato nella gestione dell’acqua.
Unica forza politica esplicitamente favorevole alla gestione pubblica è il M5S.

Quanto al secondo quesito, quello sulla remunerazione del 7%, questo richiede una modifica delle tariffe, cioè che le autorità di ogni ATO approvino i nuovi valori. E qui veniamo alla sentenza in questione: alcuni cittadini e il Forum Toscano dei Movimenti per l’acqua hanno fatto ricorso al Tribunale Amministrativo della Toscana per chiedere l’annullamento della deliberazione delle tariffe di una delle sei ATO della regione. Si tratta, per la precisione, della ATO2 (che, per rendere l’idea, comprende una zona che va da Pisa a San Gimignano) la quale nel dicembre 2011, e cioè dopo il risultato della consultazione popolare, aveva conteggiato anche la abolita remunerazione del capitale investito per calcolare le tariffe per il 2011-13, tariffe che sono state impugnate. Risultato: gli atti sono stati annullati, si legge nella sentenza, «laddove riferiti, ai fini della revisione tariffaria al fattore di remunerazione del capitale». Par di capire quindi, che la decisione delle tariffe rimane formalmente in piedi anche se, secondo noi, essendo quello in questione un atto complesso, forse andrà rinnovato con dei nuovi valori.

Di sicuro c’è che i sindaci del territorio in questione si devono assumere la responsabilità di aver approvato nell’assemblea dell’Autorità un atto dichiarato illegittimo, costringendo dei cittadini a sobbarcarsi le spese per l’impugnazione dell’atto per veder applicato semplicemente l’esito di un referendum.

Ma allora, le bollette pagate vanno in parte restituire? E quelle future? Proviamo a fare un po’ di chiarezza: dopo il referendum le tariffe approvate fino a quel momento sono diventate illegittime. Ma, molti gestori (forse tutti?), invece di ricalcolarle senza la voce in questione hanno continuato ad applicarle. La situazione si è complicata quando, dal 1 gennaio 2012, il decreto Salva-Italia (quello del Governo Monti) ha trasferito la funzione di regolamentazione del servizio idrico all’Autorità per l’Energia e il Gas. Questa, non sapendo se era competente anche per il periodo precedente all’assunzione della funzione, ha chiesto un parare al Consiglio di Stato((Parere 267/2013 del 25 gennaio 2013)) il quale ha detto che spetta a essa attivarsi per far rendere ai cittadini la parte di bolletta in eccesso. E questa ha avviato un procedimento per decidere i criteri per determinare gli importi. Attendiamo risposta.

Per le bollette successive al 1 gennaio 2012, la cosa, come se ce ne fosse bisogno, si complica ulteriormente. Infatti l’Autorità in questione ha deciso i criteri di determinazione delle tariffe il 28 dicembre 2012, e i vecchi ATO (che nel frattempo sono stati riuniti in un unico ambito regionale) avevano tempo fino alla fine di marzo 2013 per calcolarle e rinviarle all’Autorità per sapere se vanno bene. Da quando saranno confermate si applicheranno, a quanto sembra, retroattivamente: dal 1 gennaio 2012! Ciò vuol dire che fino ad oggi le tariffe applicate in concreto sono state quelle vecchie e che queste nuove dovranno in qualche modo tenerne conto compensando quanto in più è stato pagato fino ad ora. Anche qui c’è da aspettare anche perché queste nuove tariffe sono state impugnate davanti al TAR della Lombardia. Infatti, si legge nella motivazione dell’approvazione delle tariffe che queste, fino alla fine del 2013, dovranno fare riferimento al «costo della risorsa finanziaria» che, ci sembra di capire, benché non debba essere più considerata come come un valore (fisso) da remunerare sarà comunque un costo (variabile) da sostenere perché l’art. 4 impone di prendere in considerazione il totale degli «oneri finanziari». E la differenza sarà minima: circa 0,6 punti percentuali. Al vecchio 7% quindi si sostituirà il 6,4% o giù di lì.

Da una parte sembra un raffinato tentativo di aggirare il referendum ma, dall’altra, bisogna ricordare che il referendum è andato a toccare solo parte della regola per la determinazione della tariffa, ed ha lasciato in piedi il resto della norma che ad oggi prevede ancora che l’importo da pagare sia calcolato «…in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi». Ed anche gli oneri finanziari, beh…sono costi.

Non resta quindi che aspettare per sapere se questa è la giusta applicazione della legge o un tentativo di aggirarla. Certo, a due anni dal voto bisogna constatare che, all’atto pratico, non vi è nessun concreto cambiamento: un po’perché le norme non toccate dal referendum hanno lasciato margine di manovra ai poteri pubblici (e lo avevamo previsto in un articolo con il quale spiegammo il quesito referendario del 2011) in parte per la complessità e la farraginosità dei meccanismi amministrativi italiani che, lenti di per sé, sono stati ulteriormente rallentati da interessi particolari e da resistenze di posizioni consolidate.

Una postilla: Firenze e dintorni. Publiacqua.

Le province di Firenze, Prato e Pistoia condividono la gestione dell’acqua: dal 1995 infatti tutti i comuni di queste province per legge sono raggruppati nel consorzio ATO 3 Medio Valdarno che nel 2001 ha deciso di affidare la gestione dell’acqua del territorio di competenza a Publiacqua, una società che dal 2006 è diventata mista pubblico-privato. E ad oggi le quote sono divise tra enti pubblici quali:

  • Comune di Firenze 21,67%

  • Consiag 24,94% (un consorzio di comuni tra i quali quello di Prato ha il 38%)

  • Altri comuni 12,96% (tutti con quote sotto l’1%)

  • e un socio privato, Acque Blu Fiorentine: un raggruppamento di imprese formato da Acea Spa( circa il 70%), Ondeo (circa il 22%) e il Monte dei Paschi con circa l’8%

Un esempio questo, uno dei tanti possibili, che può risultare calzante per tutte le zone dove vi è una gestione semiprivata e che permette quindi qualche ragionamento generale.

Publiacqua, si legge nei bilanci consolidati con le società controllate((Riportiamo per comodità i bilanci, comunque già disponibili su internet
2009: bilancio di esercizio e consolidato
2010: bilancio di esercizio parte1 e parte2 e consolidato
2011: bilancio di esercizio e consolidato)), ha prodotto utili per:

  • 12,6 milioni di € nel 2009 (12,3 mil. la sola Publiqua)

  • 19 milioni nel 2010 (14,7 mil. la sola Publiqua)

  • 15,6 milioni nel 2011 (17,3 mil la sola Publiqua).

Questi utili dovrebbero aver portato ad una distribuzione di dividendi, nei tre anni, rispettivamente di circa 8, 10 e 9,8 milioni, destinati, in proporzione alla proprietà delle quote, al 40% ai soci privati, mentre il 60% sono finiti nei bilanci dei comuni. E solo per il residuo sono stati reinvestiti.

Difficile capire la relazione tra questi utili e i livelli di consumo di acqua da parte della cittadinanza: non esistendo un’autorità di controllo è possibile solo rielaborare dati parziali. L’ISTAT ha rilevato((Qui i valori dei comuni capoluogo di provincia)) che il consumo pro-capite giornaliero dei comuni di Firenze, Pistoia e Prato (solo i comuni, non le province), è passato, da 418 litri (a testa al giorno) del 2008 ai 416 dell’anno successivo, poi 399 (-4%) e 372 del 2011 (-6,9%).

Di contro le tariffe sono aumentate: il costo fisso annuale, quello che paga ogni allacciamento anche se si consuma zero, che nel 2009 era 23,30€ (come il precedente), l’anno successivo è stato di 24,89€, per divenire 26,5 € nel 2011. Poi 28,22€ nel 2012 e 30,05€ nell’anno in corso. Un aumento di circa il 6,5% all’anno.
E una cosa simile è successa per il costo unitario di ogni metro cubo d’acqua che, nella fascia dei 100mc l’anno, quella nella quale rientrano le famiglie di 3 persone, ha subito questa progressione:

costo unitario

aumento anno precedente

2008

€ 1,73

2009

€ 1,86

7,51%

2010

€ 1,99

6,99%

2011

€ 2,06

3,52%

2012

€ 2,09

1,46%

2013

€ 2,23

6,70%

Se questi dati sono corretti, sorge un dubbio: che senso ha (o aveva) fissare per legge che il capitale investito debba essere remunerato al 7% (in misura fissa, cioè non di meno, ma neanche di più) se poi, si permette che la tariffa applicata, oltre a coprire questo valore, permetta di conseguire questi utili?

E poi, nel calcolo della pressione fiscale complessiva, non si dovrebbe tenere conto anche di quella parte della tariffa (imposta autoritativamente) che va a formare l’utile di un’azienda monopolista a maggioranza di enti pubblici, che vende un servizio, la fornitura dell’acqua, del quale nessuno piò fare a meno? In poche parole: se i comuni, tra costo di gestione, manutenzione e investimenti spendono ad es. 100 per gestire il servizio, ma l’ammontare di quello pagato dai cittadini è 110, quella differenza che va a finire nelle casse pubbliche, che cosa è se non una tassa sotto mentite spoglie? Forse non ci sarebbe niente di male, ma perché non dirlo?

Terzo: ma la presenza dei capitali privati, è proprio necessaria? Ma nessuna banca sarebbe disposta a finanziare con un prestito, restando quindi fuori dall’azienda, un’impresa che produce utili milionari e che porta come garanzia le bollette degli utenti (di un servizio, come abbiamo detto, essenziale e monopolistico)? Che bisogno c’è di far entrare imprenditori se questi non si assumono nessun rischio di mercato? L’argomento che di solito si usa è che questi sono più efficienti. Si potrebbe obiettare che, esperienza insegna, nei monopoli naturali, data l’assenza di concorrenza, il privato perde quell’incentivo all’efficienza che lo distingue dal pubblico. Ma ammesso che sia così, sindaci, assessori e consiglieri comunali che sostengono la bontà della privatizzazione della gestione hanno l’onere di fornire i dati del miglioramento del servizio idrico: i depuratori trattano più acqua? Il rischio di razionamento è diminuito? L’antico problema delle perdite nell’acquedotto è in via di risoluzione? Attendiamo. Ma solo se qualcuno, prima o poi, ha intenzione di rispondere.

ARTICOLI CORRELATI:

il quesito referendario sulla privatizzazione dei pubblici servizi

il quesito referendario sulla tariffa idrica


Rimani aggiornato iscrivendoti alla nostra newsletter