Quesito n. 4 Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari”

Scheda sintetica di Marco Ottanelli

Il referendum chiede di abrogare una serie di frasi e singole parole (e quante volte abbiamo criticato questo modo di presentare al Popolo Sovrano il quesito!) del decreto legislativo 27 gennaio 2006. n. 25, ultima delle leggi che regolano il funzionamento dei Consigli direttivi della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari.

È proprio su consigli giudiziari che si concentra l’interesse dei promotori. Ma di che stiamo parlando?

I consigli giudiziari sono organi consultivi del Consiglio Superiore della Magistratura. Ve ne è uno per ognuna delle 26 Corti d’Appello italiane, e hanno come compito quello di fornire pareri, opinioni e relazioni sull’andamento ed il funzionamento della macchina giudiziaria del proprio distretto e su alcune questioni inerenti i magistrati. Per chi volesse conoscere i dettagli, consigliamo questa corposa pagina della Treccani.

Col d.lgs del 2006, sono stati ammessi a far parte di questi consigli, in qualità di membri laici (cioè: non togati) anche gli avvocati. Di conseguenza, oggi la composizione prevista è dai sei ai dieci magistrati, un professore universitario, scelto dai presidi delle facoltà di giurisprudenza delle Università, e da due o tre avvocati, a seconda della grandezza del distretto, nominati dal Consiglio nazionale forense (in pratica, dagli altri avvocati).

La parte cosiddetta laica però ha una limitazione nel voto delle “delibere”: è infatti esclusa dal voto sulla valutazione della professionalità dei magistrati, valutazione che determina poi le decisioni del CSM su avanzamenti di carriera e di stipendio dei giudici e dei pubblici ministeri. Al legislatore è sembrato logico che a valutare se un magistrato lavori bene o male, molto o poco, con impegno o con pigrizia, con professionalità appunto, o meno, siano solo i suoi pari, per garantire l’indipendenza di giudici e PM, e non certo gli avvocati del suo stesso distretto, che sono coloro che si confrontano in aula proprio con chi è sottoposto a valutazione. Tanto, poi, al CSM, anche i laici voteranno, a garanzia di tutti.

I proponenti vogliono abrogare questa limitazione e permettere dunque ad un avvocato di essere…. giudice del suo giudice! Come è facilmente intuibile, per il comune cittadino le ricadute dirette di una vittoria del SI sarebbero nulle, zero, e così pure quelle sul buon funzionamento della Giustizia. Si avrebbe invece una considerevole invasione di campo da parte degli avvocati (il cui Ordine è invece gelosissimo custode del loro ambito e delle loro facoltà) nei confronti della Magistratura. Il pericoloso messaggio metapolitico è, come negli altri quattro quesiti, esplicito: si vuole ridurre autonomia, indipendenza, libertà e, a nostro avviso, financo dignità della Magistratura. Gli avvocati, così poderosamente rappresentati in Parlamento (sono la categoria professionale più rappresentata!), e che in definitiva scrivono le leggi, sarebbero anche le maestrine dalla penna rossa di quella che, purtroppo, troppo spesso è vista come controparte.

Ricordiamo che, seppur sponsorizzato da Lega e Radicali (ai quali si son poi aggregati altri partiti), il quesito è stato proposto e depositato dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte (tutte regioni a maggioranza di destra), i quali evidentemente hanno operato più come leva politica di parte che non nell’interesse precipuo delle comunità e secondo le materie di loro competenza.